L’ipotesi di separazione societaria della rete di Telecom Italia: il difficile equilibrio fra valore e concorrenza

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L’articolo che segue, a firma di Sandro Frova, è tratto da la-rete.net (www.la-rete.net), il nuovo sito che intende sostenere il dibattito sulla società dell’informazione in Italia.

 

Molti si aspettavano dal Telecom Day del 7 marzo indicazioni precise sulle strategie di sviluppo della rete/NGN di Telecom Italia.

Così è stato, ma nel segno opposto a quanto auspicato dagli ottimisti: le osservazioni in tema di disciplina finanziaria, attenzione al payback period, compressione delle CAPEX, nonché la conferma che almeno sino al 2010 l’ADSL2 rimarrà il pilastro portante della banda larga, dicono infatti con chiarezza che TI non è al momento disposta ad investire granché sulle NGN. Resta dunque aperto il dibattito sulla eventuale separazione, dato che la scelta attuale della società è quella di procedere solamente ad una ristrutturazione organizzativa interna con la creazione di Open Access, una sorta di dipartimento. Le affinità con il caso inglese, in cui BT ha attuato una separazione divisionale della rete, sono limitate al solo linguaggio, dato che Open Access costituisce una sintesi di Open Reach (la divisione di BT realmente separata e “protetta” da significativi chinese walls) e di Equality of Access (il principio concorrenziale di non discriminazione fra competitors).

 

L’annunciata ristrutturazione organizzativa da un lato, il rinvio delle scelte strategiche che contano dall’altro, lasciano aperta, anzi forse più aperta che mai, l’opzione di una eventuale, ma non immediata, separazione societaria della rete: un tema complesso, che tocca diversi aspetti nodali per TI, per la concorrenza, per la competitività stessa del nostro sistema economico.

 

Ricordo che il progetto di separazione della rete di TI tratteggiato di recente da autorevoli operatori ed esperti era così articolato:

  • Separazione societaria della Rete;

  • Quotazione della nuova società;

  • Mantenimento da parte di TI di una quota di partecipazione classificabile come  “di controllo”;

  • Ingresso di investitori specializzati: fondazioni, CDP, F2i, fondi di investimento; non è chiaro quale possa essere il flottante lasciato al mercato, ma pare evidente che non si tratterebbe di una vera e propria public company e che quindi non vi sarebbe -anche volendo-  contendibilità.

 

Se dovesse svolgersi in questo modo (peraltro, anche una separazione societaria senza quotazione lascerebbe aperte le medesime aree di criticità), la separazione comporterebbe, in sintesi, che da un lato TI raccoglie cassa e mantiene il controllo della essential facility, dall’altro vengono nei fatti depotenziate le eventuali conseguenze per TI di una separazione con annesse condizioni di equality; rimarrebbero poi zone d’ombra con riferimento alla NGN ed alla liberalizzazione dei prezzi retail.

E’ un progetto che da un lato avrebbe il pregio di rimettere in moto, finalmente, gli investimenti tanto invocati; dall’altro porterebbe con sé tre rischi principali:

 

1)    Che attraverso un alto prezzo di quotazione si attualizzino, a tutto vantaggio di TI, elevati margini futuri implicitamente connessi ad un quasi monopolio. In altri termini, se la valorizzazione della Newco Rete sarà alta grazie agli elevati margini, quotando e facendo cassa subito TI si appropria del reddito monopolistico futuro, e non corre dunque neppure il rischio che prima o poi la rendita monopolistica venga a cadere. Dunque, a prescindere dai risultati futuri della Newco, TI avrà comunque un significativo vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, estraendo dalla quotazione le rendite quasi monopolistiche future con cui implementare le proprie strategie competitive attuali. Se poi la Newco genererà effettivamente extra-profitti, un obiettivo che starà certamente a cuore agli investitori finanziari, meglio ancora per TI che, in quanto socio industriale di controllo (anche se relativo) ne avrà il ritorno via dividendi. Per inciso, le valutazioni che sono circolate ufficiosamente variano fra i 10 ed i 20 miliardi di euro.

2)    Che avendo attuato la separazione societaria TI faccia passare l’idea – su cui ha già insistito – che venga meno la ragione dell’intervento regolatorio.

3)    Che un’eventuale convergenza d’interessi fra TI e Stato/Istituzioni, ad esempio sul tema del digital divide, si svolga a discapito della concorrenza e dello sviluppo concorrenziale del settore.

 

Dal punto di vista della concorrenza, se il valore della Newco Rete riflettesse eccessivi valori del capitale investito e una struttura dei costi non pienamente efficiente, oltre che prezzi “elevati”, l’ipotesi di quotazione con TI che rimane azionista di riferimento diverrebbe doppiamente preoccupante: l’operatore dominante mantiene il controllo operativo e strategico, incassa attraverso la cessione di una quota significativa (diciamo il 70%?) un prezzo che riflette “elevati” profitti futuri, e mantiene probabilmente un elevato flusso di dividendi futuri. Con tali capitali l’impresa dominante non potrebbe che vedere migliorata la propria posizione competitiva rispetto agli altri concorrenti.

 

La preoccupazione crescerebbe se si pensa che, naturalmente e comprensibilmente, gli investitori istituzionali non possono che vedere di buon occhio una posizione di forza, al limite monopolistica, in quanto in tale ipotesi riuscirebbero ad ottenere una -per loro – assai apprezzabile combinazione di basso rischio ed alto rendimento.

Il rischio concreto sarebbe che, in un potenziale contesto di parziale o totale assenza di regolazione e controllo che dovesse risultare dalla negoziazione degli impegni,  la convergenza di interessi fra operatore dominante ed investitori istituzionali fosse tale da spingere all’insù il valore della Newco Rete  e -per le ragioni sopra ricordate- all’ingiù la forza competitiva degli OLO.

 

Se non ci si volesse infilare nel ginepraio sopra descritto, allora, le eventuali scelte di separazione tornano agli schemi classici:

 

A)    Separazione funzionale, ma non societaria: modello all’inglese, con forte controllo esterno e chinese walls, unito ad un indispensabile sostegno alla capacità di enforcement del regolatore.

B)    Separazione societaria (se TI vuole fare cassa): mantenimento delle regole attuali ed imposizione di un controllo all’inglese; in altri termini, la separazione societaria non può far dimenticare tutto quanto si è detto in questi mesi sulla separazione funzionale. In questo caso, però, riterrei necessario che il prospetto informativo ed il business plan della quotazione siano trasparenti e “condivisi”, nella parte prezzi/mercati, da AGCOM ed AGCM.

C)   Non succede nulla, ovvero non vi è separazione funzionale o societaria: rimane la situazione attuale, con TI soggetta a regole ma -probabilmente- incapace di sostenere un piano di investimenti a medio termine nella NGN che non sia minimalista. E, in effetti, il piano di investimenti al 2010 fatto intuire il 7 marzo sembra riflettere molta cautela, unita all’esigenza di tenere sotto controllo gli equilibri economico/finanziari dell’azienda. Per il sistema Paese questo rimane un punto oltremodo dolente; non solo perché lascia aperta una situazione concorrenziale non accettabile (si vedano in proposito i richiami dell’AGCOM), ma anche perché cresce il rischio che le pur legittime scelte dell’operatore dominante allontanino, più che avvicinare, l’individuazione di soluzioni maggiormente orientate allo sviluppo.

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