Tlc: l’Italia in grave ritardo sulle infrastrutture. Per Calabrò serve un ‘detonatore’ per evitare l’involuzione

di Alessandra Talarico |

Per Corrado Calabrò (Agcom), lo sviluppo delle NGN non può essere affidato solo al mercato: 'Sta alle forze politiche definire un piano strategico che individui una serie di interventi coordinati e coerenti'.

Italia


Corrado Calabrò

Si è svolta questa mattina, presso la Commissione Trasporti, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l’audizione del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò.

 

Il presidente Calabrò ha illustrato – ancora una volta – i paradossi del mercato italiano delle telecomunicazioni dove, a fronte di un utilizzo dei servizi e delle tecnologie tra i più alti al mondo, continuano a registrarsi ritardi infrastrutturali che rischiano di vanificare “gli indiscutibili successi derivanti dalla liberalizzazione del settore”: sviluppo economico, benessere sociale e contenimento dell’inflazione.

 

Se non si affronteranno subito le problematiche più stringenti – innanzitutto quelle relative all’accesso paritario alla Rete di Telecom Italia, agli investimenti nelle reti di nuova generazione e al sostegno alla domanda – il nostro Paese rischia di entrare in una fase di stallo, che Calabrò ha definito “un circuito vizioso involutivo”, alimentato da una parte dal basso livello di alfabetizzazione informatica della popolazione che “rende la domanda interna di servizi broadband strutturalmente scarsa, inidonea ad attirare gli investimenti necessari alla realizzazione delle nuove reti”; dall’altra parte, dall’assenza di queste infrastrutture, che ostacola “lo sviluppo e la diffusione su larga scala di servizi integrati di comunicazione, indispensabili per innescare un nuovo percorso di crescita di tutto il comparto”.

 

Nonostante infatti il settore italiano delle telecomunicazioni sia in controtendenza rispetto all’andamento generale dell’economia – tariffe in calo dello 0,4% per un fatturato complessivo di circa 45 miliardi di euro (pari a più del 4% del PIL nazionale) – sembra mancare la volontà di realizzare un piano strategico in grado di far recuperare al nostro Paese il divario tecnologico col resto del mondo: come dire non solo siamo indietro rispetto al resto d’Europa  e del mondo, ma invece di avvicinarci, ci allontaniamo.

 

I primi segnali di crisi cominciano intanto a intravedersi: lo scorso anno, per la prima volta da un decennio, il tasso di crescita in valore del settore tlc ha segnato una battuta d’arresto e potrebbe essere solo l’inizio di un trend che proseguirà nei prossimi anni.

 

A ciò è da aggiungere il gap sul fronte della banda larga: la tecnologia raggiunge appena il 18% della popolazione italiana, rispetto al 24% di media europea, con punte di oltre il 30% nei paesi nordici. Se questo non bastasse, ancora più preoccupante è la decelerazione del tasso di crescita della banda larga: negli ultimi 3 mesi, la crescita delle connessioni è stata pari al 2%, contro il 4,2% dello stesso periodo 2007 e il 6,6% dell’anno precedente.

 

I problemi, dunque, sono molti e complessi, le soluzioni condivise non sembrano essere dietro l’angolo.

 

Per l’Autorità serve “un detonatore”, ossia un intervento in grado di innescare un percorso virtuoso, “capace di autoalimentarsi”.

Un mix di incentivi, strategie industriali e sviluppo culturale che, però, potrà dare vantaggi concreti solo se vi sarà la volonta di porre la risoluzione delle diverse problematiche del mercato in cima agli obiettivi del Paese.  

 

La realizzazione di una rete di trasmissione strutturalmente adeguata è, secondo Calabrò, il presupposto imprescindibile “perché il settore delle tlc prosegua il suo sviluppo”, ma come fare per attrarre nuovi investimenti e realizzarla?

Il governo deve intervenire con sovvenzioni alle nuove reti super-veloci, o bisogna lasciar fare al mercato, come sostiene l’Authority britannica?

