Da Agcom OK a linee guida per il contratto di servizio Rai. Su chiavetta Sky, Calabrò ‘Al momento nessun ricorso’

di Raffaella Natale |

Italia


Corrado Calabrò

L’Agcom ha approvato le linee guida del nuovo contratto di servizio Rai 2010-2012. Il testo va ora al ministero dello Sviluppo economico-Comunicazioni per la necessaria intesa e torna poi all’Autorità per l’approvazione definitiva. A quel punto le guidelines diventano la base per la trattativa tra il ministero e la Rai e quindi per il varo del vero e proprio contratto di servizio, che viene infine inviato alla commissione di Vigilanza per il parere obbligatorio, ma non vincolante. 

 

Il presidente dell’Autorità, Corrado Calabrò, è tornato a parlare della chiavetta di Sky e lo fa per informare che nonostante le indiscrezioni circolate su un presunto ricorso di Rai, Mediaset e Telecom, al momento “sul mio tavolo non c’è nulla“.

  

L’Agcom ha quindi escluso che i tre broadcaster abbiano presentato istanza contro la Digital Key della Pay TV italiana, che verrà lanciata a dicembre e consentirà di vedere anche la programmazione gratuita del digitale terrestre.

 

Un’operazione che ha messo ulteriormente in subbuglio il mercato televisivo italiano dove già pesavano i rapporti conflittuali con il gruppo di Murdoch: lo scontro con Mediaset per l’esclusione degli spot di Sky dalla programmazione, su cui si è pronunciato il tribunale di Milano (leggi articolo), e il fallimento dell’accordo con la Rai per i contenuti di RaiSat.

 

Il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani, intervenendo sulla vicenda, ha sottolineato che la Digital Key non risolverà il problema del decoder unico ed è “una scelta commerciale che riguarda pochissime persone”.

“La chiavetta per il digitale terrestre, che costa pochissimo 15 euro, si inserisce in un decoder per l’alta definizione, che costa dai 150 euro in su. Riguarda dunque pochissime persone”.

“Ma il problema vero – ha aggiunto Romani – è che alla fine del 2012, quando sarà completato il processo di digitalizzazione del paese, ci dovrà essere un decoder unico. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che ognuno rinunci al proprio protocollo. Sky finora lo ha tenuto gelosamente segreto e ha conservato il controllo della propria piattaforma”.

 

Mediaset, per voce del consigliere di amministrazione Gina Nieri, ha commentato: “Molto rumore per nulla. Si tratta di un’ulteriore verticalizzazione” da parte di Sky “per far rimanere i propri abbonati all’interno della sua piattaforma“, ma per il resto “non aggiunge niente“.

Questo perché per poter utilizzare la chiavetta occorre sia un decoder ad alta definizione sia un televisore di nuova generazione, che ha già l’accesso free ai canali del digitale terrestre in chiaro. Inoltre non consente l’interattività e l’accesso ai contenuti premium. Per questo la Nieri definisce l’offerta “ingannevole, nel senso che gli utenti possono vedere ugualmente l’offerta del digitale terrestre free se hanno un nuovo televisore, senza bisogno della chiavetta di Sky”.

 

La Rai ha parlato di “una bella e intelligente operazione commerciale” ma, il Dg Mauro Masi, ha evidenziato la preoccupazione per gli eventuali “effetti distorsivi sul mercato“, ribadendo l’intenzione dell’azienda di fare tutte le verifiche del caso.

 

In attesa di vedere i risvolti della situazione, si apprende che Rti (Mediaset) e Sky Italia hanno impugnato al Tar del Lazio la delibera dell’Agcom sui diritti residuali, vale a dire i diritti attribuiti ai produttori indipendenti mediante la limitazione temporale dei diritti allo sfruttamento televisivo delle opere da parte degli operatori Tv.

 

Il riferimento è alla delibera, approvata lo scorso 22 aprile, che definisce il nuovo regolamento relativo ai criteri di attribuzione ai produttori indipendenti di parte dei diritti residuali di sfruttamento delle fiction e degli altri prodotti televisivi. In particolare Rti nel suo ricorso lamenta il fatto che “l’applicazione del regolamento nei termini prescritti sarebbe foriera di un pregiudizio grave e irreparabile“.

Rti ritiene inoltre che il regolamento dettato dall’Autorità contenga una disciplina di tipo imperativo che soffoca l’autonomia negoziale delle parti. Da qui la richiesta di annullamento, previa sospensione, della delibera. Il provvedimento è stato impugnato anche dall’Associazione produttori televisivi e da alcune società di produzione.

 

Secondo Rti, nella delibera contestata l’Autorità è andata “ben oltre il compito, normativamente affidatole, di stabilire il termine massimo di efficacia degli atti di disposizione dei diritti sulle opere audiovisive compiuti dai produttori indipendenti a favore degli operatori radiotelevisivi, dettando piuttosto una vera e propria disciplina imperativa dell’intero rapporto contrattuale tra produttori indipendenti ed imprese di radiodiffusione televisiva”.

 

La delibera impugnata prevede, tra l’altro, il riconoscimento ai produttori indipendenti dell’apporto non solo finanziario ma creativo e organizzativo nella ripartizione dei diritti, la negoziazione separata delle diverse tipologie di diritti, l’individuazione di un numero massimo di passaggi televisivi e l’adozione, entro gennaio 2010, da parte degli operatori televisivi di un codice di condotta in materia. In particolare, il nuovo limite alla possibilità di sfruttamento stabilito dall’Autorità, giudicato da Rti “significativamente più restrittivo” rispetto al passato, è di 7 anni dopo la prima utilizzazione per i cartoni animati, 5 anni per l’audiovisivo cinematografico, le fiction, gli spettacoli, lo sport, 3 anni per i documentari.

Secondo i legali di Rti, l’Autorità si è sostituita illegittimamente al “legislatore del codice civile e della legge sul diritto d’autore” perché non si è limitata a “fornire alle parti indicazioni derogabili e non vincolanti”. Il legislatore, si legge nel ricorso, “non ha affatto affidato all’Autorità, come questa ritiene, un potere regolamentare illimitato in materia, ma soltanto il compito di fissare criteri di definizione del limite temporale di efficacia degli atti dispositivi del produttore, sulla cui base restano attribuiti al produttore medesimo i diritti di sfruttamento sull’opera nel periodo residuo prima della loro scadenza”.

 

Tra le numerose contestazioni mosse da Rti c’è anche quella alla distinzione tra diritti originari (quelli “relativi alla prima trasmissione televisiva in Italia”) e diritti derivati, tra cui rientrano quelli di trasmissione all’estero.

 

“Non vi è ragione, né si trova traccia in senso contrario nella norma primaria – si legge nel ricorso – perché i diritti relativi alla prima trasmissione televisiva debbano essere negoziati in modo distinto rispetto al più ampio rapporto tra emittente e produttore, che prevede di norma un periodo di tempo, oggetto di una remunerazione complessiva, entro cui l’organismo di radiodiffusione televisiva decide modalità, tempi e numero di utilizzazioni dell’opera”.

 

Infine si contesta la norma che dispone il ritorno in capo al produttore dei diritti relativi all’opera se questa non viene trasmessa entro due anni dalla consegna all’operatore tv.

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