Diritti Tv calcio: collettivizzazione o esproprio? La nuova normativa non considera alcuni passaggi giuridici essenziali

di di Vincenzo Zeno-Zencovich (Ordinario di Diritto Comparato - Università di Roma Tre) |

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Vincenzo Zeno-Zencovich

A qualcuno verrebbe mai in mente di stabilire per legge che quando la FIAT vende un’auto metà del prezzo viene versato a un consorzio paritario dei costruttori e l’altra metà ripartito in proporzione alla propria quota di mercato? Oppure che il prezzo del biglietto del cinema o del teatro non vada diviso fra esercente il locale e produttore dello spettacolo, ma attribuito in parte significativa agli altri gestori e produttori concorrenti?

  

Se ciò si facesse si griderebbe subito al sopruso lesivo della proprietà e della concorrenza. Invece, con il calcio sembra che ciò si possa fare confidando addirittura su una ampia e trasversale maggioranza parlamentare: al disegno di legge approvato venerdì dal Consiglio dei ministri paiono tuttavia sfuggire alcuni essenziali punti fermi giuridici.

 

1. L ‘organizzatore di uno spettacolo sportivo ha un diritto esclusivo di sfruttamento economico dello stesso. Decide chi far entrare allo stadio, decide come concedere gli spazi pubblicitari (se lo stadio è di sua proprietà), decide se e come far riprendere lo spettacolo attraverso mezzi audiovisivi.

 

2. Anche a non voler seguire la tesi, pur sostenuta, che l’organizzatore abbia un diritto d’autore sullo spettacolo e sulla sua ripresa filmata, è pacifico, nella giurisprudenza e nella più attenta letteratura giuridica, che egli abbia diritto di sfruttare al meglio il prodotto della sua imprenditorialità, contrastando efficacemente tentativi di appropriazione (tipicamente la ripresa abusiva dello spettacolo).

 

3. Stabilire per legge che le squadre di calcio (ma perchè non anche quelle di basket e di volley, i pugili e i tennisti, Valentino Rossi e la Ferrari?) devono per legge conferire qualcosa che spetta loro a un determinato soggetto (privato per di più! la Lega Calcio ) per una “gestione collettiva” costituisce né più né meno che una espropriazione del valore dell’impresa, la quale acquista giocatori ed ingaggia allenatori e fa le sue campagne di abbonamento sulla base di un presupposto molto chiaro: la disponibilità dei diritti di sfruttamento in tutte le sue forme per la massimizzazione del rendimento, entro i limiti della libera concorrenza.

 

4. Questo esproprio non trova giustificazione in una economia di mercato nella quale le squadre di calcio devono essere (per legge!) delle società e quindi avere finalità lucrative e non di beneficenza. E in cui diverse di loro sono anche quotate in borsa. Ma soprattutto non è costituzionalmente legittimo (ammesso che ci sia un interesse pubblico giustificabile) senza la  previsione di un equo indennizzo per la privazione di un diritto che, per di più, è riconosciuto per legge (la n° 78 del 1999).

 

5. Né vale sostenere che prima di tale legge le società conferivano i diritti alla Lega Calcio per una gestione collettiva: un conto è che i privati decidano di auto-limitare la propria capacità di reddito, altro conto è che sia la legge a imporglielo. Peraltro proprio tale tipo di accordi era caduto giustamente sotto gli strali dell’Antitrust per i suoi evidenti effetti anti-concorrenziali (perchè investire per migliorare la mia squadra se tanto i miei profitti vengono re-distribuiti fra chi non investe e lucra sulla mia “solidarietà” forzata?).

 

6. La situazione non cambia se si stabilisce che l’organizzatore titolare dei diritti non è la singola squadra bensì chi organizza il torneo ( la Lega Calcio ), perchè anche in questo caso occorre che la legge tolga qualcosa che si è sempre ritenuto spettasse alla prima (l’incasso allo stadio non va alla Lega) per attribuirlo alla seconda.

 

7. Certamente la gestione dei diritti televisivi degli spettacoli sportivi pone questioni di concorrenza, che riguardano però le piattaforme trasmissive, non le squadre di calcio. Si possono ideare molti sistemi, ma questi non possono giungere al paradosso che per tutelare  la concorrenza si chiude (meglio: si collettivizza) il mercato, conferendo addirittura a talune imprese un monopsonio (per capirsi: solo Sky Italia può acquistare i diritti per il satellite).

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