 

Per quanto riguarda la questione del futuro assetto della rete di accesso di Telecom Italia, la creazione di Open Access – definita da Calabrò una “parente stretta” di Openreach di British Telecom – e i relativi impegni della società telefonica per aprire il mercato alla concorrenza effettiva dimostrano che c’è una “incoraggiante disponibilità” da parte dell’ex monopolista sul tema della separazione della rete.

Una soluzione “positiva” della questione “non dovrebbe essere lontana”, mai il ‘confronto’ con Telecom Italia è ancora in atto e sembra praticamente impossibile arrivare oltre la cosiddetta separazione funzionale, e cioè a una separazione societaria, dal momento che una simile strada non è ancora stata percorsa in nessun altro Paese.

 

L’indipendenza e l’imparzialità di Open Access, ha spiegato il presidente Agcom, saranno garantite “da un board di garanzia che vigilerà sulla corretta esecuzione degli obblighi di separazione e di cui faranno parte anche componenti nominati dall’Autorità”.

 

A questo punto, ci si chiede quindi: chi dovrà sostenere gli investimenti per la nuova infrastruttura?

La realizzazione ex novo di una rete capillare in fibra ottica costerebbe tra gli 8 e i 15 miliardi di euro e a regime potrebbe generare un aumento del Pil dell’1,5 ma, sottolinea Calabrò, Telecom Italia “non ha un cash flow sufficiente a destinare agli investimenti nella nuova rete le somme necessarie”.

 

Secondo uno studio pubblicato nei giorni scorsi in Gran Bretagna, a cura di Francesco Caio, i governi non dovrebbero accollarsi il finanziamento delle nuove reti a banda larga: il compito dovrebbe essere lasciato all’industria e alla concorrenza tra le diverse tecnologie.

Secondo Calabrò, invece, la realizzazione delle reti a larghissima banda non può essere lasciata al solo mercato, ma occorre l’intervento dello Stato: come sottolineato anche nel corso della precedente audizione alla Camera, a luglio, “sta alle forze politiche definire un piano strategico che individui una serie di interventi coordinati e coerenti, finalizzati a far compiere al sistema il necessario salto di qualità”.

 

Né appare conveniente dal punto di vista economico imporre un regime basato sulla concorrenza fra infrastrutture: neanche gli altri player attivi in Italia hanno infatti risorse sufficienti a installare una rete per loro conto.

 

Qual è, quindi, la soluzione?

“Sul piano dei modelli astratti si potrebbe ipotizzare – spiega Calabrò – la costituzione di una società dedicata alla realizzazione ed alla posa della rete in fibra ottica”.

Questa ipotesi consentirebbe la partecipazione al progetto di investitori privati e pubblici la cui presenza sarebbe giustificata “anche dalla presenza di rilevanti ricadute sull’intero sistema economico e sociale del Paese, rendendo i benefici sociali derivanti dalla costruzione delle nuove reti assai maggiori di quelli privati”.

 

Si tratta comunque di una mera ipotesi “con costi e benefici ampiamente dibattuti in letteratura, ma che finora non è stata realizzata in concreto in nessun Paese d’Europa, eccetto in Nord Europa a livello locale”, ha specificato Calabrò.

“Comunque – ha aggiunto – ogni decisione al riguardo è rimessa esclusivamente alle aziende, non rientrando tra i poteri di questa Autorità quello d’imporre alle società qualsiasi soluzione che incida sulla struttura societaria”.

 

Nel frattempo, dunque, l’unica strada – ormai consolidata a livello internazionale – “è quella di subordinare i finanziamenti pubblici all’obbligo di apertura delle infrastrutture”.

 

Qualsiasi sarà la soluzione, comunque, l’Autorità continuerà a battersi “per il giusto riconoscimento del ritorno del capitale investito nelle reti di comunicazione”. Qualunque regolazione delle tariffe, ha aggiunto Calabrò, deve “tenere conto di questo aspetto, altrimenti non ci saranno incentivi all’investimento”.

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