Frequenze Ipse: H3G esclusa dalla gara chiede al ministero blocco da 5MHz riservato ai gestori Umts

di Alessandra Talarico |

Italia


Ipse

Dopo la prima tornata di offerte, andata a vuoto, per le frequenze lasciate libere da Ipse, il ministero dello sviluppo economico ha comunicato di aver ricevuto proposte economiche da Telecom Italia, Vodafone e Wind.

H3G, pur avendo presentato la domanda di partecipazione, non ha presentato alcuna offerta economica e pertanto è stata esclusa dalla procedura ai sensi del paragrafo 5.5.3 del disciplinare di gara.

 

L’importo minimo per ogni blocco di frequenza era stato fissato a 88.781.500 euro.

La seduta pubblica per l’apertura dei plichi, di cui al paragrafo 5.4 del Disciplinare di Gara, è convocata per il giorno 9 giugno 2009.

 

H3G, ha comunque comunicato il ministero, ha fatto richiesta per ottenere il blocco da 5 MHz a 900MHz che le era stato riservato da una delibera del 2008

in cui venivano stabiliti anche i criteri per la riutilizzazione delle bande UMTS a 2.1 GHz lasciate libere da Ipse, mediante un’asta alla quale potranno partecipare sia “gli operatori esistenti interessati a sviluppare la propria offerta di servizi a larga banda, sia operatori nuovi entranti interessati all’ingresso nel mercato dei servizi di telefonia mobile”.

 

La delibera per il riassetto delle frequenze utilizzate per i servizi di telefonia mobile, sulla scia delle disposizioni comunitarie, disciplina i piani di assegnazione delle frequenze a 900, 1800 e 2100 MHz, con l’obiettivo di promuovere la razionalizzazione della banda e il suo uso efficiente e consentire l’accesso alle frequenze disponibili o che si renderanno disponibili nelle dette bande da parte dei soggetti interessati.

 

In base al provvedimento, ciascun gestore GSM esistente potrà ottenere, su richiesta da presentare al Ministero dello sviluppo economico, l’assegnazione di un numero intero di blocchi da 5 MHz utilizzabili su base nazionale, possibilmente contigui, fino a raggiungere la dotazione massima prevista dalla delibera n. 286/02/CONS di 25 MHz nazionali lordi complessivi tra 900 e 1800 MHz, e di cui non oltre 10 MHz a 900 MHz.

 

Secondo le valutazioni di Bruxelles, questa misura – inserita in un contesto di gestione più flessibile dello spettro a livello paneuropeo – oltre al positivo impatto economico sul settore, servirà anche a facilitare l’adozione e lo sviluppo di nuovi servizi wireless: su un periodo di 5 anni, l’industria mobile europea potrebbe ottenere riduzioni cumulative delle spese di capitale fino al 40% dei costi di rete.

 

Ipse 2000, nata nell’agosto 2000 dall’unione di importanti realtà industriali, italiane ed europee – la spagnola Telefonica Moviles (45,6%), la finlandese Sonera (12,6%), la Banca di Roma (10%), Edison (3%), Falck (2%), Xera (5%), Syntex Capital Luxembourg (4,8%) e Atlanet (12%) – ha speso nel 2001 oltre 6 mila miliardi di lire, tra acquisto della licenza e frequenze aggiuntive. In base agli accordi contrattuali, l’operatore avrebbe dovuto coprire i capoluoghi di regione entro giugno 2004 e i capoluoghi di provincia entro i 30 mesi successivi.

L’operatore non è però riuscito a mantenere gli impresi sottoscritti al momento della licenza e nel novembre del 2002, ha quindi chiesto al governo di poter restituire i 5 Mhz di frequenze aggiuntive per potersi liberare dall’obbligo di pagamento delle restanti 8 rate annuali (per un valore complessivo di 826 milioni di euro).  Ma il governo ha bocciato la richiesta proprio per non discriminare gli altri operatori.

 

A gennaio del 2006, quindi, l’allora ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, ha formalizzato l’avvio del procedimento per la revoca delle licenze e delle frequenze in mano all’operatore, dopo aver constatato l’impossibilità di giungere a un accordo sulle frequenze tra Ipse e gli altri operatori per la cessione, dietro un compenso economico, del proprio pacchetto di frequenze.

Il risarcimento sarebbe stato di natura tecnica: l’assegnazione di nuove frequenze, infatti, prevede una sorta di riordino generale delle stesse perché siano successive una all’altra, operazione per la quale le società devono sostenere un costo.

Dopo mesi di trattative e una serie infinita di riunioni interlocutorie, tutte terminate con una fumata nera, le società di telefonia non sono tuttavia riuscite a mettersi d’accordo.