Paralisi in Vigilanza? Per il Pdl nessuna mozione di sfiducia a Villari, ma opera di moral suasion. Si allunga l’ombra dei conflitti interni al Pd

di Raffaella Natale |

Italia


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Il caso Villari continua a restare al centro della scena politica. Sembrava che il senatore del Pd, eletto presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, con il contestuale ritiro della candidatura del dipietrista Leoluca Orlando, dovesse occupare una presidenza-lampo, ma così non è stato. Le strategie politiche messe in atto si sono infrante sul suo secco rifiuto a lasciare l’incarico per dar posto, come avevano accordato Pdl e Pd, a Sergio Zavoli. Riccardo Villari è stato anche espulso dal Pd e a nulla sono valse le mediazioni, fra gli altri, di Berlusconi, Schifani e Fini che gli chiedevano di fare un passo indietro. Villari vuole andare avanti e l’intenzione della maggioranza è quella di non seguire la via del Pd che è pronta a emettere una mozione di sfiducia, sostenendo che l’unica via da seguire per uscire dallo stallo è la moral suasion.

In una lettera pubblicata oggi sul Corriere della Sera a firma dei vertici parlamentari del Pdl (Gasparri, Cicchetto, Quagliarello e Bocchino), Villari viene invitato “…a valutare l’appello dei presidenti di Camera e Senato e a riflettere sul rischio che l’inesistenza dei requisiti minimi di collaborazione tra il presidente della Commissione di Vigilanza e una parte significativa di essa possa produrre una paralisi della funzione e dei lavori della Commissione“.

 

“…Non possiamo sottoscrivere proposte non previste dai regolamenti – scrivono – e che potrebbero creare gravi precedenti e trasformare surrettiziamente un regime parlamentare in un direttorio concedendo ai partiti poteri esorbitanti. La sfiducia contro un presidente regolarmente eletto potrebbe essere un domani utilizzata per analoghe operazioni contro i vertici di Camera e Senato o delle commissioni ordinarie”.

Quindi, continuano gli esponenti del Pdl, “…l’unica strada percorribile è quella della moral suasion, seguita peraltro dai presidenti di Camera e Senato e dal presidente del Consiglio. Il Pd, invece, non ha trovato di meglio da fare – concludono – che espellere il senatore Villari, provocando così un ulteriore irrigidimento della situazione”.

 

La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, intervistata da Maurizio Belpietro per ‘Panorama del giorno’ (Canale 5) sull’espulsione di Villari, ha dichiarato che “…L’invito alle dimissioni è venuto dalle più alte cariche dello Stato, è venuto dal presidente del Consiglio, è venuto dal presidente della Camera, è venuto dal presidente del Senato, questi ultimi due sono loro a nominare i componenti della Commissione di vigilanza, quindi lo sgarbo istituzionale, direi la rottura istituzionale è ancora più evidente, più forte”. Secondo la Finocchiaro, questa situazione “…crea un imbarazzo molto forte nella seconda e nella terza carica istituzionale dello Stato, al di là dell’invito del presidente del Consiglio”.

 

Per Dario Franceschini, vicesegretario del Pd, il presidente della Commissione di Vigilanza Rai dovrebbe dimettersi anche per “…una questione di dignità personale”.

Franceschini ripete: “…C’è un’intesa su Zavoli, ma Villari si è intestardito. E’ anche una questione di dignità personale, oltre che di rispetto delle istituzioni. Quando la maggioranza, l’opposizione, i presidenti delle istituzioni ti chiedono di dimetterti…”.

Franceschini ritiene che per l’elezione di Villari sia stato “…violato un principio che è stato sempre rispettato da quando c’è la Vigilanza. Noi votammo Storace, e certo non eravamo contenti. Il veto su Italia dei Valori era inaccettabile ed è stato superato solo quando Antonio Di Pietro ha rinunciato ad avere un suo candidato”.

