Scenario. La Finanziaria e l’audiovisivo: i cinema-people col fiato sospeso e Sky sul piede di guerra

di di Angelo Zaccone Teodosi e Bruno Zambardino (IsICult - Istituto Italiano per l'Industria Culturale) |

Italia


Angelo Zaccone Teodosi

Il pentolone cuoce, molta carne è sul fuoco, ma le previsioni sono ancora incerte: “passeranno” o non passeranno i famigerati articoli 7 e 40 della proposta di Legge Finanziaria, come desiderano il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli ed il suo collega delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, per… dire finalmente qualcosa “di sinistra” al popolo dei cinematografari, dopo un anno e mezzo di deludente governo Prodi?!

 

Premettiamo ancora una volta che questa Finanziaria presenta – per il settore audiovisivo – un guizzo di vitalismo innovativo, ma senza dubbio alcuno la politica culturale e mediale del Governo Prodi resta assolutamente deficitaria di lungimiranza, di strategia, di riformismo. Non saranno queste rondini (se riusciranno a prendere il volo) a far primavera. Manca una architettura complessiva della politica culturale e mediale italiana. Si procede alla giornata, si governa day-by-day. Un “policy making” del tipo “tiriamo a campà”. D’altronde, la confusione del “programma” dell’Unione non lasciava prevedere nulla di buono e l’esito delle elezioni ha consegnato agli italiani un esecutivo debole e fragile.

Ricordiamo che il citato articolo 7 introduce agevolazioni fiscali a favore del settore cinematografico (il cosiddetto “credito d’imposta”), mentre l’articolo 40 estende a Sky Italia gli obblighi di investimento in produzione audiovisiva europea indipendente (imposti dal 1998 a Rai e Mediaset e La7, ovvero alle emittenti televisive nazionali free-to-air) ed introduce il principio che anche le società di telecomunicazioni che veicolano contenuti audiovisivi originali debbano essere sottoposte ad obblighi produttivi.

Più esattamente, il primo prevede l’introduzione di alcuni meccanismi di incentivazione fiscale (essenzialmente un credito di imposta) che dovrebbero determinare un rafforzamento industriale del settore e l’ingresso di nuovi investitori; il secondo estende a Sky Italia l’obbligo di investimento in opere audiovisive europee, introdotto in Italia nel 1998, nell’applicazione della direttiva europea “Tv senza frontiere”, e prevede che anche le società di telecomunicazioni che veicolano contenuti audiovisivi siano presto soggette ad obblighi simili…

 

Abbiamo già illustrato in dettaglio su queste colonne la portata delle due proposte norme (vedi l’articolo “Finanziaria 2008: i ‘pacchetti’ Rutelli e Gentiloni a favore del ‘content’ audiovisivo. Sky Italia e le tlc pagano dazio?“, su Key4biz del 5 ottobre). Siamo stati i primi in assoluto a sottoporre l’argomento all’opinione pubblica di settore, insieme al collega Marco Mele su “Il Sole-24 Ore”.

Le norme hanno (avrebbero) carattere senza dubbio innovativo, se non addirittura rivoluzionario, considerando la staticità soporifera del sistema mediale italiano, che vede sempre più forti i triopolisti Rai + Mediaset + Sky Italia: va enfatizzato che, in Italia, caso unico in Europa, è quasi impossibile riuscire a “montare” i finanziamenti per una opera cinematografica o per una fiction tv o per un documentario, senza il viatico di almeno uno dei primi due e la benedizione del terzo.

La “mano pubblica”, nel cinema almeno, ormai, conta sempre meno, e i finanziamenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ridottesi nel corso degli anni, non hanno più né ruolo centrale, né forza propulsiva, nell’economia complessiva dell’industria audiovisiva nazionale.

 

Nel business televisivo, i decision maker sono e restano 2 e 2 soltanto: Rai e Mediaset. Impossibile produrre fiction – almeno di alta gamma – senza il placet di questi due player. In questo, il mercato italiano è uno dei più bloccati del mondo.

L’articolo 7 della Finanziaria non prevede nuove spese per lo Stato, ma nella relativa “tabella” in Finanziaria è stata prevista una copertura nell’ordine di 20 milioni di euro (ci risulta che la stima dei minus ricavi che lo Stato potrebbe dover affrontare sia stata effettuata con criteri prudenziali).

Nelle ultime settimane, il “piccolo mondo” dei cinematografari (alcuni dei quali sono peraltro sempre più intrecciati con la produzione di fiction audiovisiva) è in attesa: fiduciosa scettica preoccupata al contempo. Dipende dal giorno (e dalle lune, se volessimo parafrasare Lelouch), dalla dichiarazione, dalla sortita in un convegno, dai rumores e dai boatos di Montecitorio…

 

Il Governo è debole, la sua maggioranza fragile, e bastano pochi voti a ribaltare l’esito di alcune proposte.

