Legge cinema: i cinematografari si stringono attorno al Ministro, per risollevare le sorti della settima arte… 

di di Angelo Zaccone Teodosi e Bruno Zambardino (IsICult - Istituto Italiano per l'Industria Culturale) |

Italia


Bisogna dare atto al Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Francesco Rutelli, di essere riuscito nell’impresa non facile di mettere in scena ieri pomeriggio al cinema Nuova Olimpia di Roma, un’operazione di grande impatto soprattutto sotto il profilo politico, chiamando a raccolta, uno ad uno registi, autori, produttori, distributori ed esercenti della italica settima arte.

In attesa di valutare, domani venerdì, la misura dei risultati mediatici (oggi giovedì, la rassegna stampa relativa all’iniziativa è stata nulla, se non per gli articoli di… Key4biz) e di conoscere nel concreto come le istanze saranno accolte e recepite dal Consiglio dei Ministri convocato per venerdì alle 16:00, diamo conto di quanto è emerso in questo “Dialogo Pubblico sul Cinema italiano”.

Nella migliore tradizione del giornalismo anglosassone, isoliamo le notizie dai commenti, che rimandiamo ad una prossima sortita: non ha gran senso, manifestare critiche a proposte la cui effettiva attivazione procedurale si potrà conoscere solo tra qualche giorno… Ci si augura tutti che l’iniziativa del Ministro non debba essere ridotta, tra qualche giorno, alla sua funzione di un rito “narcisistico”.

  

Obiettivo dichiarato della kermesse, coagulare un forte consenso al di là delle divisioni corporative, e mettere nel piatto della prossima Legge Finanziaria alcune significative misure di sostegno alle imprese cinematografiche, portando a casa risultati tangibili e fortemente richiesti dagli addetti ai lavori.

Sempre in attesa che, al termine del lungo iter parlamentare, giunga ad approvazione la riforma di sistema elaborata a quattro mani da Margherita (Colasio) e Ds (Franco), in uno dei primi frutti del Partito Democratico. Disegno di legge che dopo essere stato presentato in pompa magna al Quattro Fontane prima dell’estate, è al momento in mezzo al guado e, almeno in questo momento, offuscato e posto in secondo piano.

  

Come già anticipato ieri, la sostanza dei provvedimenti è racchiusa in un “mini-pacchetto” di misure volte a dar vita ad un sistema di agevolazioni fiscali (“tax shelter”) e crediti di imposta (“tax credit”) sul modello già sperimentato con successo in altri Paesi; introdurre meccanismi per attrarre investimenti di produzioni estere e mettere a regime degli “schermi di qualità” con attenzione particolare alla programmazione di corti e documentari (punto sul quale il Ministro, ieri, si impegnato con vigore, promettendo nuovi incentivi a favore delle sale più virtuose).

  

Il pomeriggio di ieri (4 ore intense seguite dal Ministro dal primo all’ultimo minuto, altro inedito comportamento, accolto molto positivamente dalla platea) è stato scandito da ritmi serrati articolati dalle tre fasi di approfondimento

La prima parte (di profilo più squisitamente tecnico-normativo) è stata aperta da Gaetano Blandini, Direttore Generale del Cinema del Ministero, che ha illustrato l’evoluzione del sostegno pubblico al comparto cinematografico, sottolineandone i passaggi fondamentali, dai fondi rotativi ai recenti decreti sui diritti e sulla trasformazione dei “finanziamenti” in “contributi”, passando per il Decreto Urbani.

  

Dati alla mano (800 film finanziati con un investimento globale in 40 anni di 700 milioni di euro) Blandini, pur riconoscendo la presenza di alcuni sprechi di carattere “fisiologico”, ha difeso a spada tratta l’efficacia della “mano pubblica” (soprattutto con riferimento alla grande fucina di registi nati e cresciuti grazie al sostegno alle opere prime e seconde) e la validità dell’operato della Pubblica Amministrazione, lamentandosi della diffusa opera di “disinformazione” di chi, ormai da tempo, punta il dito, in modo distorto, sugli scarsi rientri derivanti dallo sfruttamento delle opere ammesse al finanziamento. Implicito il riferimento ad alcuni recenti studi che forniscono una visione senza dubbio parziale della realtà, ancorando le entrate esclusivamente al “box office”, “finestra” che, come noto, rappresenta solo un 30 % dei ricavi complessivi di un film cinematografico. Si segnala, comunque, la presenza di indagini di segno opposto come quella promossa dalle Giornate degli Autori a Venezia (“Lo Stato delle Cose”), che ha messo in luce le proporzioni economiche e sociali dei ritorni derivanti dagli investimenti pubblici a favore del cinema, a partire dalle entrate irpef e iva, dalla creazione di posti di lavoro e dalle ricadute turistiche sul territorio.

