Rai: a chi piace la riforma Gentiloni? Per Rifondazione e Verdi difesa a oltranza del servizio pubblico mentre l’opposizione chiede un ampio confronto

di Raffaella Natale |

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C’era da aspettarselo. All’indomani della conferenza stampa nella quale il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha presentato le guidelines della nuova Rai, si è sollevato il polverone.

Questa riforma della Tv pubblica piace? A molti no e sono strati tanti i giudizi critici sollevati nel merito. Ma anche tanti gli apprezzamenti per cambiamenti che preparano la Rai a un futuro più pluralista dove, come dice il Ministro, “libertà e qualità, non siano un optional“.

 

Ma andiamo con ordine. Ieri il Ministro ha annunciato che avvierà subito una consultazione pubblica con tutti i soggetti interessati, che “si concluderà entro febbraio in modo da arrivare a marzo al disegno di legge del Governo” dedicato al futuro di Viale Mazzini.

Nelle prossime settimane, ha annunciato, il ministero “organizzerà cicli di incontri con tutti coloro che hanno titolo a dare un contributo, le associazioni, gli operatori del settore, i sindacati, gli enti locali”.

Cinque gli incontri di maggior peso già in calendario, “…con l’azienda e i dipendenti Rai; con i giuristi, per definire nei dettagli i contenuti delle linee guida; con il mondo della cultura; con gli operatori del settore, compresi autori, attori e produttori e uno a Ginevra, con l’Unione delle Tv pubbliche europee”.

 

L’aspetto più interessante della novità introdotte dal Ministro delle Comunicazioni è quello già anticipato di dare alla Rai regole di funzionamento tipiche di un’azienda. Da qui la nascita di una fondazione che diventa azionista della Tv pubblica.

Così a suo avviso “…si supera l’anomalia della Rai posseduta dal Governo, come è accaduto negli ultimi due anni, per garantire l’autonomia”.

La fondazione “…nomina i vertici, difende l’autonomia, verifica l’attuazione del contratto di servizio e l’applicazione delle norme della Vigilanza”.

Per il vertice della fondazione “…l’ipotesi principale, ma ce ne sono altre“, è uno schema in cui “…il Cda è composto da sei membri più il presidente, e in cui i candidati vengono vagliati – ha spiegato Gentiloni – dal Parlamento con un sistema di hearings. Due dei sei candidati sono espressi dalle Regioni. Il Cda, come il presidente, vengono nominati con un voto a maggioranza di due terzi. Il Cda dura in carica sei anni, ovvero ha una durata diversa dalla legislatura che ne garantisce l’autonomia, e ogni due anni viene rinnovato per un terzo”.

 

Quanto al presidente, “ha un iter simile agli altri componenti – ha aggiunto il Ministro – ma una sua identificazione, sempre in linea ipotetica, potrebbe scaturire dall’indicazione congiunta dei presidenti di Camera e Senato”.

Lo schema secondo Gentiloni, “garantisce diversi livelli di autonomia. Il primo dal Governo – ha detto ancora – lo assicura la fondazione, il secondo dalle maggioranze pro tempore, con i meccanismi di nomina e la turnazione dei membri del Cda; il terzo dipende dalle caratteristiche delle persone, affidabile solo alla verifica parlamentare”.

Un’ipotesi alternativa a questa, ha detto ancora Gentiloni, è che “il Cda sia indicato non solo dal Parlamento ma da diversi organismi, e sarebbe un Cda più numeroso”.

 

Le novità riguardano anche un nuovo assetto organizzativo per Viale Mazzini, con la creazione di tre distinte società operative, all’interno di una Rai che resta però di proprietà pubblica, “come prevede il programma dell’Unione“: una società che gestisce gli impianti della rete, una a prevalente finanziamento pubblico, una finanziata esclusivamente dalla pubblicità.

Ciascuna delle tre società avrà un consiglio di amministrazione, nominato dalla fondazione-azionista, che funzionerà in base alle norme del Codice Civile.