Per esempio, nei termini previsti dalle procedure e regolamenti (la scadenza era prevista al 18 ottobre), l’ex esponente della maggioranza ed ora libero battitore Willer Bordon, ha presentato in Senato alcuni emendamenti che riproducono esattamente la originaria proposta di legge della responsabile spettacolo di Forza Italia, Gabriella Carlucci, che ha tentato – prima in Italia – di introdurre agevolazioni fiscali più avanguardiste del “credito di imposta” proposto ora dal Governo: la proposta di Carlucci per il tax shelter mantiene tutta la sua innovatività, e la “strana coppia” Bordon-Carlucci è sintomatica di una dinamica ormai “trasversale”. Peraltro, che la necessità di un “salto di qualità” – nell’economia complessiva dell’industria audiovisiva italiana – sia percepita unanimemente “a destra” come “a sinistra”, è un dato di fatto oggettivo, tale da convincere sia un esponente della ex maggioranza sia un’esponente dell’opposizione. Bordon, nell’economia del Governo, conta oggi molto, anzi moltissimo. E quindi non va nemmeno escluso che, nella baraonda delle votazioni sugli emendamenti (con un caos degno di una casbah e mercanteggiamenti tipici di un suk), possano essere approvati sia gli articoli 7 e 40 della Finanziaria, sia gli emendamenti propugnati da Bordon e Carlucci. Il… “combinato disposto” di queste norme (si tratterebbe di una vera esplosiva sinergia fiscal-propulsiva!) svecchierebbe rapidamente i meccanismi vetusti ed arrugginiti della produzione italiana di immagini. Per gli appassionati del caso, si ricorda che la proposta Bordon reca il n. 1642 Atti Senato, comunicato il 14 giugno 2007, mentre quello originario di Carlucci reca il n. 2303 Atti Camera, comunicato il 28 febbraio 2007: le due proposte recano titolazioni differenti, ma i testi delle ipotesi di legge sono assolutamente identici.

 

Cosa è accaduto, dalla data di pubblicazione della nostra ultima sortita su Key4biz fino alla fine di ottobre?

IsICult cura per queste pagine un monitoraggio istituzionale-politico-economico e questo aggiornamento, a distanza di tre settimane, appare opportuno, anche solo per fornire una “mappatura” dei player in gioco.

Ecco quindi una serie di annotazioni, in ordine sparso, su alcuni eventi e prese di posizione, che meritano essere ricordati (anche se alcuni sono stati già oggetto di nostre pubblicazioni su Key4biz che troverete a piè di pagina).

 

 

Il festival di cinema e televisione Eurovisioni (14-18 ottobre 2007)

 

In questo contesto, non è emerso nulla di particolarmente innovativo, se non forse una qual certa illusione dei “policy maker” italiani nei confronti delle sorti luminose e progressive della distribuzione via internet di contenuti audiovisivi. Come abbiamo avuto occasione di sostenere, nella veste di “key-note-speaker” dell’atelier III di Eurovisioni, il rischio concreto è quello dell’illusione di una “manna digitale”. Per molti anni ancora, da internet non verranno flussi di ricavi significativi e le fonti di finanziamento della produzione di cinema e di fiction e di documentari resteranno quelle storico-tradizionali. Il rischio reale è quello di un paradossale impoverimento complessivo dell’economia della filiera audiovisiva, a tutto vantaggio della pirateria. In argomento, rimandiamo alla presentazione IsICult ad Eurovisioni, riportata anch’essa a piè di pagina, ma si vedano anche “A Roma, Eurovisioni 2007: come finanziare la creazione audiovisiva? Nuove strategie nel quadro della diversità culturale” del 14 ottobre 2007, eEurovisioni 2007. Creazione audiovisiva: necessario incentivare la filiera della produzione italiana, in particolare il cinema indipendente” del 17 ottobre 2007.

 

   

La Festa del Cinema di Roma (18-27 ottobre 2007): World Going Digital, il seminario di ANICA ed API

 

Il seminario promosso dalla ANICA e dall’API, l’associazione dei produttori indipendenti,rimane uno degli incontri senza dubbio più interessanti ospitati nell’ambito della Festa del cinema (si veda “World Going Digital. Contenuti digitali e 3° e 4°schermo. P. Ferrari (Anica): I 2/3 della popolazione non riesce ad andare al cinema. Il digitale lo porterà nelle loro case” su Key4biz del 29 ottobre 2007. Degno di attenzione anche il seminario finale del ciclo “Cinema e reti“. Venerdì scorso, 26 ottobre, presso il Villaggio Cinema dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, sempre nel quadro della Festa del Cinema di Roma e in particolare delle iniziative svolte da Club – “The Business Street“, si è svolto l’ultimo incontro del ciclo di seminari “Cinema e Reti”,  promosso da Api – Associazione degli Autori e Produttori Indipendenti. Avviato nel mese di aprile di questo anno, il ciclo si è articolato in quattro intense giornate dedicate all’approfondimento del mercato, delle tecnologie, degli aspetti legali e dei nuovi modelli di business. A livello internazionale, il comparto cinematografico sta subendo una profonda trasformazione, per effetto della crescita significativa del settore “digitale” attraverso “pay tv” ed “iptv“, e, in generale, dei servizi di noleggio e vendita “on-line”, in grado di offrire, a prezzi ridotti e modalità più accessibili, tutti film di recente uscita nelle tradizionali sale cinematografiche.