  

Di particolare interesse l’intervento dell’Anica, nella persona della professoressa Francesca Medolago Albani, Responsabile Ufficio Studi dell’Associazione, che ha messo in luce i vantaggi legati all’applicazione delle leve fiscali in Francia, Regno Unito, ma anche in altri Paesi a minor capacità produttiva, che sfruttano questi meccanismi di agevolazione per attrarre sul proprio territorio importanti flussi di investimenti dall’estero. Il modello più virtuoso è, ovviamente, quello rappresentato dalla Francia che, su un totale di 375 milioni di investimenti diretti e indiretti, ne destina ben 83 agli incentivi fiscali. Ancora più robusti gli interventi nel Regno Unito, dove i 176 milioni di euro stanziati per deducibilità e crediti di imposta superano i 106 erogati direttamente dall’Uk Film Council. Risorse cospicue che consentono di “trattenere la fuga di competenze del settore verso altri Paesi” e che giustificano pienamente l’introduzione di questi strumenti anche nel nostro Paese.

In sintonia con l’Anica, anche i due esperti in rappresentanza di Cinecittà Holding, il professor Mario La Torre , e dell’Agis, Enrico Di Mambro.

  

La ferita aperta rappresentata dal tormentato rapporto tra cinema e televisione è stata il tema affrontato nella seconda parte dell’incontro, che ha visto confrontarsi allo stesso tavolo rappresentanti dei produttori, Riccardo Tozzi per l’Anica e Angelo Barbagallo per l’Api, con quelli dei broadcaster Giancarlo Leone per Rai e Giampaolo Letta per Medusa/Mediaset.

Di grande concretezza, l’approccio del Presidente Api (“il problema del cinema italiano è un problema di risorse”) che ha portato all’attenzione del Ministro un “decalogo” di richieste per rimodulare l’ormai desueta Legge veltroniana n. 122 del ’98. Citiamo, ad esempio:

  

* obblighi di programmazione di cinema italiano ed europeo anche in prime-time;

* creazione di una “vera” seconda serata;

* programmazione di co-produzioni minoritarie che creino presupposti di reciprocità con gli altri Paesi;

* rubriche di cinema vere, serie, non necessariamente condotte da… Marzullo;

* spazi pubblicitari a tariffe ridotte e fuori dell’affollamento pubblicitario (richiesta accolta anche dal Ministro);

* possibilità di vendita diretta dei diritti free alle reti senza dover obbligotariamente passare attraverso le loro filiali;

* sistemi di valutazione dei diritti “free tv” concordati con le associazioni di categoria sul modello dell’accordo Sky-Anica-Api (modello apprezzato da tutti gli operatori);

* calcolare le quote di investimento delle pay tv (Sky) sul fatturato (abbonamenti più pubblicità) e non come ora sulla sola raccolta pubblicitaria, limitando il numero di passaggi che ne svilisce il valore per lo sfruttamento “free”.

  

Sintetizzando, si potrebbe coniare lo slogan “più Stato, più Mercato”, ovvero solo con un impegno regolamentare (non più assistenziale) più stringente da parte delle istituzioni realmente in grado di rompere il monopolio, far entrare nuovi distributori e creare un maggiore riequilibrio nella negoziazione dei diritti, il produttore è in grado assumere maggiori rischi imprenditoriali e rafforzare il proprio patrimonio aziendale. Lo stesso Tozzi – molto applaudito in sala – si è allineato su queste posizioni affermando che nell’attuale sistema, per come è andato configurandosi, i “prezzi non sono fatti dal mercato” e che sono necessari “interventi normativi più rigidi in materia di obblighi di investimento e di programmazione.

  

Alle richieste dei produttori, ha replicato il Vice Direttore Generale della Rai, che, ripercorrendo le fasi evolutive che hanno condotto all'”uso e all’abuso” del prodotto cinematografico nel corso degli ultimi anni, ha ricordato come, nell’ultimo decennio, il numero dei film trasmessi in prime-time, sia per Rai che per Mediaset, è calato drasticamente di circa il 40 % (dai circa 1.000 agli attuali 600). La ragione di questo trend sono molto semplici: da un lato, si è assistito ad una progressiva perdita del valore del film dovuta all’ingresso massiccio di nuove finestre di sfruttamento del prodotto (home-video, e “pay” in primis) e che fanno sì che il passaggio nelle generaliste “free” non sia più una “vera prima”; dall’altro, a giovare di questa dinamica è stato il prodotto più prossimo al film, ovvero la fiction, che anche grazie alla citata 122, ha preso possesso in modo prepotente dei palinsesti.

