FCC: le VoIP company dovranno contribuire al fondo USF come le telco. In arrivo aumenti per gli utenti?

di Alessandra Talarico |

Stati Uniti


VoIP

Tempi di riforma per il VoIP made in Usa.

Dopo la decisione di estendere le intercettazioni telefoniche anche alle chiamate sul web, la FCC ha infatti stabilito che anche le società che offrono servizi di telefonia su internet e si connettono alle reti telefoniche pubbliche – non quelle peer-to-peer come Skype, dunque -dovranno contribuire allo Universal Service Fund, un fondo multimiliardario che finanzia i servizi telefonici nelle aree rurali e disagiate.

 

Fino a ora, soltanto i fornitori di servizi di telecomunicazione tradizionali avevano l’obbligo di devolvere un contributo fisso al Fondo.

Caduta però – anche se in parte – la distinzione secondo cui le società che operano in ambito internet non sono “società di telecomunicazioni” ma “sevizi di informazione”, anche i fornitori di servizi VoIP dovranno fare la loro parte.

 

Con lo stesso provvedimento, la FCC ha anche aumentato il contributo degli operatori mobili, anche se ancora non è chiaro in che misura, dal momento che l’aumento è previsto solo per una delle tre formule adottate dalle compagnie telefoniche per determinare la propria quota di contribuzione. Se le società scelgono di aderire alle due formule rimaste invariate, gli utenti non dovranno pagare una bolletta più pesante.

 

L’aumento che andrà a toccare le tasche dei clienti, dipenderà insomma – ha spiegato Joe Farren della CTIA – “dall’approccio della società telefonica” e da una gran varietà di fattori che impediscono di tracciare uno scenario universale per tutti gli utenti mobili.

 

Le pressioni della potente lobby telefonica statunitense – stanca di devolvere al Fondo una quota sostanziosa dei proventi delle chiamate long-distance alla luce dei vistosi cambiamenti in corso nel settore – hanno dunque sortito il loro effetto, con la revisione degli schemi di contribuzione e l’inclusione delle società VoIP.

 

Secondo le prime stime, gli utenti VoIP – su una spesa mensile di 30 dollari – potrebbero pagare fino a 2,50 dollari in più al mese, mentre gli utenti delle reti tradizionali andrebbero a pagare 1,38 dollari in più e quelli delle reti wireless 1,21 dollari.

 

Per calcolare quanto ogni compagnia telefonica debba versare al Fondo, la FCC ha stabilito un tasso di contribuzione ‘safe harbor’.

 

Per quanto riguarda il VoIP, la FCC parte dal presupposto che il 64,9% delle chiamate avviene sulle lunghe distanze. Una percentuale decisamente più alta rispetto alla telefonia mobile, la cui percentuale è tuttavia cresciuta dal 28,5% al 37,1%.

 

Jim Kohlenberger, executive director della VON Coalition, stigmatizza con un paragone molto ironico l’intervento della Commissione sul VoIP: “è come se si tentasse di risolvere i problemi di traffico e di energia reprimendo lo sviluppo di veicoli ecologici e finanziando i SUV”.

 

Alcune compagnie VoIP già contribuiscono al Fondo, anche se indirettamente, attraverso le compagnie telefoniche che forniscono il collegamento per i loro servizi.

Vonage, ad esempio, impone già una “regulatory recovery fee” per ogni numero assegnato.

 

Gli effetti della decisione della FCC si faranno sentire probabilmente anche sulle bollette delle piccole aziende, che avevano scelto il VoIP proprio per risparmiare sui costi telefonici, mentre la Commissione sta valutando se far contribuire al Fondo anche i fornitori di servizi a banda larga, attualmente esclusi dalla definizione di società di telecomunicazione.

 

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