 

In Europa, si stima che, su 13,2 miliardi di euro ricavi derivanti complessivamente, nel 2006, dallo sfruttamento commerciale dei prodotti cinematografici, solo 19 milioni di euro provengano dallo sfruttamento di film in modalità “video-on-demand” (“vod”) ed “on-line”, ovvero uno 0,1 % del totale.

Secondo alcune previsioni accreditate, la crescita sarà però notevole: i ricavi del cinema “on-line” saranno già 206 milioni di euro alla fine del 2007, e raggiungeranno 1 miliardo di euro nel 2010.

In quell’anno, quindi, l'”on-line movie revenues” rappresenteranno un 7 % del totale dei ricavi dei film cinematografici; si osservi che, nello stesso anno, il “box-office” planetario viene stimato in 6,8 miliardi di dollari.

La cronologia dei media, cioè il dispositivo delle “finestre temporali” di sfruttamento esclusivo (“window“), riservate ai diversi segmenti del sistema audiovisivo, è destinata ad assottigliarsi progressivamente.

 

Da questi numeri, emerge un dato incontrovertibile: la rete è verosimilmente destinata a divenire la principale infrastruttura per la distribuzione dei contenuti digitali. E lo sarà sempre più grazie al processo di penetrazione della banda larga, in corso anche nel nostro Paese (seppure con tassi di crescita inferiori agli altri mercati). Questo lo scenario che hanno di fronte (volenti o nolenti) ideatori e produttori di contenuti, titolari di diritti, distributori tradizionali, ed anche i “policy maker”. Soggetti che all’interno della filiera cinematografica potrebbero ricoprire un ruolo-chiave in un panorama mediatico completamente mutato, a patto di saper cogliere le opportunità derivanti da un corretta ed efficace gestione dei diritti e da nuove relazioni con un consumatore sempre più attivo e partecipe. Fattore vincente dell’iniziativa sia in termini di efficacia organizzativa sia di qualità dei contenuti, uno staff tecnico e di coordinamento affidato a quattro professionisti quali Peter Kruger ed Erik Lambert (esperti di  nuovi media), Barbara Bettelli (avvocato esperto di diritto d’autore e contrattualistica, contitolare dello studio legale Vbl di Roma, specializzato in tematiche dell’industria culturale), e Rossella Mercurio (braccio destro di Angelo Barbagallo in Api, e vera anima operativa dell’iniziativa).

 

Il bilancio del ciclo di seminari è molto positivo per almeno due ordini di motivi:  

  • l’originalità dell’approccio: è la prima volta che una associazione di categoria coinvolge i propri associati e gli addetti ai lavori in un contesto didattico-formativo altamente professionalizzante, nel quale si dibatte delle più recenti evoluzioni del “content” audiovisivo alla luce della convergenza delle reti e della progressiva smaterializzazione dei diritti. I “cinematografari” escono fuori dal proprio recinto più o meno dorato, e si confrontano con i massimi sistemi e le nuove frontiere distributive, dalla iptv alle piattaforme “p2p” e allo straordinario sviluppo del “video-on-demand” nelle sue differenti declinazioni;

  • la docenza specialistica e il taglio non accademico: sono stati coinvolti un buon numero di esperti nazionali ed internazionali di grande spessore, tutti provenienti da importanti aree del business, quasi tutti in possesso di una dote rara, quella di una forte capacità espositiva legata a tematiche di stringente attualità, apprezzabile in un contesto particolarmente complesso quello della convergenza digitale. 

L’ultimo incontro si è rivelato particolarmente ricco di suggestioni e spunti di riflessione per le potenzialità che legano i nuovi vettori distributivi con il mondo dei contenuti ivi compresi quelli autoprodotti.  Al tavolo dei relatori, si sono alternati i responsabili marketing dei principali portali (Google, MySpace, Msn di Microsoft) e operatori di telecomunicazioni operanti in Italia (Fastweb, Telecom Italia Media e Tiscali).

Le presentazioni si sono concentrate sui servizi cinematografici erogati e sulle modalità di coinvolgimento dei fornitori di contenuti. Va dato atto all’Api di aver scommesso su un progetto di grande rilevanza, in quanto incide sulla formazione continua e sull’aggiornamento professionale degli operatori del settore. Pur non disponendo degli stessi mezzi dell’altra ben più strutturata associazione nazionale di categoria (la storica Anica), l’iniziativa ha lasciato il segno in un panorama formativo troppo spesso lasciato all’improvvisazione e alla scarsa professionalità. L’augurio è che i materiali utilizzati negli incontri vengano messi a disposizione on-line, a favore di tutta la “comunità” del cinema italiano, e che seguano nuove edizioni, nella certezza che l’iniziativa ha ampiamente raggiunto gli obiettivi prefissati, ovvero quello di fornire ai produttori nazionali i principali strumenti conoscitivi per una corretta gestione dei nuovi modi di consumo e dei nuovi canali distributivi resi disponibili da internet.

