Riforma cinema e audiovisivo: sussurri e grida tra proposte di legge e riserve degli operatori  

di di Angelo Zaccone Teodosi e Bruno Zambardino (IsICult - Istituto Italiano per l'Industria Culturale) |

Italia


L´entrata di un cinema

Settimana calda a Roma, non solo dal punto di vista climatico, torrido, ma anche sul fronte delle iniziative parlamentari a sostegno dell’industria cinematografica. Nell’arco di pochi giorni, sono state presentate proposte di legge da parte dei Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista, e della Margherita-Democratici di Sinistra, mentre l’Italia dei Valori ha annunciato che presenterà la propria a settembre…

Il 18 luglio, presso la sala stampa del Senato, l’inedita quanto “strana coppia” composta da Gabriella Carlucci (deputata di Forza Italia, Responsabile Dipartimento Spettacolo) – Willer Bordon (senatore della Margherita, in posizione critica con la “sua” maggioranza) ha annunciato l’avvio, in Commissione Finanze del Senato (presieduta da Benvenuto), dell’iter del disegno di legge che introduce incentivi fiscali per chi investe nel settore (il cosiddetto “tax shelter”). Si tratta del provvedimento n. 1642, intitolato “Interventi a sostegno del settore cinematografico e del settore audiovisivo“, a firma Bordon, D’Amico, Manzione. Il provvedimento non ha ancora la necessaria copertura finanziaria (si stima un fabbisogno annuo di circa 60 milioni di euro), ragione per la quale è rimasto sinora fermo alla Camera. La proposta di legge a firma Bordon è esattamente la stessa che la Carlucci ha presentato qualche mese fa alla Camera (per l’esattezza il 28 febbraio 2007), il cui iter è rimasto fermo.  

Il 19 luglio invece in una gremita sala del Cinema Quattro Fontane di Roma Andrea Colasio (Responsabile nazionale Cultura della Margherita) e Vittoria Franco (Presidente della commissione Cultura al Senato) sono stati i protagonisti della conferenza stampa di presentazione della attesa proposta di riforma degli interventi pubblici per il cinema e l’audiovisivo depositata come primi firmatari al Senato e alla Camera. Si tratta di una… “coppia di fatto”, nelle more del matrimonio annunciato tra Margherita e Democratici di Sinistra.

La proposta di legge alla Camera ovvero il disegno di legge al Senato propongono esattamente lo stesso testo, e variano esclusivamente per il titolo e la relazione di accompagno:

– Senato, atto n. 1120: “Disposizioni generali in materia di promozione delle attività cinematografiche e audiovisive, nonché deleghe al Governo in materia di agevolazioni fiscali relative al settore cinematografico ed audiovisivo“, a firma Franco, Finocchiaro, Carloni, Enriques, Fontana, Giambrone, Livi Bacci, Marconi, Montino, Negri, Ranieri, Scalera, Soliani, Zavoli;

– Camera, atto n. 2876: “Norme generali in materia di promozione delle attività cinematografiche e audiovisive, istituzione del Centro Nazionale per il Cinema e l’Audiovisivo, nonché delega al Governo per la disciplina del Fondo per il finanziamento del cinema e dell’audiovisivo e per l’introduzione di misure di incentivazione e agevolazione fiscale“, a firma Colasio-Franceschini.  

La proposta è quindi stata sottoscritta anche dai presidenti dei gruppi dell’Ulivo di Senato e Camera (Anna Finocchiaro e Dario Franceschini) ed è il frutto di un lungo e faticoso lavoro di cesello reso necessario dalla necessità di coniugare e comporre le molteplici istanze provenienti dai vari ambiti più o meno rappresentativi più o meno istituzionali che animano il comparto.

L’aspetto procedurale-metodologico, ovvero la lunga ed estesa fase di consultazioni informali e l’avvio parallelo della discussione nei due rami del Parlamento, rappresenterebbero un fattore innovativo, che, secondo gli estensori, dovrebbe accrescere le chance di approvazione del provvedimento, beneficiando di un iter speculare nei due rami del Parlamento. Premiati soprattutto gli sforzi di Colasio che vede addirittura nel disegno di legge il “primo importante atto normativo del Partito democratico”, a dimostrazione dell’unità di intenti della nuova formazione politica e della chiara volontà di restituire centralità ad un settore strategico per lo sviluppo economico e socio culturale del paese.  

