Il difficile dialogo tra sistema creditizio ed imprese del cinema, intanto il governo vuol riformare il settore

di di Angelo Zaccone Teodosi e Bruno Zambardino (IsICult - Istituto Italiano per l'Industria Culturale) |

Italia



Le strategie di riforma di Rutelli: un percorso non facile  

  

Come andremo a spiegare, la gestazione della novella “legge cinema” sta assumendo caratteristiche da “mistery film”, ma finalmente è stata svelata le strategia del Ministro Rutelli in materia di riforma del sostegno pubblico alle attività cinematografiche.

Dopo i primi mesi dell’anno impiegati a “studiare” nel corso di una apposita indagine conoscitiva istituita in Senato i difficili meccanismi che regolano i segmenti dell’intera filiera cinematografica e audiovisiva (protagonisti delle audizioni tecnici ministeriali, associazioni di categoria e manager d’impresa; nell’elenco originario risultava inserito anche il nostro istituto, ma nessuno ci hai poi più convocati…) e un ulteriore periodo necessario a recepire quanto emerso nell’indagine e far confluire in un unico testo almeno 3 differenti proposte legislative (all’interno della maggioranza, le proposte Colasio e Franco e Russo Spena, senza dimenticare, nell’opposizione, Rositani, Carlucci, Ciocchetti), il Ministro Francesco Rutelli, per chiarire meglio le proprie linee di indirizzo ha scelto, certamente in modo non casuale, il convegno dal titolo “La Finanza del cinema tra pubblico e privato” promosso da Abi e Cinecittà Holding il 2 luglio scorso.

Nell’austera cornice di Palazzo Altieri (sede dell’Abi), Rutelli ha prospettato due percorsi, uno realistico con tempi certi e rapidi che prevede un “mini–pacchetto” di misure da ancorare alla prossima Legge Finanziaria ed un altro più insidioso, vincolato ai tempi dell’iter parlamentare del disegno di legge di riforma e che a breve dovrebbe essere presentato nella sua versione definitiva: si segnala che, ad oggi, martedì 10 luglio 2007 (data di chiusura in tipografia di questo articolo, la cui conclusione è stata ritardata nella speranza che questo testo misterioso “emergesse” dalle nebbie), l’articolato definitivo della ormai famosa proposta di legge Colasio-Franco non è disponibile, né sul sito della Camera né sul sito del Senato. Né risulta iscritto (cioè, di esso non v’è alcuna traccia pubblica in Parlamento). Nonostante esista – e qui il paradosso – un annuncio ufficiale, da parte di entrambi i parlamentari, in data 15 giugno 2007…

Consapevole dei rischi legati al tortuoso cammino parlamentare del disegno di legge (le copie che circolano – anche in contrasto tra loro – non rivestono ancora carattere di ufficialità), il Ministro ha saggiamente deciso di tutelarsi, attivando una sorta di corsia preferenziale (o, se si vuole, di “salvataggio”), anticipando nel Documento di Programmazione Economico e Finanziaria (il Dpef) quattro misure qualificanti che entreranno in vigore (rectius, il condizionale è d’obbligo: dovrebbero entrare in vigore) già dal 2008:

   

introduzione di un sistema di “tax shalter esogeno”, inteso come crediti di imposta non circoscritti solo alle imprese del settore, ma estesi a soggetti esterni al settore interessati ad investire nel cinema;

incentivi per le grandi produzioni internazionali (a partire da un rimborso Iva immediato), che dovrebbero in questo modo tornare nel nostro Paese preferendolo ai Paesi dell’est attualmente più competitivi;

premi per la distribuzione di opere prime e seconde e dei film “di interesse culturale” (tale espressione in realtà è completamente scomparsa dal disegno di legge), per garantire la stampa di almeno 50 copie;

sistema di ulteriori agevolazioni a favore delle sale d’essai (anche sull’onda del successo del progetto “Schermi di qualità”).

