TDT: per la Ue, cresce il mercato italiano. Intanto Landolfi risponde alla Commissione sul mercato delle frequenze

di Raffaella Natale |

Europa


Commissione europea

Il Rapporto d’implementazione sul settore delle comunicazioni elettroniche, che la Ue presenterà lunedì 20 febbraio a Bruxelles, conferma il trend crescente per la Tv digitale terrestre (TDT) in Europa, ma la cosa di grande rilevanza è che proprio l’Italia procede a gonfie vele.

L’Unione europea in una nota spiega che nel 2005, il Ministero delle Comunicazioni ha stimato che siano stati venduti circa 3.700.000 decoder per il digitale terrestre, cifre molto incoraggianti.

Ad aprile 2005 il ministero, insieme agli operatori del settore e a due regioni, Sardegna e Val d’Aosta, hanno firmato un accordo per un progetto pilota volto a completare la digitalizzazione delle due regioni entro luglio 2006. La scadenza a livello nazionale è stata fissata a dicembre 2008″ .

“Gli operatori satellitari – continua ancora il comunicato – hanno denunciato una discriminazione tangibile riguardante l’accesso ai fondi pubblici per l’acquisto di decoder. La Commissione ha recentemente aperto un’indagine per aiuti di Stato su questo tema”.

 

Ma nonostante questa notevole crescita e l’intenzione dell’Esecutivo europeo a procedere a gran ritmo verso il passaggio alla nuova tecnologia di trasmissione radiotelevisiva, la Sardegna vuole rallentare il piano digitale e rinviare lo switch-off, che per i capoluoghi delle due regioni è previsto il prossimo 16 marzo.

Il Ministero delle Comunicazioni  si è detto disponibile ad aprire un tavolo di trattative, stabilendo un confronto proficuo e costruttivo sulle problematiche avanzate, ma si è rifiutato di accettare i “termini ultimativi” del governatore della Sardegna Renato Soru.

Il Sottosegretario al Ministero delle Comunicazioni, Paolo Romani, ha infatti dichiarato: “Il digitale terrestre non può considerarsi affatto un inganno, ma rappresenta una grande opportunità di Innovazione tecnologica che il nostro Paese sta perseguendo fin dal 2000 e che trova unanime consenso in tutta Europa”.

 

L’ex numero uno di Tiscali ha, infatti, chiesto di bloccare lo switch-off. “Su questa vicenda è necessario fare chiarezza – ha detto Soru – visto che l’accordo a suo tempo raggiunto è stato in gran parte disatteso, soprattutto per quello che riguarda l’interattività che doveva essere garantita e che non sono in grado assolutamente di assicurare gli attuali decoder”.

 

Sulla stessa linea di Soru si è anche posta l’Adiconsum. Il segretario regionale, Giorgio Vargiu, ritiene che la data del 16 marzo sia impossibile da rispettare.

“Sembrava ormai ovvio che in merito al digitale terrestre bisognava realizzare una nuova modalità per il passaggio dall’analogico al digitale. Una modalità discussa e approvata da tutti i soggetti interessati, consumatori compresi. Il sottosegretario Paolo Romani, invece, non sente ragioni e a testa bassa continua a minacciare la chiusura della televisione analogica per il 16 marzo. Non ascolta la Rai che dichiara di non poter garantire a tutti il segnale digitale. Non guarda i numeri che dicono che più del 40% dei cittadini in Sardegna non hanno il decoder. Non ascolta gli esperti che ci informano che i decoder in commercio non permettono l’alta definizione”.

L’Adiconsum ribadisce, quindi, la necessità di riprogrammare le modalità per la transizione del digitale terrestre e chiede che in Sardegna si faccia per tutto il 2006 una vera sperimentazione coordinata dalle Regioni, con dei comitati tecnici, rappresentativi di tutti – consumatori compresi – gli interessati al digitale terrestre.

 

Intanto prosegue sempre sul versante del mercato della TDT un’altra polemica è quella che riguarda le frequenze.

“La distribuzione delle frequenze per il digitale terrestre in Italia è avvenuta nel rispetto della legge 66 del 2001, il cui impianto è stato sostanzialmente rispettato dalla Gasparri, che ha solo meglio precisato le tappe per arrivare alla completa digitalizzazione delle reti analogiche”. E’ quanto scritto dal Ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, in una lettera di risposta alla Commissione europea che chiedeva chiarimenti sull’assegnazione delle frequenze per la TDT e sui rischi di monopolio, nata da un esposto presentato dall’associazione Altroconsumo e dall’emittente Europa 7.

 

Nella lettera, il ministero spiega anche che il mix di analogico e digitale è una “scelta obbligata”, dal momento che nel nostro Paese la diffusione della Tv digitale o via cavo non ha ancora raggiunto livelli tali da permettere di “spegnere” il sistema analogico (liberando dunque frequenze) senza danni agli utenti. Ma comunque anche in questa fase l’ingresso di nuovi operatori dotati di concessione analogica p possibile attraverso due sistemi: l’acquisto di impianti e frequenze; la fornitura di contenuti ad altre emittenti che trasmettono in digitale.