Passando in rassegna gli obiettivi principali della riforma, si osserva come si tratti della prima proposta di legge che, con il fine ambizioso di dare un nuovo e più equilibrato assetto al comparto, coniuga e inserisce il prodotto culturale cinematografico all’interno della più ampia filiera dell’audiovisivo.

Al di là delle dichiarazioni di principio enunciate dalla senatrice, legate alla tutela della diversità culturale, alla promozione delle opere di qualità e di valore culturale (opere prime e seconde), alla valorizzazione del patrimonio cinematografico, alla promozione del pluralismo e all’aumento dell’offerta al pubblico, possiamo individuare cinque assi portanti del progetto di riforma:  

  • “governance” e snellimento degli apparati burocratici: è prevista l’istituzione del nuovo Centro nazionale per il cinema e l’audiovisivo, per la gestione autonoma degli interventi pubblici di sostegno e di promozione culturale ed industriale. Una struttura dotata di autonomia statutaria, regolamentare e gestionale, indirizzata e vigilata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che presiede all’assegnazione dei fondi attraverso criteri automatici (75 %) e selettivi (25 %). L’obiettivo auspicato è dare soluzione al problema della frammentazione delle funzioni e delle risorse pubbliche, rispettando i principi della razionalizzazione delle spesa, in rapporto all’aumento dell’efficienza ed efficacia dell’azione pubblica e di una necessaria semplificazione amministrativa;

  • rafforzamento della produzione indipendente: via alla negoziazione separata dei diritti (principio peraltro già introdotto nel nuovo contratto di servizio Rai – Ministero Comunicazioni) prezioso strumento volto a garantire un maggior equilibrio tra broadcaster e produttori indipendenti, sinora in Italia troppo sbilanciato a favore dei primi. Il mancato rispetto di questo principio comporterà una grave violazione delle norme sulla libera concorrenza. I nuovi contratti dovranno pertanto essere stipulati indicando ciascun diritto oggetto di negoziazione e il relativo corrispettivo, ciascuna piattaforma (o modalità trasmissiva o di distribuzione), il numero dei passaggi e la durata massima temporale (max 5 anni) delle cessioni, in modo da risultare compatibili con l’accesso ai finanziamenti comunitari (il nuovo programma Media in primis), nonché il prezzo relativo all’acquisizione dei diritti di sfruttamento distinto per piattaforma e ancorato a parametri di valutazione oggettivi determinati dal Centro;

  • maggiori risorse al settore: il nuovo fondo sarà alimentato da risorse pubbliche (tra cui la quota Fus per il cinema, attualmente 70 / 90milioni di euro), unitamente a quelle provenienti da tutti gli operatori attivi sulla “filiera” industriale di sfruttamento del prodotto filmico, dalle sale, ai broadcaster, dagli operatori di rete, ai distributori di home-video. La famigerata “tassa di scopo” – ovvero la quota percentuale di prelievo sui fatturati – sarà quantificata con successivi decreti ministeriali, ma si stima che dovrebbe consentire un afflusso aggiuntivo di risorse dell’ordine di 200-300 milioni di euro (questa stima è stata elaborata da Colasio e resa nota in una intervista al mensile “Box Office” del giugno 2007, mentre in conferenza stampa la domanda in argomento del Direttore del “Giornale dello Spettacolo”, Luigi Filippi, è rimasta senza risposta). Il centro gestirà il flusso derivante dalla tassa di scopo, ma non beneficerà – come pure pareva in un precedenti più radicali versioni – delle risorse derivanti dagli obblighi di investimento (in produzione e acquisto) previsti dalla legge n. 122 del 1998 (recepiti dal Testo Unico del 2005), il cui testo è stato migliorato ed esteso a tutti gli operatori di rete, alle emittenti televisive e ai fornitori di contenuti (10 % dei fatturati, eccetto la Rai che ha maggiori vincoli “ex lege” Gasparri, ovvero il 15 %), sanando e correggendo le distorsioni sempre più evidenti venutesi a creare negli ultimi anni. In particolare, il disegno di legge stabilisce chiaramente le quote riservate all’acquisto di opere cinematografiche indipendenti di nazionalità italiana ed europea;

  • sostegno alla distribuzione e all’esercizio: partendo dalla constatazione di una eccessiva concentrazione del mercato distributivo (i primi 5 operatori nel 2006 hanno inciso sul mercato per il 60 % ed i primi 8 per l’85 %), il provvedimento introduce incentivi a favore di distributori ed esercenti, con l’obiettivo di attribuire un più ampio accesso alle imprese meno integrate, facilitando la programmazione di cinema italiano, con particolare riguardo alle opere meno commerciali e di qualità;