  

In effetti, andando alla pagina 74 del Dpef (anni 2008 – 2011), che, di fatto, enuclea le linee-guida della Finanziaria, una formula generica conferma l’impegno del Governo “nel contesto di un miglioramento della qualità della capacità di spesa”, a intraprendere specifici programmi in campo cinematografico, attraverso “misure di incentivazione fiscale nei limiti delle compatibilità finanziarie agli investimenti nella filiera sia per attrarre produzioni straniere di alto livello, sia per rendere disponibile una reale e competitiva rete distributiva, in particolare per giovani autori e film d’essai”. Insomma, nero su bianco, le intenzioni dell’Esecutivo sembrano chiare.

Resta da valutare come queste disposizioni verranno tradotte in termini finanziari, ovvero a quanto ammonterà la dotazione per mettere in atto questo primo pacchetto di misure. Nel corso del convegno – come vedremo – si è parlato di una cifra “attorno ai 150 milioni”, in tre anni, ma siamo ancora nel mondo delle ipotesi.

Nella stessa pagina del Dpef, a proposito di risorse, segnaliamo il duplice impegno a portare le risorse pubbliche a favore della cultura dall’attuale magro 0,26 % del Pil all’1 % ed a riportare l’entità del Fondo Unico dello Spettacolo (forse nel frattempo “regionalizzato”) ai livelli del 2009. Ancora una volta, si teme che queste tesi possano restare “belle intenzioni”, andandosi a cozzare con l’iter parlamentare e comunque con una maggioranza di governo assolutamente fragile, e sempre a rischio di “stagnazione”, se non di svenimento.

  

La decisione di stralciare alcune disposizioni dalla complessiva legge di riordino consente al Ministro di portare a casa un piccolo ma simbolico risultato e di fornire agli addetti ai lavori alcune garanzie circa la buona volontà del Ministero di porre mano alla riforma, di cui queste prime misure dovrebbero rappresentare una coerente anticipazione.

In realtà, dopo oltre un anno di Governo di centro-sinistra, sullo sfondo rimangono non poche incertezze rispetto al successo della strategia di medio periodo.

Il disegno di legge Franco-Colasio, infatti, trova sul suo cammino almeno due ostacoli significativi:

– in primo luogo, la strenua resistenza alla cosiddetta “tassa di scopo” da parte di Sky Italia, sempre più affetta da una “sindrome da accerchiamento” (come l’ha definita Giampaolo Letta). La piattaforma satellitare, che ormai ha superato quota 4 milioni di abbonati e che da quest’anno si accinge a produrre fiction nazionale di alto livello (affidandosi a Salvatores e Placido: vedi il nostro articolo su Key4biz del 6 luglio: “Fiction: le nuove produzioni Sky Italia a sostegno del pluralismo nell’industria audiovisiva?“), ha deciso sin dall’inizio di adottare una dura e martellante linea di opposizione, sostenendo con forza che “il governo non può e non deve tassare chi già investe nel cinema italiano”, ma dovrebbe piuttosto preoccuparsi di rompere in modo definitivo le logiche “clientelari ed assistenzialiste” che hanno caratterizzato 70 anni di finanziamento pubblico al cinema, e che tuttora affondano le proprie radici negli istituti e nella regolamentazione del periodo fascista. Sul nodo del “prelievo sulla filiera”, volto a far affluire risorse aggiuntive a quelle esistenti caricandole su quegli operatori che traggono grandi (ed “asimmetrici”) profitti dallo sfruttamento di prodotti cinematografici, non è ancora chiaro se il testo in questione conterrà già le percentuali o se come più probabile l’esatta entità del prelievo percentuale sul fatturato sarà demandata a successivi decreti ministeriali (il che consente, evidentemente, ben maggiore elasticità e margini di manovra al Ministro);