 

 

La Festa del Cinema di Roma/II: il video dei Cento Autori “Lettera allo spettatore” (27 ottobre 2007)

 

Nell’economia della kermesse romana, va segnalato che l’ormai dominante (ma non prepotente) associazione Cento Autori (promotori, il 7 maggio 2007, di una grande giornata di mobilitazione all’Ambra Jovinelli e firmatari del documento “Per una costituente del cinema e della tv“) ha “trattato” – dicunt i ben informati – con il Presidente Goffredo Bettini la rinuncia ad una azione “contestataria”, ottenendo in cambio di essere “accreditati” finanche istituzionalmente. Invece di una azione di disturbo durante una passarella di star, prima della proclamazione dei premi speciali e ufficiali (durante la cerimonia presentata da Vincenzo Mollica e Martina Colombari), è quindi stato concesso adeguato spazio ai Cento Autori, promotori di “…un cinema fatto nel rispetto degli autori e soprattutto degli spettatori“.

Così è stato proiettato in anteprima il loro primo video, una “Lettera agli spettatori“, diretta da Giuseppe Piccioni. Sullo schermo, si alternano registi, attori, sceneggiatori, esponenti rappresentativi di tutti coloro che lavorano nell’industria cinematografica italiana, che spiegano al pubblico, senza mezzi termini e con un linguaggio abbastanza chiaro (complimenti al “traduttore”), le difficoltà economiche, prima di tutto, che incontra questo mondo di autorialità e professionalità tanto importante per la promozione dell’arte e della cultura italiana.

Il corto si apre con Riccardo Scamarcio e Paolo Virzì. I Cento Autori paragonano i finanziamenti che lo Stato dà alla Fiat, come quelli che assegna all’editoria: quelli ricevuti dal gruppo automobilistico in un solo anno il cinema, che ha lo stesso numero di addetti, li avrebbe in 10 anni; così come l’editoria avrebbe finanziamenti undici volte più grandi rispetti a quelli del grande schermo. Il video denuncia che un colosso come Sky investirebbe nel calcio sei volte in più che nel cinema, quando il grande schermo gli dà più spettatori di quelli che occupano le gradinate degli stadio. Il messaggio finale è esplicito: “Vogliamo un Paese che non sia raccontato solo dalle tv“.

 

Questa azione è un tentativo “soft” di sensibilizzare la classe politica ovvero l’italico Parlamento, a fronte di voci e vociacce che prevedono il prevalere di “poteri forti” (Rai, Mediaset, Sky, Telecom Italia e le altre tlc), rispetto ai due succitati emendamenti.

Il video “Lettera agli spettatori” non è ancora su YouTube, ma può essere agevolmente fruito dal sito dell’associazione stessa: www.100autori.it. Lasciamo ai lettori un’analisi del filmato, che dura 6 minuti (camera fissa, fondo nero, primi piani di una serie di registi, autori, tecnici, che si passano la palla in un rosario di teorizzazioni, con un montaggio secco, piuttosto efficace), e propone una serie di tesi, alcune condivisibili altre meno.

Sostenere che il cinema sia il “settore meno assistito” dell’economia italiana è una provocazione, così come non ha senso raffrontarlo con le sovvenzioni che la mano pubblica ha assegnato nel corso dei decenni alla Fiat!

Emerge comunque una perdurante passatista contrapposizione ideologica tra “cinema” (nel solito senso nobile della categoria metafisica) e “televisione” (responsabile unica – quasi parrebbe – del mal governo della politica culturale italiana). Il video si pone come risposta argomentata alle tesi – spesso sparate senza fondamento – di “Libero” e di coloro che propugnano (con Sky Italia…) una liberalizzazione radicale finanche selvaggia del mercato del cinema (azzerare i finanziamenti pubblici, lasciare che il libero mercato si autoregoli).

Non ci sembra che la risposta dei Cento Autori, comunque ben articolata ed argomentata con intelligenza dialettica, sia comunque del tutto convincente,

 

 

La presentazione della ricerca del Politecnico di Milano (23 ottobre 2007)

 

La ricerca, diretta da Clelia Pallotta (collaboratrice del “Corriere della Sera” in materia di economia dei media), discussa in una tavola rotonda coordinata da Francesco Siliato (consigliere di amministrazione della Fondazione Ugo Bordoni, nonché consigliere del Ministro Paolo Gentiloni), è stata presentata “curiosamente” (casualmente?!) proprio nei giorni caldi del dibattito sulla Finanziaria ed ha visto il direttore della comunicazione di Sky Italia (rappresentante delle emittenti televisive co-committenti dello studio ad intervenire alla presentazione, insieme a Piero De Chiara di Telecom Italia Media ovvero La 7 e Mtv e Qoob) tuonare contro l’italico Stato dirigista ed interventista nella materia culturale.