  • sgravi fiscali per gli investimenti, su questa materia il Ministro Rutelli ha già garantito (vedi il nostro articolo “Il difficile dialogo tra sistema creditizio ed imprese del cinema, intanto il governo vuol riformare il settore“) un piccolo “antipasto” all’interno della prossima Finanziaria, introducendo immediati benefici fiscali a chi investe nel cinema. Coerentemente con questo primo  pacchetto di misure “ministeriali”, il disegno di legge prevede una serie di crediti di imposta per gli investimenti in produzione cinematografica, misure di “tax shelter” ed agevolazioni fiscali per le imprese che prestano servizi di produzione esecutiva per committenti esteri, nonché meccanismi di riduzione ed armonizzazione dell’Iva per le operazioni e i contratti di vendita dei diritti delle opere e per la distribuzione, il noleggio, il mandato relativo allo sfruttamento delle opere, nonché per la costituzione dei soggetti che operano per la diffusione della cultura cinematografica. L’art. 30 delega al Governo l’adozione dei relativi decreti attuativi.

Al termine della presentazione del lungo e corposo provvedimento (33 articoli e 10 cartelle di relazione di accompagno), i due primi firmatari hanno risposto alle domande dei numerosi giornalisti ed addetti ai lavori presenti al 4 Fontane, fornendo chiarimenti ed indicazioni su una serie di spinose problematiche che affliggono il settore e sull’effettiva capacità delle misure proposte di incidere realmente su di esse.  

Tre le questioni emerse di maggiore interesse e criticità, rispetto al buon esito dell’iniziativa figurano senz’altro:

– l’effettiva presenza di efficaci norme antitrust all’interno del disegno di legge: alcuni osservatori anti-duopolisti, infatti, sostengono che gli strumenti messi in campo siano troppo deboli, in un contesto di mercato che vede ancora la presenza di eccessiva integrazione verticale da parte dei due broadcaster, cui si aggiunge ormai, prepotentemente, un terzo che detiene un monopolio nel settore pay satellitare. Su questo punto, in effetti, il testo sembra il frutto di un compromesso che cerca di trovare un punto di equilibrio praticabile nel momento del confronto e della discussione in Parlamento;

– la tempistica per l’iter di discussione ed approvazione e quindi entrata in vigore della legge, che si prospetta alquanto lunga e – come realisticamente riconosciuto dallo stesso Colasio – irta di insidie ed ostacoli. La scelta obbligata di affidare a decreti e regolamenti governativi gli aspetti tecnici più delicati (dall’attuazione del nuovo Fondo all’operatività del nuovo Centro nazionale, alle misure di incentivazione ed agevolazione fiscale, alla definizione delle percentuali della “tassa di scopo”) farà slittare i tempi per la messa a regime della nuova macchina normativa. Anzi, aggiungiamo, ne mina seriamente le chance di approvazione. Si consideri, a titolo esemplificativo, che una volta entrato in vigore il disegno di legge (ipotizziamo 1anno?), sono previsti ulteriori 6 mesi per quantificare i prelievi sulla filiera e ben 24 mesi per rendere vigenti gli obblighi di partecipazione alle risorse da parte dei vari soggetti coinvolti. L’operazione di smantellamento e riorganizzazione dell’attuale gruppo pubblico (Dg Cinema e sistema delle commissioni al Ministero, Cinecittà Holding e controllate, Centro Sperimentale, ecc.), inoltre, non sarà né rapido né agevole, sebbene – nelle intenzioni dei primi due firmatari – al termine di questo processo ne deriveranno indubbi vantaggi in termini di razionalizzazione, minori “poltrone” ed efficacia dell’azione pubblica. Insomma, realisticamente stiamo trattando di una legge che, senza incontrare particolari resistenze (crisi di governo, lotte fratricide nella maggioranza… senza dimenticare passaggi cruciali come il placet del Ministero dell’Economia e della Conferenza Stato-Regioni), potrebbe entrare in vigore nel 2010;