– in secondo luogo, il Ministero deve fare i conti con la sempre più pungente spina nel fianco rappresentata dal movimento Centoautori, nato un paio di mesi fa per denunciare lo stallo delle nomine su Rai Cinema (ci sono voluti 6 mesi per reintegrarne i vertici), ma che ha oggi raggiunto un peso “contrattualmente” molto più rilevante rispetto alle ordinarie associazioni di categoria (dalle imprenditoriali Anica-Api all’Agis alla storica autoriale Anac) e che esige un impegno più stringente su alcune questioni cruciali (estensione e quantificazione degli obblighi di investimento anche agli operatori di rete, prelievo di filiera “alla francese” a carico di Sky, rafforzamento della figura del produttore indipendente…).

  

I lavori del convegno “La finanza del cinema”

  

Venendo alla cronaca della giornata di studio nel corso della quale è stato presentato anche il volume “La finanza del cinema” (Bancaria Editrice, Roma, 287 pagg., 25 euro), i lavori si sono aperti con la relazione introduttiva dell’onorevole Andrea Colasio (Responsabile Cultura de La Margherita), che ha spiegato, con una dotta dissertazione tecnica, le ragioni culturali alla base del disegno di legge, sottolineando la necessità di rafforzare la produzione indipendente attraverso un maggior equilibrio negoziale con i broadcaster, ma anche di rompere in modo definitivo il vecchio “paradigma autoriale”, da mandare in soffitta insieme al concetto di “musa assistita”, di accentuare i criteri automatici per la valutazione dei progetti, riducendo al minimo il potere discrezionale di commissioni ancora fortemente condizionate dalla politica.

Nella mattinata, si sono svolti due interventi di natura tecnica, a cura del professor Mario La Torre e professoressa Caterina Leone della Sapienza di Roma, nei quali è stato illustrato, dati alla mano, il difficile rapporto tra banche e imprese di cinema, caratterizzato ancora da reciproca diffidenza e da numerosi timori legati anche fattori culturali-linguistici (i due “mondi”, in Italia, non si parlano, anche a causa del pluridecennale ruolo della Bnl, cui lo Stato ha affidato, fin dal regime fascista, una sorta di “monopolio”), ma al prevalere di logiche da “signoria”, ed indicati i moderni prodotti finanziari tratti dai modelli di successo (ma non di semplice importazione nel sistema nazionale caratterizzato da sottodimensionamento e sottocapitalizzazione) provenienti dal mercato statunitense.

Ne è scaturita una prima tavola rotonda sulle effettive possibilità di patrimonializzazione del comparto nella quale si sono confrontati produttori – Angelo Barbagallo, Presidente Api, Riccardo Tozzi Vice Presidente Anica e Alessandro Usai, Ad di Mikado – e uomini della finanza – Rino Cattuzzo di Unicredit Banca d’Impresa e Gianfranco Verzaro di Artigiancassa (istituto a capo di un consorzio che ha recentemente vinto la gara per la gestione dei fondi pubblici, e che ha preso il posto di Bnl, anche se va osservato che Bnl è azionista di Artigiancassa).

Barbagallo ha affermato che il problema vero non è tanto quello del “gap financing“, quanto quello di fissare regole chiare (come avviene in Francia) con i broadcaster, in modo da sanare le distorsioni che rendono lunghe e faticose le procedure per ottenere anticipi sui contratti o fare operazioni di factoring.

Tozzi, dopo aver sottolineato la correttezza dei principi contenuti nella riforma (“l’unico strumento per rafforzare il mercato è dotarsi di una moderna regolamentazione tra cinema e media”), ha richiamato alla memoria i tempi in cui pochi erano pronti a scommettere sulla fiction come comparto industriale in grado di ribaltare le logiche di acquisto dall’estero allora prevalenti in quanto più convenienti (nel 2006, abbiamo superato le 800 ore di trasmesso), proponendo la nascita di una “federazione” di produttori indipendenti capace di lavorare su pacchetti di progetti e di fare massa critica, in ottica di condivisione dei rischi e di maggiore credibilità e reputazione agli occhi di possibili finanziatori.

