Ddl Gentiloni: la Ue ridimensiona la stampa, ‘Al momento nessuna approvazione’. Intanto il Ministero pronto a modificare il testo

di Raffaella Natale |

Italia


Commissione europea

“…Non è vero che abbiamo dato una forma qualunque di approvazione” alla legge Gentiloni sul riordino del sistema televisivo. Così Jonathan Todd, portavoce dell’Antitrust europeo, ha ridimensionato le notizie apparse sulla stampa nazionale secondo cui il testo avrebbe ottenuto il via libera da Bruxelles.

“…Non è vero – ha spiegato Todd – che abbiamo approvato il disegno di legge. Lo faremo solo quando sarà finalizzato e ci verrà spedito”.

Il portavoce del Commissario Ue per la Concorrenza, Neelie Kroes, ha sottolineato come sia “…positivo che le Autorità italiane prendano sul serio le preoccupazioni espresse nella lettera di messa in mora” del 19 luglio 2006, quando è stata avviata la procedura d’infrazione nei confronti della Legge Gasparri.

“…Il 12 aprile – ha proseguito Jonathan Todd – abbiamo inviato una lettera (firmata dal direttore generale della direzione Concorrenza Philip Lowe, ndr ) in cui abbiamo spiegato che le valutazioni sarebbero state fatte sulla versione finale. L’impressione che abbiamo dato la nostra benedizione è sbagliata”.

 

La Commissione Ue ha, quindi, preso tempo sulla valutazione del Ddl Gentiloni, espresso soddisfazione sul modo in cui il Governo ha finora gestito i rilievi dell’Antitrust Ue, ma sottolineato che la disposizione del tetto massimo del 45% dei ricavi pubblicitari “…non è destinata a eliminare le riserve espresse” nella lettera di messa in mora del luglio 2006.

 

Intanto il Ministero delle Comunicazioni ha risposto alle osservazioni espresse dalla Ue nella lettera del 6 aprile di Philip Lowe.

Dopo aver preso atto con soddisfazione della “valutazione complessivamente positiva formulata sui contenuti” del Ddl Gentiloni, il Ministero ha annunciato anche alcune modifiche che potrebbe apportare, eventualmente anche con emendamenti, alla legge in discussione ora alla Camera a partire dalla valutazione di una diversa definizione di ‘posizione dominante‘, con un termine più coerente con la normativa Ue. La lettera di Lowe a sua volta era una replica alla comunicazione del Ministero che illustrava i principi del disegno di legge, presentato anche in risposta all’avvio della procedura di messa in mora in seguito alla Legge Gasparri.

 

Alle perplessità sul limite del 45% alla raccolta pubblicitaria, il Ministero ha risposto spiegando “…il carattere transitorio ed eccezionale della disposizione che fa riferimento alla nozione di posizione dominante, disposizione unicamente finalizzata all’introduzione di una misura temporanea di tutela del pluralismo e della concorrenza nella fase del passaggio del sistema televisivo alla tecnologia digitale”.

Si tratta quindi di “…una tipica misura di accelerazione dei tempi della transizione in tal senso coerente con sollecitazioni delle istituzioni comunitarie che chiedono di velocizzare per quanto possibile le strategie di switch-off”.

Ma in conclusione “…il Governo prende atto che sul piano terminologico il concetto di ‘posizione dominante‘ è ritenuto fuorviante da codesta direzione e valuterà, nel proseguo dell’iter del provvedimento, la possibilità di formulare un termine più coerente con i concetti usati dalla normativa Ue, così come suggerito”.

 

Nella lettera della Ue si legge infatti che “…L’Articolo due del disegno di legge introduce un tetto massimo pari al 45% dei ricavi pubblicitari complessivi del settore televisivi; soggetti che superano tale soglia sono considerati in ‘posizione dominante’ e sono di conseguenza tenuti a ridurre la quantità di spot trasmessi”. E poi: “…Osserviamo che tale disposizione non è destinata a eliminare le riserve espresse nella lettera di costituzione in mora”.