– la necessità di dotarsi di studi di settore che sostengano ed indirizzino correttamente, anche sotto il profilo tecnico-scientifico, il processo decisionale, le procedure selettive, le scelte amministrative che dovranno essere effettuate tenendo conto delle dinamiche di mercato e delle previsioni stilate in base a differenti indicatori. E’ importante che ci si attrezzi al più presto con strumenti di indagine che siano in grado di valutare l’impatto che il nuovo assetto determinerà sulle risorse a disposizione, incrociando una serie di variabili, quali il minor gettito fiscale rispetto alla crescita degli investimenti, piuttosto che la quantificazione del prelievo sulla filiera  e i riflessi sull’incremento dei fondi, sino a giungere alla corretta misurazione della distribuzione degli incassi sul territorio (al momento non certo omogenea ed equilibrata) e alle potenziali ricadute di misure redistributive delle risorse o alla determinazione dei vantaggi economici di medio e lungo periodo derivanti da un peso meno invasivo della governance pubblica sull’intero settore…

– dall’analisi del testo, infine, emerge una debole considerazione nei confronti della formazione, come “leva strategica” per creare un terreno fertile di sviluppo soprattutto per coinvolgere le nuove generazioni e in relazione a ciò, poca attenzione all’attivazione di politiche di promozione del pubblico: si tratta di due attività fondamentali in prospettiva strategica (la formazione) e tattica (il marketing). In Italia, esistono ormai decine se non centinaia di iniziative, non adeguatamente controllate e spesso dettate da vocazioni speculative, senza che sia stata mai effettuata una analisi accurata dei fabbisogni reali del “sistema cinema”; per quanto riguarda la promozione, ci limitiamo a lamentare, ancora una volta, come poco e male l’Italia, e la Rai in primis, utilizzi la televisione per la promozione della fruizione del cinema in sala…  

Da segnalare l’assenza del Direttore Generale del Ministero, Gaetano Blandini, sia a questa sia ad altre presentazioni pubbliche di proposte di legge, ormai da alcune settimane: probabilmente sta prevalendo una logica di neutralità super-partes, finanche eccessiva, dato che riteniamo che l’Amministrazione debba avere il diritto/dovere di esprimere, anche pubblicamente, il proprio parere tecnico, al di là delle posizioni dell’Esecutivo.

La proposta Colasio-Franco sembra aver registrato un diffuso consenso, tra gli operatori (in primis, i produttori dell’Anica e Api, i cineasti di Centoautori): qualche segnale di critica e di sospensione del giudizio emerge dall’Univideo e dall’Agis, e dalla sinistra radicale (Rifondazione ed Anac), ma complessivamente il testo risponde alla maggioranza delle istanze del settore, fatta eccezione – comprensibilmente – per tutti gli operatori di rete, che temono un balzello che può andare a rallentare lo sviluppo del loro settore anche nel business dei contenuti. In particolare, resta tenace l’opposizione del Direttore Comunicazione di Sky Italia, Tullio Camiglieri, che ammonisce che, in caso di approvazione della tassa di scopo, le prime a farne le spese sarebbero le famiglie.

In linea di massima, la proposta Colasio-Franco è apprezzabile per lo sforzo di “architettura” normativa che prefigura, ma si scontra con un “Paese reale” nel quale il “modello francese” (che resta il benchmark di riferimento) risulta ancora molto lontano, nella chance di funzionamento corretto, trasparente, efficace ed efficiente. Come ha enfatizzato lo stesso Colasio, la politica culturale italiana è ancora terribilmente arretrata, rispetto all’esperienza di Paesi come la Francia ed il Regno Unito: questa proposta vorrebbe porsi giustappunto come avanguardia innovativa nel “policy making”.

Va segnalato, e non per interessi di bottega, che tutte le proposte di riforma del sistema cinema ed audiovisivo finora presentate nella XV Legislatura sono deficitarie della relazione tecnica di valutazione di impatto (al di là della meritoria indagine conoscitiva promossa dalla Commissione Cultura del Senato, che non sembra però aver ancora prodotto un rapporto critico finale), e che nessuna si accompagna con analisi di mercato e previsioni scenaristiche che possano consentire una oculata valutazione dei “pro” e dei “contro” dei vari strumenti ipotizzati, da quelli più “soft” (tax shelter) a quelli più “hard” (tassa di scopo). In sostanza, si ha ragione di temere che il processo normativo sia ancora affidato più a “umori” che a “numeri”, più a “impressioni” che a “tecniche”.

 

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Angelo Zaccone Teodosi, Presidente di IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale  

Bruno Zambardino, Responsabile di Ricerca IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale  

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