Duplice, secondo Gentiloni, l’obiettivo di quella che definisce la “proposta principale” per il futuro assetto di Viale Mazzini: “…garantire una più chiara separazione tra ciò che è finanziato dal canone e ciò che è basato sugli introiti pubblicitari e creare le condizioni per eliminare l’eccessiva dipendenza del servizio pubblico dalla pubblicità, che rende difficile la sua differenziazione dalla Tv commerciale”.

 

La presenza di una società interamente finanziata dalla pubblicità, con indici di affollamento da Tv commerciale, facente capo a una delle tre reti Rai non apre necessariamente le porte a una sua privatizzazione: “…Non è irrealistico ipotizzare la presenza di un competitor su un mercato aperto che abbia però proprietà pubblica. Ovviamente tale società non potrebbe però ricevere anche le risorse del canone. Pensiamo all’inglese Channel 4, una Tv pubblica interamente finanziata dagli spot”.

Spetterà, inoltre, alla Fondazione decidere l’eventuale societarizzazione di altri rami d’azienda: Gentiloni, per esempio, vedrebbe con favore quella della radio, “…per garantirle maggiore autonomia, anche grazie a una quota garantita di canone, e evitare che sia una ‘sorella minore’ nel sistema”.

 

Molto diretto il commento dell’ex Ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, che senza mezzi termini ha dichiarato: “…La condanna a morte della Rai annunciata dal Governo deve essere impedita. Ci sono evidentemente interessi e manovre dietro queste sortite, collegate alle lotte di successione nel centrosinistra e alle manovre di Rutelli, Veltroni e Prodi”.

Le linee di riforma della Rai del Ministro Gentiloni sono “barocche e tese a complicare inutilmente la vita alla Rai”. Gasparri ha spiegato: “…Si prevedono troppe società, si crea una coesistenza di strutture diverse e soprattutto perché il tutto non si combina bene con l’altra legge Gentiloni che riguarda il sistema Tv nel suo complesso e dunque anche la Rai, per esempio per quanto riguarda le previsioni di quali canali vadano in anticipo sul digitale. Una discussione in due tempi non mi pare possibile né utile”.

“…Da anni si parla di questa ipotesi di Fondazione – ha detto ancora Gasparri – bisogna poi capire chi comanda, valutare bene i contorni. Nelle banche si è fatta una cosa del genere per iniziativa di Amato, che poi se ne pentì in una clamorosa intervista”.

“..Quanto alle due società – ha proseguito – ci sono obblighi previsti dalla Ue, già la mia legge è indirizzata verso una separazione contabile, ma non societaria”.

“…La discussione pubblica – ha aggiunto l’ex Ministro – è un fatto di democrazia. Io comunque resto convinto che alla fine non se ne farà niente”.

 

L’esponente di An fa un’altra osservazione: “…togliere la pubblicità da alcune reti per finanziarle soltanto con le risorse degli utenti comporterebbe un maxi aumento del canone. In un’epoca di ampia offerta televisiva e di moltiplicazione dei canali con il digitale terrestre, condannare la Rai a essere prevalentemente una televisione a pagamento con un maxi canone vorrebbe dire decretarne la morte o la trasformazione in qualche cosa di ben diverso. Altro che tutela della qualità e del servizio pubblico: con la maggiore libertà di scelta il canone non potrebbe più essere obbligatorio e quindi sarebbero in pochi a pagarlo, soprattutto dopo il suo inevitabile aumento, determinando il tracollo della Rai che invece, aprendosi al mercato e salvaguardando la sua funzione storica, potrebbe essere ancora protagonista nella nuova era”.

“Probabilmente qualcuno vuol fare bottino acquistando qualche rete che potrebbe tornare disponibile sul mercato per farne un megafono delle proprie strategie politiche. Staremo a vedere. Intanto è evidente che in Parlamento non può essere avviata nessuna discussione di legge in assenza di chiare proposte”.

 

Il presidente della Commissione di Vigilanza, Mario Landolfi, intravede il rischio di uno “spezzatino” e di una “svendita” della Tv pubblica.