In ogni caso, per il ministero non ci sono casi di acquisto di frequenze da parte di Tv nazionali “in eccedenza rispetto alle effettive necessità” e se, dopo il passaggio definitivo al digitale, si libereranno frequenze, sarà lo Stato a disporne “nei modi che riterrà più opportuni, che al momento non si possono prevederenel pieno rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza, obiettività, equità, non discriminazione e proporzionalità” previsti dalla legge.

 

Intanto – spiega ancora il ministero – il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze analogiche del 1998 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni “non è stato mai attuato per una serie di cause fattuali e normative”, in particolare per l’allungamento del cosiddetto regime transitorio, che ha più volte prorogato il termine per il rilascio delle nuove concessioni.

In questo quadro si è inserita la legge 66 che ha stabilito che i soggetti che avessero la concessione ma non le frequenze (come Europa 7) potessero “acquisire impianti di diffusione e connessi collegamenti”; le Tv nazionali già operanti, con copertura del territorio inferiori al 75%, potessero effettuare “compravendita di frequenze o rami di azienda tra emittenti nazionali ed emittenti locali”; quelle con copertura superiore al 75% potessero sì comprare frequenze, ma “solo per effettuare la sperimentazione della tecnica digitale terrestre”. La stessa legge ha anche stabilito l’obbligo, per i soggetti con più di una concessione, di destinare a terzi almeno il 40% della capacità trasmissiva delle reti digitali terrestri. Modalità che – si sottolinea – sono state riconosciute corrette dalla stessa Commissione europea.

 

Quanto alla Gasparri, continua ancora il ministro, ha prorogato le concessioni analogiche fino al 31 dicembre 2006 (data originariamente prevista per lo switch-off dalla stessa legge 66, oggi prolungata di due anni), precisando meglio le fasi di avvio della trasmissione in digitale e consentendo “il trasferimento di impianti o di rami di azienda tra emittenti nazionali e locali, purché tali acquisizioni siano destinate alla diffusione in tecnica digitale”.

Chiaramente, il prolungamento delle concessioni analogiche fino allo switch-off presuppone che si possa trasmettere contemporaneamente in analogico e digitale: un sistema che “comporta l’impegno di un più ampio spettro frequenziale” ma che è “l’unico a consentire una graduale e costante migrazione dall’analogico al digitale senza provocare eccessivi disagi o oneri sia all’emittenza che all’utenza“.

 

Il ministero ricorda infine che l’Autorità ha il compito di effettuare l’analisi del mercato 18, che riguarda anche la Tv digitale, “che consentirà di stabilire il grado di concorrenza e di fissare le misure regolamentari necessarie per assicurare competitività”.

Intanto, nella bozza di provvedimento sottoposta a consultazione pubblica, l’Authority ha già evidenziato come Rai e Mediaset detengano una “posizione dominante collettiva” nel mercato della Tv analogica, mentre “allo stato nessun operatore detenga individualmente o congiuntamente ad altri una posizione dominante” in quello della Tv digitale.

 

La polemica sulle frequenze per trasmettere in digitale terrestre riguarda soprattutto Mediaset.

Sull’argomento è intervenuto il presidente dell’emittente, Fedele Confalonieri, che ha chiarito quanto il modo con cui certa stampa ha presentato la richiesta di chiarimenti da parte dell’Unione europea sulla titolarità delle frequenze in Italia sia “un’operazione truffaldina“.

 

Secondo Confalonieri questo dimostra come dietro a certi giornali ci siano “degli editori che vorrebbero far bottino delle frequenze di Mediaset, come se fosse una smazzata di carte”.

“L’Europa – ha sottolineato il presidente – ha fatto una richiesta d’informazioni al ministero delle Comunicazioni e all’Authority. In Italia, invece, c’è voglia di far bottino delle nostre frequenze, che abbiamo pagato per sperimentare il digitale. Le frequenze – ha continuato – sono sì un bene pubblico, ma le abbiamo comprate noi investendo 400 milioni di euro, sulla base di una legge del 2001 votata dal centrosinistra, che ha dato l’avvio al digitale. Con questa polemica si vuole falsare la realtà”.

 

Confalonieri, poi, ricorda che “le licenze le abbiamo da 25 anni, quelle non si toccano. Per altro nella legge del 2001 c’era anche che dovevamo dare il 40% della aumentata capacità di trasmissione. Siccome siamo un’impresa e dobbiamo rendere conto agli azionisti, che non sono solo il signor Berlusconi, che ha un terzo, ma anche al 50% del capitale che è straniero e ad altri, dobbiamo rendere conto a questi dei nostri investimenti”.

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