Particolare il caso di Mikado, che, appartenendo ad un gruppo (De Agostini), ha già una “banca in casa”, sebbene permangano – a giudizio di Usai – grandi difficoltà nel fare previsioni certe sul flusso dei ricavi lungo un arco temporale di 5 anni, con evidenti ripercussioni in termini di “bancabilità” dei progetti.

Sul fronte opposto, pur nella consapevolezza di interloquire con una “industria di prototipi” (sulla natura “atipica” del prodotto filmico alcuni – come Tozzi – non concordano pienamente), le banche chiedono alle imprese cinematografiche maggiore trasparenza, per fare in modo di poter leggere con attenzione quegli indicatori necessari a superare l’esame ed ottenere la fiducia degli istituti di credito.

D’altro canto, è altrettanto importante che le strutture creditizie rafforzino il proprio know-how interno, con profili professionali competenti, in grado di comprendere i meccanismi che muovono l’industria cinematografica e analizzarne gli “asset” fondamentali, a partire dal patrimonio dei diritti, in termini di profittabilità.

Verzaro, a tal proposito, ha annunciato la creazione di un apposito comitato misto, composto da rappresentanti di Artigiancassa e della Dg Cinema, per garantire la massima correttezza nelle procedure di valutazione dei progetti da finanziare con le risorse pubbliche.

Cattuzzo, dopo aver riconosciuto il fallimento delle cartolizzazioni (strumento sul quale si riponevano legittime speranze) per mancanza di offerte provenienti dall’estero, ha intravisto un segnale incoraggiante nella nascita a settembre del Mercato Alternativo dei Capitali, che, per la sue caratteristiche (costi contenuti), dovrebbe far avvicinare alla Borsa anche le imprese cinematografiche. Secondo il manager Unicredit, le imprese non possono lavorare soltanto sugli anticipi scontando i crediti derivanti da contratti, ma è necessario fare un salto di qualità creando anche degli stock di capitale per i nuovi progetti.

  

La sessione pomeridiana: gli animi si accendono

  

Altrettanto interessante la seconda parte del convegno, dedicata ai rapporti tra istituzioni e mercati, moderata con l’abituale perizia specialistica e disincantata ironia da Marco Mele, penna d’eccellenza del quotidiano confindustriale “Il Sole-24 Ore“.

Nel corso del pomeriggio, si sono succeduti gli interventi di Gaetano Blandini, Direttore Generale Cinema del Mibac, che ha fatto il punto sull’evoluzione storico-normativa dei fondi pubblici a sostegno del cinema e sulle azioni del Ministero per risolvere le crescenti difficoltà insorte a partire dal 2003, quando, dopo anni di spesa fuori controllo e di mancati rientri, il “fondo rotativo” è andato inesorabilmente ad esaurirsi. La legge Urbani del 2004, da questo punto di vista, lungi dal porsi come una riforma di sistema (come invece si pone quella presentata dall’attuale maggioranza), ha avuto il merito di introdurre meccanismi di “reference system” (tecnocrazia/meritocrazia), per responsabilizzare il produttore e soprattutto di abbassare la quota del sostegno pubblico fino al 50 % dell’intero investimento. Blandini ha poi difeso l’ultimo decreto varato in giugno, con il quale “si è strappato l’ultimo velo di ipocrisia” e che trasforma il finanziamento pubblico in contributi a favore dei produttori.

