Speciale Decreto Romani: al vaglio della Commissione lavori pubblici. Intanto Barbareschi si oppone, ‘Mi batterò per evitare questo cataclisma’

di Raffaella Natale |

Barbareschi accompagnato da Fabiano Fabiani, presidente dell'Apt, incontrerà i sindacati di settore per concordare una strategia di intervento che consenta di modificare lo schema di decreto.

Italia


Luca Barbareschi

Solo oggi il decreto Romani, cioè lo schema di decreto legislativo di recepimento della nuova direttiva Ue sui servizi audiovisivi, comincerà il suo iter parlamentare che già gli animi si accendono.

Al centro del dibattito non solo i nuovi tetti di affollamento orario della pubblicità per la Pay TV, ma anche alcune importanti novità.

Il cammino del provvedimento, comunque, è già definito: oggi sarà in commissione Lavori Pubblici al Senato, domani all’attenzione delle commissioni Cultura e Trasporti della Camera, per il previsto parere non vincolante che va acquisito entro il 26 gennaio, prima del varo definitivo da parte del Consiglio dei ministri.

 

Il punto più noto è il taglio progressivo al tetto orario degli spot per i canali a pagamento (satellite e digitale terrestre), che scenderà al 16% dal 2010, al 14% dal 2011, e, a regime, al 12% a decorrere dal 2012. La riduzione, spiega il ministero, è “pienamente conforme con la disciplina comunitaria” e punta a garantire l’utente della pay tv, che già paga un abbonamento per vedere contenuti premium.

L’opposizione, però, ha parlato di colpo a Sky (che dovrà rinunciare, secondo alcune stime, a decine di milioni di introiti) e regalo a Mediaset.

 

Altra novità riguarda la tutela della produzione tv indipendente: si prevedono un obbligo di investimento di almeno il 10% degli introiti netti annui delle emittenti in opere europee e apposite sottoquote per il cinema italiano. Per l’opposizione, si tratta di un indebolimento delle norme in vigore (per la Rai, per esempio, la quota obbligatoria è attualmente pari al 15% dei ricavi). Il ministero precisa che con le nuove disposizioni le emittenti non potranno più scegliere tra obbligo di trasmissione e obbligo di investimento (che è il più gradito ai produttori), che la quota del 10% si calcola su tutti gli introiti e non più solo sul bilancio destinato alla programmazione e che vengono reintrodotte le sottoquote per i film italiani (da individuare, però, entro nove mesi dall’entrata in vigore del provvedimento).

 

Il testo stabilisce inoltre che il ‘palinsesto televisivo‘ è da una serie di programmi riuniti sotto lo stesso marchio editoriale: non rientrano in tale definizione né la ‘trasmissione differita dello stesso palinsesto’ (dunque, i cosiddetti canali +1, con i quali le emittenti ripropongono la stessa programmazione ritardata di un’ora) né la ‘prestazione, a pagamento, di singoli programmi o pacchetti di programmi’. Secondo alcune interpretazioni, questa norma consentirebbe a ai canali Mediaset +1 diffusi sul digitale terrestre di ‘sfuggire’ al tetto fissato dalla legge Gasparri, cioè il 20% dei programmi, sia in analogico sia in digitale.

 

Nel mirino dell’opposizione è finita anche la norma che richiederebbe un’autorizzazione ministeriale per il live-streaming dei siti Internet. Secondo il ministero, si tratta soltanto di una comunicazione di inizio attività per i siti con prevalenza di trasmissione di immagini in movimento. Tra le altre novità del provvedimento, l’introduzione del product placement e il rafforzamento delle norme a tutela dei minori (niente programmi porno tra le 7 e le 23, simboli visivi per le trasmissioni potenzialmente dannose, sistema di classificazione ad hoc adottato con decreto del ministro e apposito meccanismo di controllo parentale per i programmi criptati).

 

Per Luca Barbareschi (Pdl), vicepresidente della commissione Trasporti della Camera, il decreto Romani va modificato, perché contiene alcune norme, in particolare quelle che introducono tagli e limiti per gli spot, che potrebbero rappresentare “un vero e proprio cataclisma”.

Non voglio restare a guardare -dichiara – e mi batterò affinché questo decreto sia modificato perché già troppo sofferente è il settore, proprio a causa di una ottusa gestione della materia audiovisiva lasciata in balia delle onde di un fondo unico delle spettacolo capace solamente di creare figli e figliastri. C’è il rischio che non si comprenda appieno l’utilità strategica di investire sull’audiovisivo e che quindi si lasci morire definitivamente la più estesa azienda culturale del nostro Paese”.

Per scongiurare il peggio, oggi con Fabiano Fabiani, presidente dell’Apt (Associazione produttori tv indipendenti), incontrerà i sindacati di settore anche per concordare una strategia di intervento che consenta di modificare lo schema di decreto.

 

I parlamentari del Pd Emilia De Biase e Vincenzo Vita e del Gruppo Misto Giuseppe Giulietti attaccano: “Provvedimento che si configura come una nuova controriforma del sistema e che rischia di arricchire i soliti noti e colpire a morte centinaia e centinaia di imprese del settore”.

E chiedono che prima di arrivare al voto si proceda alla convocazione delle autorità di garanzia e delle principali associazioni dei produttori del cinema e dello spettacolo.

 

Lamentele anche da parte del movimento Centoautori che considera il decreto “un attacco al cinema italiano” e tramite il suo presidente Stefano Rulli rivolge un appello ai presidenti di Camera e Senato e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta “perché non sia messo all’ordine del giorno delle commissioni parlamentari il decreto Romani prima di aver ascoltato le parti che saranno colpite”.

Sotto accusa la cancellazione delle quote di trasmissione e produzione per il cinema e la tv.

“E’ stato un blitz – dice Rulli – è molto grave che avvenga una cosa del genere che riguarda il futuro del cinema italiano senza consultare le parti”.

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