La Commissione europea sembra criticare inoltre la formulazione della disposizione in questione, “…laddove essa fa riferimento al concetto di ‘posizione dominante’ per le Imprese che superano la soglia del 45%. Questa formulazione – prosegue infatti la lettera – non è coerente con i concetti utilizzati nella normativa comunitaria in materia di concorrenza, in base alla quale le posizioni dominanti devono essere valutate caso per caso”.

 

Quanto ai tre rilievi Ue sulla procedura di cessione della capacità trasmissiva eccedente il limite del 20%, il Ministero ha annunciato, per il comma 9 dell’articolo 3 del Ddl, di “…proporre direttamente, salvo che analoghe iniziative non siano assunte in sede parlamentare, un emendamento inteso a sostituire le parole ‘ceduta da parte del fornitore di contenuti’ con le parole ‘liberata e rimessa nella disponibilità dell’operatore di rete che la cede”.

 

Respinta al mittente invece l’osservazione sulla mancata distinzione nella disciplina delle frequenze eccedenti tra quelle acquistate prima dell’entrata in vigore della legge 66 del 2001 e quelle utilizzate precedentemente per le trasmissioni analogiche. Mentre alle critiche sulle mancate modalità per la restituzione delle frequenze analogiche che saranno liberate dopo lo switch-off, il Ministero ha ribadito che il Ddl “…prevede espressamente, con modalità diverse, la restituzione di frequenze da parte dei soggetti più forti e la riassegnazione delle stesse, a opera del Ministero e dell’Autorità attraverso procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie intese, ancora una volta, ad introdurre elementi di riequilibrio del mercato in funzione pro-concorrenziale e di tutela del pluralismo”.

 

La disposizione sul limite del 45% alla raccolta pubblicitaria ha sollevato anche l’obiezione del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che davanti alle Commissioni riunite Cultura e Telecomunicazioni della Camera nei mesi scorsi ha ribadito “…se è vero che nessuno vuole colpire la capacità di crescita di un’azienda o il fatturato“, è anche vero che la misura che prevede limiti alla raccolta pubblicitaria di un operatore “…risulterà asimmetrica, perché il mercato pubblicitario è un mercato maturo, che cresce solo dell’1% e nel quale se si perde una quota di mercato occorrono vent’anni per recuperarla”.

“…Per Mediaset – ha proseguito Catricalà – la pubblicità è fonte principale di finanziamento e il mercato pubblicitario è strumento principe per alcune società. Non per  la Rai che ha anche il canone e neanche per le Tv satellitari”.

 

Anche il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, ha precisato che “…La norma che limita al 45% la raccolta pubblicitaria va bene se è transitoria e punta a sviluppare il pluralismo e il digitale terrestre“. Aggiungendo “…Se dovesse avere un carattere definitivo diventerebbe norma asimmetrica con effetti su un solo soggetto”.

 

Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha apertamente lamentato che “…l’indicazione per via legislativa di un tetto alla pubblicità è estranea a ogni disciplina antitrust. Le motivazioni devono essere tecniche, non politiche, e per questo ci sono Autorità preposte”.

Confalonieri ha evidenziato che il provvedimento è “caratterizzato dall’inflizione di un danno non fondato su concreti interessi pubblici”.

“…Punitivo per la nostra azienda e incapace di aprire il settore, ma capace di mortificare l’unica piattaforma televisiva terrestre completamente gratuita”, ha detto Confalonieri, mettendone a rischio fino a un terzo del fatturato di Mediaset.

“…L’obbligo del tetto del 45% del fatturato, una norma scritta con ambiguità ma invalicabile, significa meno 600 milioni di euro di fatturato”.

A cui va aggiunto per le norme sulle telepromozioni, “…il rischio su altri 200 milioni di euro”.

 

Poi anche per il “decalage di due punti dell’affollamento orario, sono 300 milioni di euro in meno”. Infine la rete sul digitale terrestre in anticipo: “300 o 350 milioni di euro”. E da tutto questo “sarebbero esclusi altri 80 milioni di euro, per l’impossibilità di fare offerta pay”.

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