Caio: ‘La rete Telecom potrà reggere 2-3 anni’. L’Italia a rischio infrastrutture se non si accelera lo sviluppo dell’NGN

di Alessandra Talarico |

Italia


Telecom

Francesco Caio, consulente del governo per la banda larga, ha presentato ieri a Paolo Romani, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni, i primi risultati della ricognizione effettuata negli ultimi tre mesi, volta a delineare il futuro sviluppo delle reti broadband di prossima generazione.

 

Il rapporto completo non è ancora stato presentato e i punti toccati sono stati essenzialmente tre: “l’utilizzo della banda larga, il gap che separa il nostro Paese dalle maggiori economie mondiali” in termini di sviluppo delle infrastrutture, “le prospettive di crescita della domanda legate all’evoluzione di internet come piattaforma di distribuzione dei contenuti”.

 

L’analisi condotta da Caio dovrebbe servire, tra le altre cose, a fornire indicazioni su quali siano le tecnologie da utilizzare – fibra ottica o wireless (WiMax, Umts, Hsdpa, ecc) – nelle diverse aree del nostro Paese, al fine di effettuare una copertura del territorio il più possibile completa – considerando le condizioni orografiche dell’Italia – limitando i costi e gli sperperi di denaro.

 

Secondo le valutazioni di Caio, la mancanza in Italia di infrastrutture alternative a quella di Telecom Italia, oltre che limitare la “pressione competitiva” e gli investimenti in nuove tecnologie, porterà il nostro Paese a confrontarsi “con una carenza strutturale della rete a banda larga” entro al massimo 2-3 anni.

 

Occorre dunque accelerare gli investimenti e favorire un “maggiore coordinamento, in linea con quanto avviato dal Ministero, tra iniziative centrali e periferiche per ottimizzare l’utilizzo dei fondi pubblici”.

 

I fondi messi a disposizione dal governo, che ammontano a 1 miliardo di euro, corrispondono a circa il 10% della spesa per la realizzazione della nuova rete, stimata intorno ai 10 miliardi di euro.

 

Chi dovrà sostenere questa spesa? Come e con quali risultati dovrà realizzarla?

 

L’approccio per la costruzione delle NGN è diverso da paese a paese: da quello più liberista degli Usa, passando per soluzioni intermedie come quella adottata in Gran Bretagna, fino a soluzioni di schietta impronta dirigista come in Giappone.

Nei Paesi in cui si è deciso di affidare all’incumbent la costruzione della rete – come negli Usa – si è scelto però anche un regime di regulatory holiday o forbearance, cioè dell’assenza di regolazione sulle nuove reti: in particolare, gli operatori che investono nell’upgrading della rete viene lasciata la libertà di gestirne l’accesso secondo pure logiche commerciali.

 

In questo modo, ha spiegato anche il presidente Agcom Corrado Calabrò, la competizione si sposta sul versante dei servizi offerti, che a loro volta stimolano gli investimenti sul potenziamento delle reti, mentre  il recupero degli investimenti è garantito dalla libertà di prezzo che può essere diversificato anche in base al contenuto e al tipo di servizio.

 

Anche in Germania si era scelto un simile approccio: a metà 2005, Deutsche Telekom aveva deciso di investire 3 miliardi di euro in un progetto che prevedeva la copertura di 50 città.

Per garantire alla società adeguate condizioni di ritorno dell’investimento e, dunque mantenere sufficienti incentivi per realizzare le nuove infrastrutture, il Governo tedesco aveva promosso e fatto approvare una legge ispirata all’approccio nordamericano. L’Autorità di regolazione tedesca aveva invece stabilito, in accordo con la Commissione europea, di imporre a Deutsche Telecom l’obbligo di accesso dei concorrenti sulle sue reti a banda larga, anche quelle di nuova generazione.

 

Immediata è stata quindi l’apertura di una procedura di infrazione contro lo Stato tedesco da parte della Commissione europea.

L’innescarsi di un simile contenzioso ha però determinato un drastico ridimensionamento del piano degli investimenti di Deutsche Telecom.

 

La situazione italiana, tuttavia, è caratterizzata sia dai limiti connessi alla scarsa consapevolezza dei vantaggi che possono derivare dalla diffusione della banda larga, sia da altri fattori quali la maturità del mercato e la conseguente erosione dei profitti, l’eccessivo indebitamento dell’incumbent titolare della rete di accesso, e l’elevata conflittualità tra concorrenti in relazione alle diverse scelte di regolazione.

 

L’ad di Telecom Italia, Franco Bernabè, da canto suo, ha più volte ribadito che la convergenza di vedute da parte di Governo, operatori e regolatori sulla necessita di accelerare lo sviluppo delle NGN c’è. Serve però “una sorta di new deal, per garantire investimenti adeguati e stimolare la competizione”.

Il governo, secondo Bernabè, può giocare un ruolo significativo nello sviluppo delle nuove reti in fibra ottica, purché qualsiasi approccio regolatorio sia basato su tre pilastri fondamentali: “la garanzia di un adeguato ritorno sugli investimenti, la promozione della deregulation dei vari mercati e infine l’agevolazione di infrastrutture condivise”.

 

Su questi punti non è arrivata ancora nessuna indicazione da Caio. Qualcosa in più dovrebbe emergere dall’incontro tra il Comitato banda larga di Confindustria, Telecom Italia, Fastweb, l’associazione Asstel e il Csit (Confindustria servizi innovativi tecnologici).

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