Particolarmente interessante la “lezione” sulle differenti tipologie di incentivi ed agevolazioni fiscali dirette ed indirette svolta da Gian Marco Committeri (Studio Tonucci), terreno sul quale – come già richiamato – il Governo intende procedere speditamente, introducendo misure di “tax shelter”, applicabili già a partire dal prossimo anno. Resta ancora da comprendere se si privilegerà un sistema di deduzione integrale ed immediata delle somme investite da parte di soggetti esterni o una semplice tassazione ridotta sugli utili. A tal proposito, Blandini ha affermato che le misure previste in Finanziaria dovrebbero avere una consistenza pari a 150 milioni di euro, risorse da spalmare su 3 anni e ripartire ai settori della produzione, distribuzione ed esercizio.

Da segnalare, all’interno della sessione, l’intervento di Francesco Carducci (Ad di Cinecittà Holding), che ha descritto le tappe del rilancio del gruppo pubblico, che, seguendo gli atti di indirizzo del Ministro, ha effettuato una significativa correzione di rotta, azzerando gran parte delle discutibili iniziative del precedente Consiglio di Amministrazione (si pensi alla disastrosa operazione “Mediaport”, ma anche al fallimento del Cine-Fund), per concentrarsi maggiormente sulle attività di “servizio pubblico” proprie della Holding, quali la promozione in Italia e all’estero, una razionalizzazione delle strutture interne e un non meglio precisato sostegno alla “patrimonializzazione” delle imprese. Carducci non ha fatto cenno alle critiche che pure circolano nell’ambiente, rispetto alla lentezza con cui il “nuovo governo” di Cinecittà sta cercando tagliare rami secchi, svuotare sacche di inefficienza e spreco, e di focalizzare un rinnovato progetto strategico per la holding cinematografica pubblica.

E’ seguito l’intervento di Giampaolo Letta, appena riconfermato Vice Presidente ed Ad di Medusa Film, che ha espresso una posizione molto equilibrata sul testo di riforma in procinto di essere discusso in Parlamento: se è indubbio il merito di voler adottare misure volte ad estendere il bacino delle risorse attraverso la leva fiscale e un più corretto sistema di prelievo sulla filiera, Letta ravvisa – al tempo stesso – alcune “anomalie” cui porre rimedio nel corso del non semplice iter di approvazione. E’ un errore, ad esempio, accomunare all’interno di uno stesso impianto normativo due settori molto differenti tra loro, come cinema e tv. Giudicato “assurdo” escludere i principali investitori (Rai Cinema, Medusa e Fox, gli stessi in qualche modo penalizzati dalla tassa di scopo e dagli obblighi di investimento) dai benefici della nuova legge. Con riferimento al prelievo di “filiera”, Letta si mostra pessimista sulla trasferibilità del modello francese ed esprime perplessità sulla nuova struttura che gestirà i fondi pubblici (il Centro Nazionale di Cinematografia), di cui non sono ancora del tutto chiare le modalità di funzionamento. Il testo della proposta di legge (ma non è noto a “quale” testo si riferisse Letta, dato le varie versioni – nessuna “autentica”, si teme – che circolano nelle ultime settimane…) risulta molto vago, anche in relazione agli incentivi a sostegno della distribuzione (a giudizio del manager, occorre una norma più precisa sul reinvestimento) e all’esercizio, materie che ovviamente stanno molto a cuore – alla società presieduta da pochi giorni da Carlo Rossella ed appena passata sotto il controllo di Mediaset. Letta ha mostrato grande preoccupazione sui tempi di approvazione della riforma, sostenendo che sarebbe stato più opportuno un pacchetto di provvedimenti più snello dove accanto alle incentivazioni fiscali, inserire una lotta più serrata alla pirateria, un sostegno all’home-video (riducendo l’Iva al 4 % sui prodotti audiovisivi, richiesta storicamente sostenuta anche dal Presidente Univideo Davide Rossi, reduce dalla presentazione del Rapporto Annuale dell’associazione), una migliore definizione della legge 122 per quanto riguarda le quote di investimento per la sala, così come un processo più agevole di riconversione delle sale chiuse o in agonia, favorendo i cambi di destinazione d’uso (anche parziali), in modo da garantirne la sopravvivenza in un contesto assai confuso ed eterogenea, aggravatosi da quando ogni Regione ha cominciato a legiferare autonomamente in materia di autorizzazioni all’apertura di nuove sale.

