Digitale terrestre: Romani, ‘A fine dicembre coperto il 30% del Paese’. Intanto l’Agcom cerca una ‘soluzione equa’ per l’ordine dei canali

di Raffaella Natale |

Italia


Antenne Tv

“Per l’Italia il digitale è una tecnologia non ‘semplice’; negli USA la transizione è stata meno ‘dolorosa’ perché gli statunitensi hanno diverse strutture tecnologiche e mentalità. Da noi, il passaggio al digitale è stato graduale e accompagnato da un’attività di comunicazione; a fine dicembre sarà digitalizzato il 30% del Paese e sono stati corrisposti contributi per circa milione di euro per i decoder. In base alle ultime proiezioni, è possibile che la digitalizzazione dell’Italia venga anticipata al 2011″ . Lo ha dichiarato Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo Economico.

 

Secondo dati DGTVi, il 30% circa della popolazione italiana è stato coinvolto nel passaggio al digitale terrestre in 90 giorni. Sono stati venduti quasi 21 milioni di decoder di cui 1,7mln nel Lazio nel solo mese di settembre. La penetrazione della nuova tecnologia ha già coinvolto il 51% delle famiglie italiane, e ha superato come dati di ascolto il satellite: il 21,4% della popolazione (lo scorso settembre, era il 4%) usa il digitale terrestre, il 15,4% il satellite.

 

Il digitale ha già coinvolto 5 regioni, 2085 comuni, 6,2 mln di famiglie (per un totale di 16 milioni di persone), 279 emittenti televisive e 6170 impianti per la trasmissione del nuovo segnale.

Nel Lazio, ha precisato Andrea Ambrogetti, presidente di DGTVi, è stato coinvolto il 91% delle famiglie (manca una parte del litorale di Latina) e il disagio registrato nei primi giorni dello switch-off è sceso dal 20% al 5%.

“Il 95% di un’area grande come Roma – ha aggiunto Ambrogetti – è entrata pienamente nel mondo digitale e ha superato i problemi di ricezione”.

 

In base a questi dati e alle previsioni sulla Campania (dove circa l’80% della popolazione è passata al digitale dopo lo switch-over) si stima che l’Italia potrebbe anticipare al 2011 la digitalizzazione dell’intero territorio, inizialmente prevista per il 2012.

 

Interessanti anche i dati sulla situazione internazionale che vede l’Italia fare la parte del leone con 6,2 mln di famiglie già coinvolte nel passaggio al digitale contro le 5,1 della Spagna, le 4,8 del Regno Unito e le 100 mila della Francia. In Francia, nonostante la crisi, 7 famiglie su 10 si sono dotate di un decoder, mentre in Gran Bretagna, dove sono stati investiti 250mln di euro per la comunicazione, 2mln di famiglie su 27 sono migrate alla nuova piattaforma.

Sempre nel Regno Unito, il 90% della popolazione ha un decoder e, nelle zone dove è stato effettuato lo switch-off, solo lo 0,1% dei telespettatori ha riscontrato difficoltà nella sintonizzazione dei canali.

 

Il digitale terrestre sta diventando la piattaforma universale di riferimento tranne nelle zone dove l’assenza di segnale viene compensata dal satellite. Per i decoder è stata chiesto di dare regole chiare affinché siano venduti prodotti conformi a una serie di funzionalità.

 

Sul mercato, infatti, sono andati alcuni tipi di decoder che davano problemi nelle operazioni di sintonizzazione, di ri-sintonizzazione automatica e con il sistema LCN che assegna automaticamente le posizioni delle emittenti televisive sul telecomando. Su questo punto, è acceso il dibattito tra emittenti nazionali e locali che, diventate dei veri e propri operatori, chiedono maggiore partecipazione nell’organizzazione della nuova piattaforma televisiva.

 

Al momento si discute una soluzione proposta da DGTVi e al vaglio dell’AGCOM. I canali dall’uno al nove dovrebbero andare agli ex analogici nazionali (Rai, Mediaset, La 7 e Rete A), quelli dal 10 al 19 alle principali emittenti locali, quelle dal 20 al 49 ai nuovi canali nazionali divisi per area tematica: bambini, generalisti, spot e informazione. Dal 50, invece, si dovrebbe tornare alle emittenti locali. Un’altra discussione aperta riguarda il coinvolgimento delle imprese italiane nella trasformazione televisiva. Si stima che nel 2012 saranno stati spesi circa 4 miliardi di euro per decoder e televisori integrati; di questa cifra solo un terzo andrà a imprese italiane.