 

Il senatore del Pd, Nicola Latorre, ha intanto chiesto scusa per il bigliettino passato in diretta televisiva al vicepresidente dei deputati del Pdl Italo Bocchino per suggerirgli come replicare al dipietrista Massimo Donadi durante un dibattito che si svolgeva nel corso della rubrica ‘Omnibus’ de La7.

Il contenuto dell’appunto scritto sul ritaglio di giornale, recuperato dai giornalisti dell’emittente, è stato letto dal direttore de La7 Antonio Piroso e rimandato in onda più volte dalla trasmissione ‘Striscia la notizia’ di Canale5: “…Io non lo posso dire. Ma la Corte costituzionale? E Pecorella?“ (il riferimento era alla decisione del Pdl di ritirare il proprio candidato alla Consulta, atto che avrebbe dovuto far rinunciare alla candidatura di Leoluca Orlando alla presidenza della Vigilanza da parte di Pd e Idv).

 

La reazione del capogruppo dell’Idv Donadi è stata durissima: “…Lo scambio del pizzino fra La Torre e Bocchino è la dimostrazione che in questo paese esiste un rapporto malato tra media, politica ed affari. Che un rappresentante dell’opposizione, mio alleato, suggerisca a un autorevole esponente della maggioranza come attaccarmi durante un dibattito televisivo è una rappresentazione visiva della politica del compromesso”.

 

In una intervista a Repubblica, Latorre ha affermato: “…Sento il dovere di chiedere scusa agli elettori e ai militanti del Pd. Ho commesso una grave leggerezza, ho contribuito ad accreditare una idea della lotta politica che non corrisponde al mio modo di essere. Non volevo mettere il mio partito in difficoltà, semmai il contrario. Ma ho sbagliato il modo. Dunque mi scuso”.

Tuttavia, Latorre ha spiegato che considera “…un segnale allarmante far derivare da quella vicenda una sequela di iniziative inquisitorie. Chiedere formalmente le mie dimissioni da tutto, sentirmi dire dal gruppo dirigente che ho infangato miseramente la politica, ascoltare Di Pietro invocare misure poliziesche nei miei confronti senza che nessuno del Pd alzi un dito, beh tutto questo mi fa credere che l’episodio in sé c’entri poco. C’entra invece l’idea di un partito in cui il problema è introdurre il reato di lesa maestà”.

 

Insomma l’esponente dalemiano ha ribadito: “…Il pizzino è l’unica ragione per cui chiedo scusa. Ma cattiva politica, no. E’ eccessivo. Ho sbagliato ma che devo fare: impiccarmi? Non credo sia un errore così drammatico“. E ancora: “Era un classico dei partiti stalinisti liquidare i critici accusandoli di intelligenza con il nemico. Non ho mai giocato di sponda con gli avversari. Faccio politica in modo trasparente pensando però che dall’altra parte non ci siano dirigenti politici paragonabili a Hitler”.

Latorre ha rifiutato il sospetto, alimentato dall’episodio del ‘pizzino’, che dietro l’elezione, con i voti della maggioranza, di Riccardo Villari alla presidenza della commissione Vigilanza Rai ci fossero i dalemiani e D’Alema: “…E’ un’accusa stupefacente, perché coinvolgere D’Alema che è all’estero da parecchi giorni? Da lui ho ricevuto una sola telefonata in cui mi rimproverava duramente per la leggerezza. Questa del complotto dalemiano è un’accusa vergognosa funzionale solo a coprire la responsabilità di una condotta politica fallimentare e i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

Secondo Latorre, “…un gruppo dirigente che alimenta certe tensioni crea un clima odioso, bisogna fermare questa deriva. Va definito perciò un luogo, una modalità attraverso la quale confrontarsi in modo serio e rigoroso. Tocca a Veltroni trovarla perché è necessario mettere subito ordine in questa situazione”. Il confronto deve avvenire prima delle elezioni europee, secondo il senatore democratico: “…Il 15 dicembre abbiamo una direzione, lì dobbiamo individuare una sede per discutere e prendere alcune decisioni”.

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