Letta ha infine avanzato la proposta di avviare al più presto un attento lavoro di “simulazione” di tipo economico-finanziario per verificare l’impatto sul mercato derivante dall’introduzione degli incentivi di carattere fiscale e delle altre misure volte ad ampliare le risorse disponibili.

Si tratterebbe di uno strumento prezioso a supporto delle disposizioni che il Ministero intende adottare in materia, che guiderebbe più efficacemente il processo decisionale all’interno di uno scenario in cui si possono controllare e prevedere le diverse variabili in gioco .

L’idea non è affatto caduta nel vuoto, ma è stata subito ripresa da Blandini che ha colto l’occasione proprio per annunciare l’avvio in tempi molto rapidi di un progetto speciale affidato ad istituti di ricerca indipendenti, in collaborazione con le associazioni di categoria, volto a rispondere all’esigenza primaria di dotarsi di strumenti di analisi predittiva e di ricerca in grado di misurare e valutare le ricadute economiche connesse ai nuovi assetti normativi. In materia, IsICult ha elaborato fin dal 2006 un progetto di modello di simulazione evoluta dell’intervento dello Stato nel settore.

La discussione ha quindi assunto toni piuttosto accesi (ma gli addetti ai lavori non se ne sono meravigliati più di tanto), con l’intervento di Tullio Camiglieri, Direttore della Comunicazione e delle Relazioni Esterne di Sky, che ha letteralmente tuonato contro l’idea di un sistema di tassazione a carico di quei soggetti che già effettuano investimenti nel settore. Il riferimento è al recente “accordo” (in realtà di tratta di un contratto di impegno sottoscritto da Sky, Anica e Api recante “metodologia e proposta per investimenti Sky nei film italiani”), che, in base a precisi “escalator” associati a differenti scaglioni di ingressi in sala (soglia minima 20mila), mette sul piatto 35 milioni di euro (12 in più rispetto al precedente) per i prossimi 18 mesi, fissando una sorta di “listino automatico” a beneficio dei produttori (l’accordo è stato lodato da Tozzi). Camiglieri è strenuamente convinto non solo che l’introduzione della tassa di scopo sia un grave errore, ma anche che le risorse eventualmente recuperate non farebbero altro che favorire quel sistema assistenzialista e scarsamente ancorato al mercato che invece risulta obsoleto. Il rappresentante di Sky elenca una lunga serie di distorsioni macroscopiche sulle quali sarebbe opportuno intervenire senza indugi: l’altissimo costo del lavoro (che rende poco competitivo il nostro mercato rispetto ad altri emergenti), le scarse possibilità di accesso al credito (e quale sede migliore dell’Abi, per simili lamentazioni?), l’assenza di meccanismi che incentivino concretamente l’afflusso di capitali esterni nel settore, ed infine lo “sconcertante” grado di penetrazione all’estero dei nostri prodotti. Dito puntato anche sulla formazione manageriale (non esiste in Italia una “scuola di produttori”, ha sostenuto). Tutti temi che hanno inevitabilmente suscitato alcune reazioni dal palco e di alcuni partecipanti in platea, che hanno sottolineato la rilevanza storica e strategica di una Istituzione come il Centro Sperimentale di Cinematografia che, almeno in parte, forma anche le nuove leve di produttori.

Alle critiche dure di Camiglieri ha replicato il Direttore Generale del Ministero, che ha parlato di “disinformazione”, alludendo anche al pamphlet a cura di Brunetta e Feltri pubblicato un mese fa dal quotidiano “Libero” sugli sprechi nella gestione dei fondi pubblici. “La guerra è finita” – ha detto Blandini – sostenendo che Sky si identifica troppo spesso in un soldato a cui non hanno annunciato la fine delle ostilità, e difendendo la legittimità di intervenire con una norma correttiva che ricrei un giusto equilibrio tra investimenti e valore del prodotto (riferendosi alla teoria secondo la quale lo sfruttamento di contenuti “premium” come i film generi fatturati che giustificano obblighi più stringenti anche per l’operatore satellitare).