 

Infine, è stata aperta la questione sui servizi digitali. Le case italiane si sono trasformate in veri e propri ricevitori di dati con circa 1,2 gigabit di dati al secondo trasmessi. Nonostante questa capacità, le trasmissioni in HD sono quasi inesistenti e manca totalmente l’interattività che la nuova piattaforma televisiva potrebbe garantire.

 

Sull’ordine automatico dei canali della Tv digitale terrestre, Roberto Napoli, commissario dell’Autorità, ha spiegato: “Abbiamo aperto una consultazione pubblica il 19 novembre, dobbiamo trovare una soluzione equa“.

C’è un contenzioso e abbiamo gli operatori in suspense, c’è bisogno di una soluzione giusta – ha ribadito – altrimenti aggiungeremo altri problemi e noi vogliamo risolverli”.

 

E, in attesa di una soluzione che metta d’accordo le 50 emittenti locali del Lazio, e non solo, il presidente della Frt (Federazione radio televisioni), Filippo Rebecchini, è intervenuto sul tema parlando con MF-Milano Finanza: “Sono stato definito un dissidente che ha fatto saltare l’accordo con le altre televisioni locali per il posizionamento di tutte le emittenti sul telecomando del decoder digitale, ma non è così”.

Rebecchini è anche editore della storica televisione privata romana Super 3, nata negli anni ’70 con l’ambizione di fungere da alternativa agli allora due canali Rai.

“Definirmi la causa del caos sul digitale – ha spiegato – è un po’ troppo: sarebbe come dire che un granello di sabbia che cade nell’acqua può scatenare uno tsunami”.

 

Rebecchini ha lanciato una proposta operativa: “Credo che l’Autorità per le comunicazioni sarebbe dovuta intervenire sei mesi fa ma ormai mi auguro che l’istruttoria viaggi a ritmi spediti. E’ essenziale che l’Agcom individui il criterio di posizionamento sul telecomando anche per le locali e non solo per i canali nazionali. Dopodiché, stabiliti i criteri, sarà il Corecom ad assegnare le postazioni e poi guai a chi si muove. Io personalmente lascerò la mia postazione il giorno dopo questa decisione”.

 

Il consiglio regionale del Piemonte ha intanto approvato all’unanimità un odg sulla numerazione delle emittenti locali. L’idea, ha informato il primo firmatario Roberto Placido (Pd), è che la giunta regionale sostenga la proposta di DGTVi per tutelare gli interessi degli utenti e delle emittenti locali. Inoltre l’accordo propone che l’assegnazione tenga conto della media delle graduatorie degli ultimi tre anni, stilata dal Corecom.

 

Per il direttore generale della Rai, Mauro Masi, il passaggio dalla Tv analogica a quella digitale terrestre “è un’occasione per innovare l’offerta con una visione editoriale di largo respiro, per recuperare le posizioni di mercato che la televisione generalista sta perdendo un po’ dovunque”.

Anzi Masi ha annunciato anche la nascita di un nuovo canale che si aggiungerà ai 12 già trasmessi in digitale: “si chiamerà Rai6 e sarà dedicato alla cultura“.

“Entro la fine dell’anno – ha detto ancora Masi – il 30% della popolazione potrà vedere in chiaro con il digitale terrestre oltre 12 canali e quando in estate si giungerà al 50% ed entro fine 2010 al 70% ecco che l’offerta generalista e tematica della Rai sarà la risposta migliore alle trasformazioni tecnologiche e di mercato”.

Convinto, il Dg, che “il servizio pubblico è in regola ed è più forte di prima per garantire la propria mission e per uscire rafforzato dalla competizione tra piattaforme e nelle piattaforme“. Perché, ha sottolineato “l’atteggiamento non è per niente remissivo ma altamente competitivo e l’abbiamo dimostrato nella trattativa con Sky”.