“…Di solito – ha detto Landolfi incontrando i cronisti nella sala stampa di Montecitorio – quando il Governo vuole riformare un settore presenta un articolato, un progetto di legge. Qui, invece, si apre un dibattito il cui fine ultimo è lo spezzatino della Rai, la svendita a qualcuno. Questo mi sembra il succo politico dell’operazione”.

Landolfi, invece, a differenza di Gasparri è “…d’accordo con l’idea di una fondazione come azionista, ma è un obiettivo raggiungibile anche a legislazione vigente. Sono invece fermamente contrario – ha sottolineato – alla divisione in più società”, che prefigura “lo spezzatino dell’azienda e l’ingresso di capitali privati dentro la società finanziata esclusivamente dalla pubblicità. Si va verso la cessione di una parte della Rai ai privati, non mi sembra un buon modo per garantire l’unitarietà del servizio pubblico”.

In sostanza, per il presidente della Vigilanza, o si ha il coraggio di dire “privatizziamo la Rai“, oppure si dice “conserviamo, potenziamo e valorizziamo il servizio pubblico”.

“…Qui, invece, si prende una strada un po’ ibrida, timida e incerta, che vuole accontentare tutte le componenti della maggioranza, ma che è difficilmente attuabile”.

Landolfi è comunque disponibile al confronto: “…Non si chiude mai al confronto, è naturale che si sviluppi un dibattito, ma sarebbe più opportuno discutere su un testo concreto. E, invece, le linee guida dicono tutto e il contrario di tutto: non emerge chiara la volontà del Governo”.

Non propriamente d’accordo con Gentiloni neanche l’Usigrai, che indica come punti critici il pericolo di omologazione con la Tv privata.

E secondo il consigliere Rai Giuliano Urbani, “…Quelle del Ministro Gentiloni mi sembrano linee guida che faranno la felicità di Mediaset e di Sky, perché rendendo difficile la vita della Rai sono particolarmente generose con la concorrenza”.

 

Ma le critiche alle guidelines del Ministro delle Comunicazioni non arrivano solo dall’opposizione. Dalla maggioranza anche Rifondazione comunista e Verdi sottolineano la non condivisione di alcuni passaggi, specie quello che riguarda la riduzione dello spazio della Tv pubblica.

 

“…Occorre – ha dichiarato Sergio Bellucci, Responsabile del Dipartimento Comunicazione e Innovazione tecnologica di Rifondazione Comunista – cambiare molto della situazione della televisione italiana, ma quello che non è possibile fare è una riduzione dello spazio della televisione pubblica. Uno dei problemi che affliggono il nostro sistema, infatti, è quello dell’omologazione dei contenuti, che deriva dalla totale egemonia della pubblicità sui programmi”. “…Ipotizzare oggi un’azienda pubblica  – ha commentato ancora Bellucci – che abbia come missione quella di fare una programmazione di natura commerciale, riducendo contestualmente il numero dei canali che dovrebbero offrire una programmazione di servizio pubblico dietro il pagamento di un canone, ci sembra un vero salto all’indietro. La Rai – ha concluso l’esponente di Rifondazione – va profondamente ripensata perché va ripensato il ruolo e la missione di un’azienda pubblica di produzione di contenuti nell’era digitale. Intorno a questa scelta il programma dell’Unione indica un percorso di lavoro al quale bisogna continuare a ispirarsi”.

 

Molto diretto anche il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli, che ha commentato: “…Le linee guida del Dl Gentiloni prefigurano un dimagrimento del servizio pubblico a vantaggio di competitor privati. Se così fosse per i Verdi sarebbe una proposta irricevibile perché l’informazione pubblica è alla base della democrazia. Avremmo gradito che una riforma così importante fosse stata illustrata e discussa prima con la maggioranza. Così non è stato e in questo modo i nostri rilievi verranno presentati in Parlamento, come è naturale che sia”.