Leone ha concluso il suo intervento, sostenendo che sarebbe un grave errore strategico pensare che i mali del cinema siano tutti addebitabili alla televisione (che, nel caso di Rai Cinema ha, peraltro svolto un ruolo prezioso in questi anni). Sulla stessa lunghezza d’onda, Letta, che, confermando l’attuale condizione di arretramento del cinema, ha criticato chi considera la tv “come seconda classe del cinema”, dato che sono le risorse dei broadcaster, volens o nolens, a continuare a rappresentare la principale fonte di finanziamento per il settore.

  

Un annuncio importante è giunto dalla rappresentante del Ministero delle Comunicazioni (autorità competente per le modifiche alla legge 122, da quando questa norma nel 2005 è stata “assorbita” nel Testo Unico) Lorenza Bonaccorsi, Capo della Segreteria, quando ha espressamente confermato che anche il Ministro Gentiloni poterà in Consiglio dei Ministri, venerdì, misure di sostegno al cinema, nell’ottica di una estensione degli obblighi di investimento anche ad altri soggetti che “sfruttano” il prodotto cinematografico” quali le pay tv e le telecom.

  

La Bonaccorsi ha ricordato la valenza positiva della legge 122, grazie alla quale il comparto della produzione audiovisiva italiana si è sviluppato e consolidato, arrivando a fatturare nel 2006 circa 1 miliardo di euro. Il mutato contesto tecnologico e la presenza di nuove piattaforme distributive stanno dilatando il consumo di cinema e modificando l’assetto dei rapporti tra broadcaster e produttori. Per questo motivo, è giunta l’ora di aggiornare e migliorare quella legge, sebbene alcuni passi in avanti siano già stati compiuti, ad esempio, con il nuovo Contratto di Servizio Rai Mincom 2007-2009, che dovrebbe portare ad un incremento egli investimenti da parte del broadcaster pubblico da 60 a 80 milioni di euro.

Per motivi di spazio, siamo costretti a tralasciare in parte il resoconto della terza parte dell’incontro dedicato alla parte autoriale e creativa, che ha visto come assoluto protagonista il brillantissimo Ugo Gregoretti, che ha intrattenuto la platea con aneddoti intrisi di sottile ironia e grande sarcasmo (degni di essere pubblicati) risalenti alle mitiche battaglie condotte in prima persona a favore del cinema negli anni che furono, insieme ad amici del calibro di Zavattini, Pasolini e Rossellini.

Unica nota stonata, in un coro unanime di consensi e in un clima di rinnovata fiducia, è giunta da Michele Placido che, togliendo il sorriso al Ministro, ha espresso tutto il suo pessimismo circa reali ed effettivi miglioramenti (“ci ritroveremo l’anno prossimo a parlare esattamente delle stesse cose”) derivanti dai provvedimenti in cantiere. Placido si è dichiarato scettico – in sostanza – rispetto alla effettiva capacità di Gentiloni e Rutelli di far trasformare in concreta legge le loro encomiabili proposte.

  

Apprezzabile l’approccio del regista Davide Lucchetti (al quale, per pochi voti, è sfuggita la candidatura all’Oscar a vantaggio della “ La Sconosciuta ” di Tornatore), che ha analizzato in modo sistematico i primi 10 successi in sala dagli anni ’50 ad oggi, teorizzando che il vero male del cinema italiano sia un grado sempre più ridotto di diversificazione dei generi, rispetto al passato, dove trovavano spazio e incontravano il gradimento del pubblico, sia i film di Fantozzi che quelli di Visconti e Pisolini. Se, un tempo, cinema d’autore e cinema commerciale viaggiavano insieme, dando vita ad un pluralità di filoni mostrando grande vitalità ed aggressività, oggi l’offerta pare essersi appiattita essendo oramai riconducibile di fatto a due generi: comico (spesso greve) o sentimentale (raffinato).

Insomma tutti (o quasi) a fianco di un Ministro visibilmente soddisfatto e compiaciuto, e convinto della bontà ed efficacia delle misure predisposte dai suoi esperti.

Al termine della giornata, si respirava una atmosfera di grande fiducia ed apprezzamento a favore di misure che, sebbene non si inquadrino in un disegno organico di riforma, puntano dritte a far affluire risorse aggiuntive a sostegno di un settore che nel 2006-2007 registra segnali di crescita incoraggianti con una quota di mercato che nei primi 5 mesi del 2007 ha raggiunto il 35%. Speriamo che la pensi così anche il Padoa Schioppa….

      

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