NGN: strada in salita per la newco. Telecom e Vodafone su fronti opposti mentre si attende la risposta del CIPE per i fondi pubblici

di Alessandra Talarico |

Italia


Fibra ottica

La strada per la realizzazione di una ‘società veicolo’ per la nuova rete a banda larga superveloce in fibra ottica, è tutta in salita.

Alla presentazione annuale dell’attività svolta dall’Agcom, il presidente Corrado Calabrò ha indicato che una delle vie per accelerare lo sviluppo della NGN potrebbe essere quella di creare una newco in grado di unire risorse private e pubbliche. Una soluzione accolta con favore dall’industria, nonostante Telecom Italia abbia prontamente sottolineato che la società ha già un proprio piano sulla banda larga, con la previsione di investire tra 5-6 miliardi di euro da qui al 2016 per arrivare a coprire 13 milioni di case.

 

Ieri, nel corso del convegno “Come allargare la banda”, organizzato da I-com – istituto per la competitività – Stefano Pileri, direttore Tecnologie e Operations di Telecom Italia, ha nuovamente sottolineato la necessità di consentire alle aziende di sviluppare autonomamente i propri piani di investimento, per procedere con un intervento pubblico nelle città ‘poco redditizie’, che sarebbero escluse dalla banda larga di nuova generazione.

“Per la realizzazione della rete di nuova generazione – ha spiegato Pileri – ci sono due modelli possibili: nel primo gli operatori fanno il primo passo, nel secondo si dà vita a una società comune”.

Telecom Italia, ha ribadito Pileri, “si sta muovendo sul primo modello, guardando alla clientela e scegliendo come portare avanti lo sviluppo”.

I piani della società prevedono la realizzazione di una rete in fibra che andrà a coprire le prime 100 città entro il 2011, per arrivare a 1.000 entro il 2016.

 

Ciò non vuol dire che Telecom sia contraria a un intervento pubblico, purché questo sia limitato a quelle aree dove per i privati risulti poco remunerativo investire. Il governo, inoltre, dovrebbe muoversi sul campo della regolamentazione, per garantire una “remunerazione sul capitale investito sufficientemente elevata”.

“Se non pensiamo che le aziende siano in grado di sviluppare le reti di nuova generazione a condizioni di mercato, l’intervento pubblico è ragionevole e auspicabile, se invece a fronte di un’azione regolatrice si ritiene che i piani ad oggi noti siano credibili, non è necessario un intervento statale se non quando le reti di nuova generazione realizzeranno un fallimento di mercato nelle città più piccole”, ha aggiunto Pileri.

 

Questo modello di sviluppo della NGN, però, non trova d’accordo Vodafone, in quanto avrebbe come risultato quello di triplicare i costi di realizzazione della rete in fibra ottica.

Intervenendo al convegno I-com Bianca Maria Martinelli, direttore Affari pubblici e legali di Vodafone Italia, ha sottolineato che la proposta di Telecom Italia di mettere a disposizione i propri cavidotti affinché i concorrenti poggino le proprie fibre, non è affatto conveniente: bisognerebbe piuttosto privilegiare “un modello regolatorio di rete aperta”.

 

Vodafone, ha sottolineato Martinelli, “non può condividere l’idea investire su reti chiuse in fibra e per di più senza sapere cosa sarà della rete in rame”.

Bisognerebbe inoltre creare maggiore simmetria nella rete fissa, alla luce del fatto che, a 10 anni dalla liberalizzazione, “Telecom Italia è l’unico operatore con flussi di cassa positivi”, mentre i concorrenti continuano a subire gli interventi a gamba tesa dell’incumbent, che frappone ostacoli sul passaggio dei suoi clienti ad altri operatori.

La Martinelli ha infatti ricordato che “su 80 mila clienti acquisiti in aprile da Vodafone e Tele2, 30 mila sono attivi e 50 mila sono in attesa: di questi, 15 mila non saranno mai attivati per ko tecnici”.

 

Una situazione che, se non fa bene agli operatori, figuriamoci agli utenti: anche se in Italia contiamo un numero spropositato di cellulari, le infrastrutture sono arretrate e rischiano di farci perdere ulteriore terreno nella classifica della competitività.

 

A gennaio 2009 la penetrazione della banda larga in Italia si attestava, secondo i dati della Ue, al 19% contro una media comunitaria del 22,9% e contro livelli sensibilmente superiori degli altri Paesi europei più competitivi (Gran Bretagna 28,4%, Francia 27,7%, Germania 27,5%).

Molti danno la colpa di questa arretratezza alla scarsa propensione degli italiani a utilizzare i servizi online, ma non considerano che questo stato di cose può essere riconducibile anche ad altri fattori, tra cui l’ancora scarso livello di digitalizzazione della pubblica amministrazione, che dovrebbe invece fungere da modello e apripista e, appunto, la mancanza di competizione sulle infrastrutture.

 

La realizzazione di una newco “è una grossa impresa”, ha sottolineato anche il presidente Agcom Corrado Calabrò, ed è naturale la prudenza manifestata da parte di chi deve fare i maggiori investimenti.

Si tratta però di un modello già applicato altrove e quindi replicabile anche nel nostro Paese.

 

Il compito dell’Autorità, in questo contesto, deve essere quello di “stabilire regole incentivanti”, il che non è poco, vista l’assenza totale di regole che ha caratterizzato la realizzazione della rete in rame.

 

Domani, intanto, si saprà dalla riunione del CIPE, se gli 800 milioni di euro previsti dal governo per la realizzazione della rete in fibra verranno effettivamente sbloccati o si procederà al via libera solo di una piccola parte di questa cifra da destinare agli investimenti più urgenti.