Sky Italia è preoccupata non solo per l’ipotizzata “tassa di scopo” propugnata dai responsabili cultura dei Ds e della Margherita, Vittoria Franco ed Andrea Colasio (si tratta di una proposta di legge il cui iter sembra ormai insabbiato e comunque per ora bypassata dai “pacchetti” Rutelli e Gentiloni in Finanziaria), ma anche per l’estensione a Sky degli obblighi che la Finanziaria andrebbe ad introdurre (vedi supra).

Tullio Camiglieri, nella migliore tradizione delle battaglie per la “autoregolamentazione” (propugnate da sempre da Mediaset), invoca “tavoli” ed “accordi” intercategoriali (sempre a rischio di consociativismo lobbistico, a parer nostro). Il timore di una norma di legge è evidente: si traduce in decine e decine di milioni di euro di… “sovraccosti”!

Ma Sky Italia, a differenza di CanalPlus, non può lamentare che le proprie casse siano magre. E se tanto investe nei diritti sportivi, è giusto che sostegno anche coloro che realizzano quelle immagini (cinema e fiction) che pure alimentano una delle parti più qualificata del palinsesto dei suoi canali.

Vedi anche l’articolo “Cinema e finanziamenti: prospettive e nuovi strumenti per valorizzare l’industria cinematografica“, su Key4biz del 23 ottobre 2007.

 

 

La presentazione del Master in Produzione Cinematografica e Tv alla Luiss (23 ottobre 2007)

 

Nell’Aula Magna della sede storica dell’università confindustriale, in una “cornice” di alto livello, almeno come “speecher” (da Giancarlo Leone Vice Direttore Generale Rai a Giampaolo Letta Amministratore Delegato Medusa Film), e con una sola strana assenza (il Direttore della Luiss, Pier Luigi Celli, pure annunciato nel programma), è stato presentato un… altro Master.

L’intervento di Gabriele Muccino ha evidenziato il perdurante gap esistente in Italia, tra l’anima autoriale e l’anima industriale del cinema: Muccino ha parlato della cultura del marketing statunitense come se fosse un mito, alla luce della propria esperienza americana (il film “La ricerca della felicità“), mettendo in un qualche imbarazzo sia Leone sia Letta, accusati di non essere all’avanguardia, nelle ricerche di marketing, test di prodotto e simili.

Il Master promosso dalla Luiss sembra ben impostato, ma ancora una volta ci si domanda: a fronte di una industria oggettivamente boccheggiante, v’è necessità di un ennesimo master, per quanto qualificato?

Qualcuno, in Italia, si pone domande (serie) sugli sbocchi professionali (reali) di coloro che vanno a spendere anche 10.000 euro (in sei mesi!) per un investimento su se stessi, spesso destinato a scontrarsi con un mercato (reale) che non richiede assolutamente professionalità così evolute e… accademiche.

Sia consentito osservare che uno degli autori di questo articolo è stato un antesignano in materia, avendo lanciato, nell’ormai lontano 1989, il primo master – in assoluto – mai realizzato in Italia in management delle imprese audiovisive, promosso dall’Anica, dalla III Università di Roma, e finanziato dall’allora Ministero per lo Spettacolo. A distanza di oltre 15 anni, sembra che iniziative come quella promossa dalla Luiss vadano a cozzare con un mercato ben saturo, senza alcuna particolare chance innovativa.

 

 

L’incontro dell’associazione Cento Autori con i vertici di Cinecittà Holding (25 ottobre 2007)

 

Cento Autori è una associazione “informale”, anzi si autodefinisce un “movimento”, e quindi coerentemente promuove spesso iniziative ad alto tasso di informalità. In questo, anche in questo, si distingue da una qual certa “istituzionalità” che ha caratterizzato, per molti decenni, l’associazione storica degli autori cinematografici italiani, l’Anac.

I Cento Autori si riuniscono spesso presso la Biblioteca del Cinema a Trastevere, e, nei giorni scorsi, hanno promosso anche un incontro-dibattito con i vertici di Cinecittà Holding, il gruppo che gestisce l’intervento diretto dello Stato nel settore cinematografico.

Sia consentito osservare che, da quando si è insediato il Governo Prodi, non sembra che nessun vento di riforma abbia scosso gli stabilimenti di Via Tuscolana, che continuano ad avere un ruolo incomprensibile o comunque confuso nell’economia del cinema italiano.

Nessuno, dalle parti del Ministero dei Beni e le Attività Culturali, sembra porsi quesiti sulla efficacia ed efficienza (di valutazioni di impatto, poi, nemmeno l’ombra) di Cinecittà e soprattutto dell’Istituto Luce, che sembrano continuare a vivere (ed a dar lavoro a centinaia di persone, con meccanismi di cooptazione e assunzione che certo non brillano per pubblica trasparenza) soprattutto per alimentare la propria sopravvivenza (scopo primario – insegnano i sociologi dell’organizzazione – degli apparati burocratici).