Da segnalare infine anche l’intervento di Stefano Turi, Direttore Generale della Filas Lazio, che ha illustrato il tentativo di mettere in atto interventi di stimolazione “territoriale” del tessuto della filiera cinematografica.

  

In conclusione…

  

Prima dell’intervento conclusivo del Ministro, di cui abbiamo riferito in testa all’articolo, ha trovato spazio una simpatica tavola rotonda, conclusiva brillantemente condotta dall’attore Massimo Ghini (raro esempio di attore impegnato anche sul fronte della tutela, e già prestato alla politica – essendo stato consigliere comunale a Roma), che ha posto alcune acute domande ad Antonio Muto (Vice Direttore Banca di Roma) da un lato e a Riccardo Tozzi dall’altro.

Anche in questo caso, si è riproposta – inesorabile – la netta frattura che separa i due mondi, a causa di una sterile logica di contrapposizione in un mercato ancora maledettamente “opaco e ristretto”.

La via di uscita più praticabile, a giudizio del rappresentante dei produttori, rimane quella di avviare un serio progetto di federazione tra imprese (al tal proposito, ricordiamo che una realtà che potrebbe attivarsi già esiste, e risponde al nome di Sistema Cultura Italia, ovvero la Federazione Italiana dell’Industria Culturale che aderisce a Confindustria), per rafforzarsi reciprocamente e proporsi sul mercato bancario con un portafoglio di progetti in grado di ridurre i margini di rischio e dotato di un maggior “appeal” anche sui mercati esteri. A sua volta, Muto ha ribadito che è fondamentale cambiare la logica di approccio al sistema finanziario, passando dalle semplici richieste di credito (“da qui non si passa”) a più coraggiosi interventi che smuovano capitali di rischio, elevando il grado di responsabilità degli imprenditori di cinema.

Merito del convegno, in conclusione, aver contribuito a far muovere i primi (seppur timidi) passi al settore per rompere quel muro ancora molto resistente che frappone le regole ferree e poco derogabili che guidano le tradizionali scelte “lineari” del mondo bancario al forse troppo atipico mondo dei produttori e distributori cinematografici (ed alle sue “alineari” dinamiche), oggi alla ricerca di fonti di finanziamento alternative o comunque complementari a quelle pubbliche.

E lo Stato? Deve limitarsi “a regolare il traffico”, come ha chiosato Rutelli, sottolineando l’esigenza di un ruolo meno invasivo, ma più propulsivo delle politiche di sostegno pubblico ad un settore che merita senz’altro maggiore attenzione.

Non entriamo, ancora, nel merito di una attenta disamina tecnica della proposta di legge Colasio-Franco, il cui testo, ribadiamo, circola ancora a livello di… “samisdat”.

IsICult e Key4biz dedicheranno un approfondimento ad hoc, appena possibile: nel mentre, è stata annunciata pubblicamente il 6 luglio anche una proposta di legge da parte dei Comunisti Italiani ed il 12 luglio un pubblico convegno affronterà, a Roma, la proposta di legge di Rifondazione Comunista…

Parafrasando il Grande Timoniere (visto che di esponenti della sinistra si tratta), “grande la confusione è sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente”?!?

La situazione di mercato del cinema italiano, nelle ultime stagioni, appare discretamente eccellente, ma certo non dipende né dal rafforzamento strutturale del sistema industriale, né dalla velocità ed accuratezza con cui il “sistema della politica” sta cercando di cavalcare un’onda che ci si augura destinata a non rapido esaurimento.

  

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Angelo Zaccone Teodosi, Presidente di IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale

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