Fiction: le nuove produzioni Sky Italia a sostegno del pluralismo nell’industria audiovisiva?

di di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale) |

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Angelo Zaccone Teodosi

Nell’ambito del RomeFictionFest, la kermesse fortemente voluta dal Presidente della Regione Piero Marrazzo (politico dal ben preciso passato televisivo) e dal suo assistente, il Segretario Generale della Regione Francesco Gesualdi (già Direttore Generale di Cinecittà), si è tenuta il 5 luglio una inedita conferenza stampa durante la quale Sky Italia, ovvero – più precisamente – Sky Cinema e Fox International Channels hanno annunciato la propria volontà di “fare fiction”, avviando una linea di produzione di audiovisivo “made in Italy”.

 

Sono state annunciate tre produzioni, anche se non è stato comunicato alcun preciso impegno di investimento: i responsabili del Gruppo Sky Italia (in primis Nils Hartmann, Direttore di Sky Cinema e Fiction), a domanda di una giornalista, hanno eluso la risposta.

  

L’iniziativa stimola molte domande, e la stessa conferenza stampa può essere oggetto di una adeguata analisi critica, sia per la sua stessa coreografia simbolica sia per l’economia politica sottesa (non sfuggirà ai lettori più attenti la citazione di “L’economico e il semiotico nel cinema italiano”, un bel saggio antesignano – 1981 – di Giuseppe Perrella).

 

In sostanza, sul tavolo degli oratori, in bella mostra, tra gli altri, quattro “vip” del cinema italiano: Gabriele Salvatores, Michele Placido, Riccardo Tozzi, Maurizio Totti, rispettivamente tra i più famosi e accreditati registi, attori, produttori dell’italica cinematografia.

 

Le produzioni annunciate sono tre:

  

– Sky Cinema produrrà 12 episodi di una serie tv, ideata a partire dal film di Placido, “Romanzo Criminale” (produzione Cattleya – Gruppo De Agostini, per la regia dello stesso Placido), e 6 episodi di una serie tratta dal fim “Quo vadis, Baby?” di Salvatores (produzione Colorado Film, per la regia di Guido Chiesa);

 

– Fox International Channels ha invece presentato il 14mo episodio della serie comica “Boris”, che narra le vicende di una troupe tv alla prese con una opinabile fiction di lunga serialità (produzione Wilder, per la regia di Luca Vendruscolo), ed ha prospettato una possibile seconda serie.

 

Si tratta, in sostanza, di due produzioni di fiction “alta” (nel senso a budget medio-alto), tratte da film cinematografici di successo, e di una fiction “bassa” (nel senso di “low budget”), che propone una visione televisiva dello stesso medium tv (il neo-Presidente di RaiSat Carlo Freccero ha affermato pubblicamente che “Boris” sarebbe il prodotto più innovativo dell’ultima stagione della televisione italiana).

 

Michele Placido ha sostenuto che, in questo modo, si rompe non solo il duopolio Rai – Mediaset nella produzione di fiction, ma si aprono nuovi orizzonti espressivi, perché il controllo politico “della Chiesa” nell’industria audiovisiva italiana sarebbe tale da rendere impossibile la messa in onda, sulle reti Rai-Mediaset, di opere di fiction veramente innovative, sperimentali, d’avanguardia. In sostanza, Sky Italia andrebbe ad osare laddove Rai e Mediaset non sanno e non possono, condizionate da conformismi politici e moralistici.

 

In sostanza, secondo l’attore-regista, Sky avrebbe reso più pluralista lo scenario della fiction italiana, consentendo l’uso di linguaggi più diretti, crudi, vicini alla vera realtà, che verrebbe invece sempre edulcorata dalle logiche “culturali” del duopolio. Tesi simile ha sostenuto oggi 6 luglio il pluripremiato sceneggiatore Vincenzo Cerami, in occasione di un workshop promosso ancora dal RomeFictionFest: la scrittura narrativa per la fiction è, quasi “a priori”, destinata ad auto/censura, perché nessun dirigente di palinsesto e decisore produttivo vorrebbe che il “telespettatore medio” avesse un sussulto di paura, di spavento, di dubbio, mentre guarda la Tv sul divano di casa.

 

La tesi di Placido è peraltro discretamente contraddetta dalla dichiarazione che le due serie, prodotte rispettivamente da Cattleya e Colorado, andranno sì in prima visione su Sky Italia, ma verranno poi messe in onda da Mediaset, su Italia 1.

 

Peraltro, come è stato osservato da un giornalista, le scelte di Sky non sembrano innovative, dato che cercano di “replicare” televisivamente due successi cinematografici, con una serializzazione tv prodotti “theatrical”… Non è esattamente quel che mette in atto Hbo in Usa (anche se questo modello è stato richiamato dai manager di Sky Italia), che invece realizza prodotti innovativi, ideati specificamente per la tv.