Ci limitiamo a riprodurre quel che la spesso puntuta agenzia stampa Il Velino ha pubblicato il 29 ottobre scorso: “la partecipazione detenuta dalla società statale Cinecittà Holding in Cinecittà Studios potrebbe avere presto fine. Infatti il Consiglio di Amministrazione della holding statale presieduto da Alessandro Battisti avrebbe dato un primo via libera di massima al progetto di alienazione della quota di circa il 20 per cento posseduta in Cinecittà Studios. Una direzione di marcia tra l’altro auspicata da tempo dalla Corte dei Conti, che ha rimarcato più volte l’anomalia della partecipazione, e che sarebbe stata auspicata anche dal Ministero dei Beni Culturali guidato dal Vicepremier Francesco Rutelli, nella veste di dicastero vigilante su Cinecittà Holding. Ma l’uscita della società pubblica dall’azienda presieduta da Abete, tra l’altro alla presidenza della Bnl, potrebbe avere vari contraccolpi. Infatti, con la dismissione della quota si liberebbero almeno due posti nel consiglio di amministrazione di Cinecittà Studios, dove c’è anche Battisti al momento in rappresentanza appunto di Cinecittà Holding. Inoltre, la fine del legame tra le due società implica, oltre a una rottura di un potenziale canale di finanziamento privilegiato, come quello che avrebbe potuto garantire la holding statale vigilata dal ministero dei Beni Culturali, anche l’acuirsi di attriti tra i vertici delle due aziende“.

Interessante riportare anche il comunicato stampa ufficiale di Cinecittà, nelle parole del Presidente Battisti: “…Abbiamo concordato con i Cento Autori, i quali hanno lamentato una insufficiente comunicazione sulla nostra attività, che ogni 2/3 mesi ci incontreremo alla Libreria del Cinema, avviando così momenti pubblici di informazione e confronto. Soprattutto abbiamo risposto ad alcuni loro timori e domande circa le annunciate riorganizzazione e semplificazione del Gruppo pubblico, spiegando loro che non è nostra intenzione penalizzare in alcun modo l’attività delle controllate. Abbiamo inoltre chiarito loro che il piano di razionalizzazione, consegnato al Ministro Francesco Rutelli, è finalizzato a garantire maggiori opportunità di strategia unitaria e nel contempo la possibilità di disporre in futuro di più risorse“.

Non andiamo oltre, anche perché l’economia… critica di Cinecittà sarà presto oggetto di altri approfondimenti, su queste stesse colonne.

 

 

Vecchi osservatori: “Lo stato delle cose” secondo l’analisi dell’Anac

 

Non è ancora ben chiaro se l’annunciato “Libro Bianco” promosso dalla storica Anac è in fase di realizzazione, o se dovremo limitarci al pur interessante dossier “Lo Stato delle cose“.

L’Anac è attualmente presieduta dall’arguto Ugo Gregoretti, dopo lunghi anni di presidenza di Citto Maselli, ormai Presidente Onorario. Cento Autori ha “scavalcato” a sinistra l’Anac o si pone come movimento meno “ideologico” rispetto alla storica associazione? Ad altri, l’ardua sentenza… Parafrasando un bellissimo film di Wim Wenders, il 1° ottobre, l’Anac ha presentato “Lo stato delle cose”, dossier preparatorio di un “Libro bianco” annunciato da mesi.

Un documento del tutto simile era stato già presentato a Venezia, durante il Festival, nella Villa degli Autori, intitolato “Lo Stato delle cose. La verità sul cinema italiano“. Coautori: Salvatore Pecoraro, Alessandro Rossetti, Nino Russo, Pasquale Scimeca.

L’incontro romano, avvenuto presso la Casa del Cinema, ha inteso fare il punto anche sulla situazione e sull’attività svolta alle Giornate degli Autori durante la 64ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Tra i temi che sono stati affrontati, “Il cinema tra televisioni, digitale e rete“: il cinema ha bisogno della rete o la rete ha bisogno del cinema? Il digitale e la rete cambiano il modo di raccontare storie? Distribuire i film in rete ammazza la sala o crea un nuovo modo di diffusione? E ancora, “Il cinema e la culture tra Stato e Mercato”: fino a che punto è appropriato e giustificato l’intervento pubblico? Come garantire una concorrenziale dinamica tra imprese che non contrasti con la necessaria espansione del pluralismo ideativo e creativo? Come assicurare circolazione e visibilità ai film e alle culture? Oggetto di riflessione è stato anche l’immagine del cinema italiano: è sprecone e clientelare come viene dipinto dai media nazionali?

Il Libro Bianco dell’Anac intende rispondere, incrociando dati statistici e inediti sull’intervento pubblico al cinema, al libro di Renato Brunetta diffuso da “Libero” (vedi infra).

In occasione dell’incontro, si è discusso anche delle iniziative “100 + 1, Cento film e un Paese, l’Italia” e della Alleanza Mondiale del Cinema, che si propone  di contrastare la globalizzazione economica. Sono intervenuti, tra gli altri, Roberto Barzanti e Fabio Ferzetti, rispettivamente, Presidente e delegato generale delle Giornate, nonché i registi Citto Maselli e Emidio Greco.

