NGN e digital divide: sale a 1 mld l’intervento pubblico, ma per Calabrò (Agcom), servono anche ‘nuove regole e nuovi poteri’

di Alessandra Talarico |

Il Governo attende gli esiti della ‘ricognizione’ affidata a Francesco Caio per stabilire procedure e modalità dell’intervento.

Italia


Banda larga

Sarà pari a 1 miliardo di euro la partecipazione pubblica alla realizzazione della rete NGN in Italia. Un investimento equivalente all’incirca al 10% della spesa complessiva necessaria per realizzare l’infrastruttura, inserito in un progetto Paese che punterà anche a stimolare la domanda, che risulta essere ancora molto debole.

Lo ha annunciato il sottosegretario allo sviluppo economico Paolo Romani che ha partecipato a Venezia al CEO Summit ‘Beyond Broadband’, che ha riunito diversi esponenti dell’industria e delle istituzioni per discutere le prospettive di crescita dell’industria e le possibili soluzioni condivise che possano assicurare che solidi investimenti siano realizzati, mantenendo un quadro competitivo stabile.

  

Agli 800 milioni di euro già stanziati dal governo nell’ultima finanziaria, se ne aggiungeranno altri 200, “per portare la banda larga e larghissima in tutta Italia e tornare a essere il crocevia dello sviluppo tecnologico in questo settore”, ha spiegato Romani.

  

Le procedure e le modalità di intervento, però, non sono ancora stabilite: si aspettano infatti i risultati della ricognizione preliminare affidata a Francesco Caio, che nei prossimi tre mesi effettuerà un’analisi sul ruolo che pubblico e privato dovranno giocare nel piano di sviluppo della nuova rete, anche al fine di individuare quelle zone del Paese che andranno coperte con la fibra ottica e quelle invece in cui sarà il wireless a svolgere un ruolo da protagonista, una questione che va risolta per meglio indirizzare gli investimenti.

Caio, che ha già svolto questo compito in Gran Bretagna, guiderà quindi una task force che si occuperà di indirizzare la realizzazione della rete, “che non si può lasciar fare solo al mercato”, ha spiegato Romani, sottolineando che “c’è bisogno di un sostegno pubblico per dare ai cittadini un servizio che riteniamo trainante anche per la ripresa economica”.

  

Il governo si impegna dunque a porre le basi per la realizzazione dell’infrastruttura, che dovrebbe arrivare a coprire gran parte del paese entro i prossimi 5 anni e a creare una ‘cultura digitale‘ attraverso l’aumento della conoscenza del fenomeno e soprattutto “giocando un ruolo propositivo”, partendo dalla digitalizzazione dei servizi pubblici, ma anche pensando alla salvaguardia degli investimenti degli operatori. “Dovranno esserci benefici per gli operatori del settore, facendo pagare di più i servizi migliori, gli operatori che investono di più devono essere incentivati a farlo”.

  

Come ha sottolineato anche il presidente della IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, Mario Valducci, infatti, “in una fase critica da un punto di vista finanziario ed economico come l’attuale, l’Europa ha la possibilità di agire attraverso interventi economici anticiclici quali l’investimento in reti NGN a banda larga che consentono eccellenti ritorni in termini di PIL e il coinvolgimento di una grande fetta dell’industria manifatturiera ad alta tecnologia”.

Ed è in questa fase che risulta essenziale l’impegno del Parlamento “per trovare le migliori soluzioni possibili allo sviluppo di una rete di nuova generazione, vero punto di partenza per la competitività dell’Italia’.

  

Presente al Ceo Summit di Venezia anche l’on. Luca Barbareschi, vicepresidente della IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, secondo il quale l’evento ospitato da Telecom Italia “testimonia ruolo e peso delle reti di telecomunicazioni per lo sviluppo economico, per il rilancio dell’economia e per la crescita socio-culturale dei cittadini”.

Barbareschi si è quindi soffermato sul ruolo dei contenuti per il futuro delle telecomunicazioni, sottolineando che “…la diffusione del broadband e la possibilità di contare su un’ampiezza di banda sempre maggiore non va vista solo in funzione della semplice erogazione di servizi di entertainment, quanto guardando al ruolo dirompente dei contenuti digitali nel loro complesso, con particolare riferimento anche ai flussi delle pubbliche amministrazioni. Infine, va sottolineato come la diffusione della banda larga sia elemento imprescindibile per l’affermazione dei processi di accesso ai saperi e di riformulazione e definizione di vecchie e nuove competenze”. 
   

“La politica – ha concluso Barbareschi – deve fare il suo dovere nell’individuare le direttrici fondamentali del nuovo sviluppo, nel rispetto delle prerogative d’impresa, dei diritti dei consumatori, ma innanzitutto guardando ai nuovi profili della società dell’informazione e della conoscenza diffusa verso la quale abbiamo il dovere di accompagnare le nuove generazioni”.

  

Che spetti al pubblico definire “regole incentivanti” per le reti di nuova generazione è un dato scontato, ma a intervenire concretamente dovrebbero essere, per il presidente Agcom Corrado Calabrò, le amministrazioni pubbliche su ogni livello, anche comuni e province, ciò, ovviamente, “senza escludere l’intervento privato” in una rete che necessita investimenti che vanno dai 10 ai 15 miliardi di euro e sempre ribadendo un fermo no “al monopolio pubblico, al ritorno allo statalismo”.

  

A monte servono però regole certe e soprattutto comuni, transnazionali, ma flessibili per adattarsi alle diverse situazioni nazionali, perchè è ormai un dato riconosciuto che le reti a banda larga sono un traino per le economie avanzate e un’occasione di sviluppo per quelle emergenti, soprattutto in presenza di un contesto economico così incerto come quello attuale.

  

“Si preparano tempi difficili – ha sottolineato Calabrò – la competitività non può essere più trainata dai servizi voce e anche il broadband tradizionale rischia di essere alle corde”.

“Le TLC – ha aggiunto – rappresentano la maggiore fonte di crescita nei paesi avanzati, più di metà della crescita del Pil: e le prospettive di crescita sono legate agli investimenti in particolare nelle reti di nuova generazione”.

 

L’attuale contesto economico apre nuovi scenari per lo sviluppo di servizi ICT in grado di contenere i costi, ma per realizzare questo fondamentale passaggio verso la connettività ultra-veloce servono anche “poteri nuovi”.

Gli strumenti in mano ai regolatori, secondo Calabrò, non sono sufficienti, “non basta il coordinamento, non basta la separazione Open Reach od Open Access e neppure la bozza di raccomandazione sulle reti di nuova generazione: servono nuovi strumenti e una strategia comune”.

  

Va ripensato, insomma, il modello delle Autorità, prevedendo poteri nuovi per le reti di nuova generazione, dal momento che  ha sottolineato il presidente Agcom, “non si può promuovere l’inesistente con le stesse regole con cui si regola l’esistente” e bisogna inoltre considerare che i finanziamenti necessari non sono sostenibili da un solo operatore.

 

Anche se, in ultima analisi, la domanda di servizi a banda larga super veloce non è ancora sufficientemente matura nel nostro Paese, bisogna iniziare a lavorare ora a porre le basi per un futuro in cui la maggior parte delle comunicazioni, dei servizi, dell’intrattenimento passerà attraverso le NGN a banda larga.