 

Ben venga l’ingresso di uno dei maggiori “player” del sistema televisivo italiano nel boccheggiante settore della produzione, ma che si debba esaltare questo ingresso come “salvifico”, in termini di economia mediale e di libertà espressiva è un paradosso, anche in prospettiva di politica culturale, e le ragioni di questa critica sono presto dette:

– Sky Italia continua a beneficiare di un “vantaggio competitivo” che il legislatore, nel lontano 1998, ha assegnato alla televisione a pagamento: la pay tv italiana, a differenza di Rai e Mediaset (e La 7 e Mtv), non è sostanzialmente sottoposta ad obblighi di investimento in produzione audiovisiva europea e nazionale; questa norma (la cosiddetta “legge n. 122”, fortemente voluta dall’allora Sottosegretario alle Comunicazioni Vincenzo Vita e recepita nel “Testo unico” del 2005) prevede che le tv nazionali siano obbligate ad investire il 10% dei loro ricavi pubblicitari in produzione, mentre la Rai (ex lege Gasparri) deve investire un 15% del totale del proprio fatturato (più esattamente, i ricavi pubblicitari più canone, mentre prima era solo il 20% del canone);

– se poteva avere un senso, nella fase di “start-up”, questo privilegio assegnato alla Pay TV (che ottengono generalmente dalla pubblicità meno del 10% del totale dei ricavi), quando Sky Italia si pone ormai sostanzialmente allo stesso livello dei “competitor” della tv “free-to-air” (oltre 4 milioni di abbonati, oltre 2,5 miliardi di euro di fatturato…), che giustificazione può trovarsi nel mantenimento di questo privilegio?

  

In sostanza, sebbene molti si lamentino del “duopolio” televisivo, nessuno sembra realmente intenzionato a scalfirlo. La calendarizzazione dell’iter del disegno di legge Gentiloni non prevede tempistiche esaltanti, e molti osservatori e parlamentari la danno già “in sonno”…

Piuttosto, si afferma un assetto “triopolistico”, con un soggetto privilegiato, a discapito del sostegno alla produzione audiovisiva nazionale.

 

E’ naturale, è evidente, è sano che gli obblighi di investimento, peraltro blandi (nella normativa italiana), imposti a Rai e Mediaset vengano estesi anche al fatturato complessivo di Sky Italia.

Si ricordi che, nel 2006, Rai ha fatturato complessivamente 2.884 milioni di euro (bilancio sociale), Mediaset 2.751 milioni (ricavi solo da Italia), Sky Italia 2.234 milioni (bilancio al giugno 2006; se si applicasse all’intero anno fiscale il tasso incrementale dell’ultimo trimestre, ovvero +12%, la soglia dei 2,5 miliardi di euro sarebbe stata già raggiunta).

 

Per quanto riguarda più precisamente Sky Italia, è opportuno ricordare alcuni dati della trimestrale, a conferma di un rafforzamento della ricchezza strutturale del gruppo, oltre alla crescita dei ricavi in valuta locale del 12%; utile operativo a 91 milioni di dollari Usa, con un +32%, rispetto ai 69 milioni di dollari registrati nello stesso periodo del precedente anno fiscale; queste performance positive riflettono i 456mila nuovi abbonati acquisiti nel corso degli ultimi 12 mesi, che fanno salire a quota 4,17 milioni il totale dell’emittente a fine marzo 2007.

 

Si ricordi che Rai e Mediaset hanno dichiarato pubblicamente di aver investito nell’ultimo anno in produzione di fiction rispettivamente 280 e 220 milioni di euro (si tratta di cifre da trattare con prudenza, perché non certificate da nessuno, nemmeno dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).
Sky Italia – che si autodefinisce una delle maggiori industrie culturali italiane – quanto ha investito finora in fiction italiana? E quanto intende investire, al di là dei 35 milioni di euro resi da poco disponibili per l’acquisto/produzione di film cinematografici italiani?

 

Il Ministro Paolo Gentiloni ha annunciato che il suo dicastero sta lavorando ad una riforma della legge n. 122, forse anche oltre quel che potrebbe derivare dal disegno di legge Franco-Colasio di riforma complessiva del sistema cinematografico e audiovisivo, appena avviato in Parlamento: auguriamoci che il “Gentiloni 3” proceda più speditamente rispetto agli altri due provvedimenti in discussione, perchè altrimenti le riforme prospettate non passeranno mai dalla… teoria alla prassi.

  

(con la collaborazione di Bruno Zambardino)
  

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