Il dossier dell’Anac propone un ribaltamento di lettura (e quindi di… frittata?!): il finanziamento pubblico al cinema viene visto come “investimento” socio-economico, e non come mera “spesa” che appesantisce il bilancio dello Stato.

Si enfatizzano anche i “rientri”, nelle casse dello Stato, non solo quelli diretti (imposte e tasse), ma anche quelli derivanti dai tanti “moltiplicatori” che l’industria del cinema determina (occupazione, indotto…) nel tessuto economico nazionale.

Anche in questo caso, tesi interessanti e finanche valide, ma non trattate con metodologie accurate e con le tecnicalità del caso. Comunque, la traccia è stimolante, se verrà seguita da studi e ricerche serie. Ricordiamo ancora una volta che in Italia lo stato dell’arte della “politica culturale” e dell’economia della cultura è semplicemente allarmante. Pressapochismo diffuso, numeri in libertà, polemiche spesso fatue: si governa tradendo continuamente la lezione di Einaudi (conoscere per governare).

 

 

Nuovi osservatori/I: la Fondazione Bruno Leoni, un altro neo-liberal del cinema

 

Sarebbe forse sfuggito ai più, se la ricerca promossa da questa fondazione non particolarmente nota (intitolata al giurista e filosofo torinese) non fosse stata segnalata dalle colonne del quotidiano confindustriale, che il 26 settembre ha benevolmente intitolato, in un approccio di ottimismo della volontà: “La rincorsa del cinema italiano. L’Istituto Bruno Leoni: la quota di mercato delle produzioni nazionali salita dal 12 al 20 %” (a firma di Luciano Fassari). In questa ricerca Ibl, che sarà certamente indipendente ma sembra eterodiretta (ovvero sembra finanziata da Sky e dalle telcom), si legge, per esempio: “Sicuramente non si fa un favore al cinema penalizzando quelle aziende che poi dovranno renderlo fruibile ai propri utenti“.

E non stupisce che la ricerca si concluda con un interrogativo retorico: “E’ proprio necessaria una tassa di scopo per finanziare il cinema italiano?“. Nel paragrafo immediatamente precedente, viene riportato integralmente un passaggio dell’audizione di Camiglieri in Commissione VII Senato: “Il cinema italiano è sovvenzionato da soldi pubblici da oltre 40 anni, Il quadro normativo è stato modificato quattro volte, ma i risultati ottenuti al botteghino dai film finanziati dallo Stato sono semplicemente disastrosi. Centinaia e centinaia di film sono risultati autentici flop: non di rado, queste pellicole non sono state distribuite neppure nelle sale. Lo Stato, dall’85 ad oggi, ha perso qualcosa come 2 miliardi e 170 milioni di euro nel settore“… Sky dixit. La Fondazione Leoni certifica. Il Parlamento recepirà?!?

 

 

Nuovi osservatori / II: anche il “Financial Times” contro lo Stato “ingrassa tacchini”?!

 

La generosità di Roma ingrassa uno stormo di tacchini da botteghino, questo il polemico articolo uscito il 19 ottobre sul quotidiano britannico Financial Times, a firma di Paul Betts. Un evidente attacco al sistema cinematografico italiano e soprattutto alle agevolazioni economiche da parte dello Stato di cui troppi approfitterebbero.

Le stelle di Hollywood e verosimilmente di gran parte del resto del mondo si stanno riunendo a Roma per il popolare festival del cinema della città eterna. Ma purtroppo, non tutto va bene per il cinema italiano. E questo, non certo per mancanza di fondi che sono assegnati dallo Stato e sono una caratteristica inamovibile del settore cinematografico italiano, grazie all’obbligo imposto alle emittenti via etere di trasferire almeno il 10 percento del proprio fatturato pubblicitario alle arti audiovisive. Finora è andata bene. L’inconveniente è che nessun beneficiario di tanta generosità è condizionato dal successo al botteghino“.

Secondo i dati del Ministero italiano dei Beni Culturali, riportati sinteticamente dal quotidiano, fra il 2001 e il 2005 il finanziamento pubblico per i film prodotti in Italia ammontava “…a oltre 428 milioni di euro. Purtroppo però, i 243 film realizzati hanno incassato appena 76 milioni. In verità, la maggior parte non ha mai visto la luce, con 83 milioni di euro di denaro pubblico spesi per 50 film che non sono nemmeno mai usciti nelle sale. Altri 40 film sovvenzionati durante lo stesso periodo hanno venduto meno di 5.000 biglietti in Italia (…) E’ spuntata fuori una vasta congerie di produttori e di società di produzione per succhiare, a livello professionale, i sussidi erogati da parte dei politici che controllano i cordoni della borsa dall’interno del Ministero per i Beni Culturali. Tuttavia, non contento dell’attuale potere clientelare, il Senato italiano sta attualmente esaminando una legge che vedrebbe il piatto crescere di cinque volte grazie all’aumento e all’allargamento del prelievo forzoso sui nuovi attori del settore privato dell’emittenza, come le società di telecomunicazione quali Fastweb e Telecom Italia e l’operatore di Pay TV Sky Italia“.