“Il servizio pubblico radiotelevisivo – ha detto ancora Bonelli – va rilanciato e valorizzato, non diminuito. Saremmo fermamente contrari anche alla dismissione di pezzi pregiati. Sarebbe opportuno anche far marciare insieme la riforma della Rai e la riforma di sistema”.

 

Favorevoli, invece, dal Cda Sandro Curzi e Carlo Rognoni. A giudizio di Curzi “…è positivo che il dibattito possa ripartire dalla opzione di fondo inequivocabilmente ribadita dal Ministro: l’irrinunciabilità a un forte servizio pubblico sia per la qualità dell’intero sistema comunicazionale sia per la salute della democrazia sia come fattore di eguaglianza e coesione sociale. E che fissi traguardi essenziali quali l’autonomia dai partiti, la qualità, la riduzione della dipendenza dalla pubblicità, l’innovazione e l’efficienza”.

“…Le soluzioni specifiche, suggerite dalle più avanzate esperienze del mercato europeo, sono opportunamente offerte a un trasparente dibattito pubblico. Bene: è arrivato il momento – ha concluso il consigliere di amministrazione della Rai – che tutti mettano sul tavolo soluzioni, proposte, interessi e intenzioni, e che le istituzioni democratiche possano fare poi sino in fondo la propria parte”.

 

Per Rognoni, “…Adesso tocca ai partiti, ai sindacati, alle associazioni interessate al futuro della Rai pronunciarsi.  Quel grande dibattito – che ho da sempre auspicato – può concretamente aprirsi. Abbiamo davanti alcune settimane per dire la nostra su che cosa ci aspettiamo da un servizio pubblico moderno ed efficiente nell’era della rivoluzione digitale. Personalmente, da subito voglio esprimere un forte apprezzamento per l’idea di una Fondazione che stacchi la spina del rapporto partiti-Rai, metta fine alla lottizzazione, crei la premessa per un ritorno di credibilità. Benissimo anche la separazione tra operatore di rete e fornitore di contenuti. Consente alla Rai di concentrarsi sul core business di fabbrica dell’informazione e di fabbrica di programmi di qualità“. Rognoni ha poi posto l’attenzione su un aspetto importante: “Da valutare con attenzione, invece, la divisione societaria. Ha senso una rete pubblica commerciale? Discutiamone”.

 

Plaudono anche il Renzo Lusetti della Margherita, secondo il quale le linee sono il primo momento per rifondare la Tv pubblica, Roberto Cuillo e Fabrizio Morri (Ds) soddisfatti dell’idea del dibattito pubblico su una riforma “resa urgente” dall’attuale Cda la cui maggioranza è delegittimata dal caso Meocci.

 

“…La presentazione da parte del Ministro Paolo Gentiloni delle linee guida di riforma della Rai rappresenta un elemento positivo; chiunque si attardi nella difesa dell’esistente lavora per la conservazione di un sistema chiuso dominato dai conflitti di interesse e dall’arretratezza tecnologica”. E’ il giudizio del Ds Giuseppe Giulietti, portavoce dell’associazione Articolo 21, che “aprirà un forum” per contribuire al dibattito.

Per Giulietti, “…si tratta ora di passare dallo stadio delle intenzioni a quello degli atti legislativi, a cominciare dalla rapidissima approvazione della prima proposta Gentiloni relativa alla progressiva apertura del mercato delle frequenze e della pubblicità e che costituisce l’indispensabile premessa per arrivare alla discussione e all’approvazione della proposta sulla Rai”.

“…L’intera proposta, ovviamente – ha concluso Giulietti – dovrà ora essere approvata attraverso un ampio confronto in sede politica, parlamentare e attraverso il pieno coinvolgimento di tutte le associazioni professionali, degli autori, dei dirigenti, delle associazioni dei consumatori, delle organizzazioni sindacali dei giornalisti e dei lavoratori”.

 

Riuscirà il Governo Prodi a mettere mano alla riforma della Rai?

Per alcuni la scelta non è così scontata. Il confronto parlamentare si presenta già serrato.

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