 

“E’ finalmente chiaro che il servizio pubblico non può ‘regalare’ la propria offerta televisiva a piattaforme a pagamento per il loro proprio vantaggio competitivo e commerciale“, ha detto ancora Masi riferendosi al rapporto con Sky e al concetto di “neutralità competitiva“, introdotto dall’AGCOM nelle Linee Guida del contratto di servizio.

Per Masi, al contrario, la Tv pubblica “è in grado, se lo ritiene e se ne faranno richiesta i soggetti coinvolti, di negoziare ciò che nel recente passato è stato ritenuto un obbligo non negoziabile”. Masi ha aggiunto che questo conferma la correttezza dell’operato dell’attuale gestione Rai “e la trasparenza nei comportamenti che, ovviamente, non verrà meno in futuro”.

Per Masi, quello introdotto dall’AGCOM, è un concetto “di grande importanza” e il vantaggio “sarà per tutti gli utenti e la Rai farà di tutto per accompagnare la transizione dall’analogico al digitale terrestre senza escludere alcun soggetto distributivo purché questo avvenga in modo conforme alle nuove regole”.

 

TivuSat, ha poi evidenziato, aiuterà la Rai ad adempiere quanto previsto dalle Linee guida, per quanto riguarda la presenza del servizio pubblico su almeno una piattaforma trasmissiva di ogni piattaforma tecnologica.

“La nostra partecipazione a TivuSat – ha rilevato il Dg – fa sì che l’intera programmazione gratuita presente sulla piattaforma digitale terrestre possa essere finalmente vista, senza limitazioni e criptaggi, dagli utenti che hanno il desiderio o la necessità di fruire dell’offerta televisiva tramite la ricezione satellitare”.

Masi ha ricordato che “fino a pochi mesi fa, gli utenti satellitari che non disponevano dell’offerta pay non erano in condizione di vedere integralmente i programmi Rai o di altri broadcaster. Ora con TivuSat, e senza l’obbligo di pagare un abbonamento, possono accedere a tutti i canali del digitale terrestre”. TivuSat (società costituita pariteticamente da Rai e Mediaset e, con una quota minore, da TI Media) prevede che entro fine anno saranno 300mila i decoder venduti, numero che salirà a un milione entro il prossimo anno.

 

Altro nodo che riguarda la Rai è la qualità, di cui s’è parlato al seminario sulla Tv in Italia e il ruolo del servizio pubblico, pensato e organizzato dalla commissione di Vigilanza. E con il quale Sergio Zavoli ha riunito diversi protagonisti del settore, dai vertici di Viale Mazzini al presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, insieme con Ettore Bernabei e Giuseppe De Rita, direttore del Censis, ai professori Franco Ferrarotti, Pietro Melograni, Mario Morcellini e Giovanni Stella , vicepresidente di Telecom Italia Media.

 

Quanto alla qualità e ai legami con la politica, tema posto, tra gli altri dal vice presidente della Vigilanza, Giorgio Merlo, Masi ha rinviato la questione al rapporto con il legislatore: “abbiamo bisogno di un riferimento normativo più preciso per identificare il servizio pubblico e questo credo comporti anche la definizione di una governance“. E se Confalonieri s’è detto convinto che “la Rai debba fare il servizio pubblico” ma il punto centrale è “l’editore“, Masi ha concordato: “Ma per fare l’editore servono interventi del legislatore per definire in maniera compiuta il servizio pubblico e la sua governance”. E questo si lega anche al tema della qualità “perché la Rai può essere la nicchia e il grande player, ma servono le risorse oltre ad un assetto normativo che indichi poteri specifici per fare l’editore“. Punto sul quale ha replicato Zavoli: “Il servizio pubblico non deve crearsi un alibi creando le nicchie e confinandole in orari dove non c’è pubblico”.

 

Infine, ancora sulla qualità, il Dg ha ricordato il percorso di transizione verso il digitale terrestre, ora “in fase di accelerazione e di irreversibilità” e ha sottolineato che “i primi dati che arrivano dalle Regioni dove è già avvenuto lo switch-off sono incoraggianti”. Per Stella, invece, quello del digitale è un obiettivo di transizione, che potrebbe anche presentare “problemi per la distribuzione della pubblicità per i tanti canali“. In quest’ottica l’orizzonte “è la televisione su internet” che può fornire “servizi utili” e “far fare un salto di al Paese”.

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