A voler essere cattivi, viene da pensare che un simile articolo sembra quasi dettato da Murdoch in persona, che qualche interesse a Londra pur lo ha: non ha ancora il controllo di Financial Times, sembrerebbe, ma ha acquistato il Wall Street Journal (per 5 miliardi di dollari). E come sostiene Belzebù Andreotti, a pensare male…

 

 

Nuovi osservatori/III: Sherpa Tv s’interessa tanto di cinema

 

Non ha ancora una grande notorietà, ma gli operatori del settore sanno che il progetto editoriale multimediale di Claudio Velardi e di altri “D’Alema boys” è ben ambizioso ed assorbe alcuni milioni di euro. Si ricorda che direttore del canale è diventato, da metà settembre, Lorenzo Ottolenghi, già capo redattore centrale di ApCom.

Sherpa Tv, “primo web-channel italiano interamente dedicato al mondo delle istituzioni“: il canale internet voluto Velardi è dedicato alla “decodifica dell’informazione istituzionale” ed ambisce al reperimento e alla messa a disposizione di tutti i documenti delle istituzioni.

Quel che stupisce è che la web tv di Velardi abbia deciso di dedicare molta, tanta, finanche troppa, attenzione, sparando a pallettoni verso il finanziamento pubblico al cinema, pubblicando, il 29 agosto, un corposo dossier, con tanto di tabelle in formato excel, per analizzare i finanziamenti pubblici alla cinematografia nel decennio 1994-2005.

Il dossier è stato ripreso a tutta pagina da La Stampa (ha commentato sagacemente Dagospia: “…non capita spesso che i giornali citino come fonte il lavoro di un sito internet, diverso evidentemente è il caso se il sito in questione è dell’ex superconsulente dalemiano a Palazzo Chigi… Così mentre a Venezia si rosica, Velardi brinda alle gioie del lobbismo“). I toni non sono quelli da estremisti liberisti alla “Libero”, ma senza dubbio, anche in questo caso, viene riprodotto uno dei deficit metodologici ormai “classici” in queste analisi polemiste: premesso che ormai la sala cinematografica non è la fonte primaria dei ricavi del “sistema cinema” (che ricava gran parte dei propri flussi dalla tv, “free” e “pay”, e dall’home-video), non ha gran senso (o comunque non ha senso totalizzante) confrontare il finanziamento pubblico di un film solo con i suoi incassi in sala cinematografica.

Talvolta, l’incasso può risultare modesto e il break-evenpoint viene raggiunto ugualmente, grazie ad altri media. Nelle tabelle statistiche curate dagli (anonimi) estensori, vengono proposte, invece, analizzando anche le case di produzioni più “redditizie”, le colonne col dato “finanziamento” raffrontato col dato “incasso” e viene proposto un banale rapporto (% d’incasso/finanziamento) intitolando la colonna, impropriamente… “rendimento”!

L’iniziativa di Sherpa Tv avviene a distanza di due mesi da un’altra strana operazione politica: la pubblicazione, nei Manuali di conversazione politica, del pamphlet Cinema, profondo rosso, a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta (coautori Luisa Arezzo, Gabriella Mecucci, Tino Oldani), il cui sottotitolo la diceva lunga:

Come la sinistra ha costruito l’egemonia sul cinema italiano, facendone una spreco poli di celluloide, capace di produrre solo film-flop“.

Il volumetto, debole nell’impianto metodologico e banale nella sua tesi ideologizzata, contiene spunti interessanti, ma anche madornali errori. Allegato a “Libero” nell’edizione del 23 maggio 2007 (ma è restato disponibile in edicola per settimane), e lanciato con un editoriale del direttore in prima pagina, dal titolo inequivocabile: “Tutti gli sprechi del cine di Stato”… Va infine ricordato che il neo-liberal Velardi spara a zero contro il finanziamento pubblico alla cinematografia sulle colonne di Sherpa Tv, ma, cambiando cappello, è anche neo-produttore, con Paypermoon, di fiction con Rai: e non è Stato anche questo?!

 

Come si osserva, molta carne al fuoco, ma anche molta incertezza: alla data di stesura di quest’articolo, si osserva solo che la Commissione Finanze del Senato ha votato i primi 40 articoli della Finanziaria.

Non riteniamo sia così importante approfondire, in questa sede, cosa sia passato e cosa no (ci limitiamo comunque a segnalare che la Commissione ha dato il via libera al credito d’imposta per il cinema), perché il dibattito vero, e lo scontro duro, avverrà realmente in Aula. Il calendario prevede l’approvazione della Finanziaria, in prima istanza, entro il 14 novembre…

Prossimamente su questi schermi.

 

Eurovisioni 2007

Come remunerare la distribuzione digitale  dei contenuti. Alcuni appunti tematici. Evitare il mito della manna

di Giovanni Gangemi ed Angelo Zaccone Teodosi

  

Leggi anche:

Le Incentivazioni fiscali per il cinema previste dalla Finanziaria
L’iter della Finanziaria  (a cura di Alberto Ronci – IsICult)

   

Articoli correlati:

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