IPv6: la nuova frontiera di Internet. Vannucchi (AICT), ‘il passaggio al nuovo Protocollo è cruciale per il futuro dell’ICT’ 

di Agostilia Milita |

Italia


IPv6

Internet continua a crescere e con la sua diffusione cresce anche l’uso dei servizi disponibili online. Il funzionamento del Web è oggi basato essenzialmente sulla versione 4 del Protocollo IP (IPv4), che sta mostrando i propri limiti in termini di capacità di indirizzamento. La versione 6 del protocollo IP  (IPv6) è invece in grado di offrire una quantità pressoché illimitata di indirizzi per i nodi di rete e si presenta come una naturale evoluzione dell’IPv4. La giornata studio “IPv6: la nuova frontiera di Internet“, organizzata da AICT (Associazione per la tecnologia dell’Informazione e delle Comunicazioni), AICA (Associazione Italiana per l’Informatica ed il Calcolo Automatico) e INFORAV (Istituto per lo Sviluppo e la Gestione Avanzata dell’Informazione), ha voluto analizzare tutti gli aspetti del processo di migrazione dall’IPv4 all’IPv6, che vanno dagli aspetti propriamente tecnici ai problemi dei costi di implementazione, oltre agli aspetti legati a nuovi modelli di business possibili con l’IPv6.

 

Dopo i saluti del Presidente dell’AICT Guido Vannucchi e di Luisa Franchina, Direttore dell’Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle Tecnologie dell’Informazione, si è entrato nel vivo della discussione, partendo dall’intervento di Marco Sommani del CNR, che ha voluto sottolineare i vantaggi dell’IPv6 rispetto all’IPv4, a partire dalla carenza degli spazi di indirizzamento dell’IPv4.

In effetti, occorre considerare, ha precisato Sommani, che gli indirizzi scarseggiano, ma Internet cresce. Quella che vediamo è una ‘Internet malata’ e lo spazio di indirizzamento non è più globalmente univoco: gli indirizzi privati vengono riutilizzati e il cliente finale è condizionato dal gestore del NAT. I NAT, se non sono proprio inutili del tutto, sono dannosi, in quanto le comunicazioni effettuate in presenza di NAT e dirette a indirizzi privati sono impossibili”.

 

Ma cosa fare allora, bisogna sostituire l’IPv4 o lasciarlo coesistere con l’IPv6?

 

La risposta è rassicurante, ha continuato Sommani, perché l’IPv4 può coesistere con l’IPv6 e non è urgente convertire l’IPv4 all’IPv6, ma è necessario portare l’IPv6 ovunque e favorire la graduale conversione dell’IPv4″.

L’IPv6 renderà possibile la diffusione di nuovi contenuti e servizi (giochi, file sharing…) e devono quindi essere i provider a implementare la nuova versione del protocollo per poi proporre nuovi servizi ai consumatori finali.

I tempi sono maturi per la diffusione di nuove applicazioni ed apparati fra il grande pubblico e con l’IPv4 una rivoluzione di nuovi apparati e servizi non è possibile. Ora devono intervenire gli operatori: è il momento dei provider“.

 

Se le prospettive offerte dall’evoluzione tecnologica sembrano allettanti e l’IPv6 sembra un percorso ineluttabile, gli operatori si mostrano cauti sui tempi di migrazione e Mario Morelli di Fastweb ha voluto presentare l’IPv6 “tra il mito e la realtà. L ‘IPv6 ha indubbi vantaggi, ma occorrono accorgimenti importanti per un provider per introdurlo nella sua rete. (…) E’ già importante che oggi ci si chieda quando ci sarà l’IPv6 e non più se ci sarà. L’IPv6 ha patito di uno slow start rispetto alle previsioni iniziali, ma ci sono già molte sperimentazioni in corso e in Giappone e in Corea, dove alcuni operatori stanno già offrendo i servizi tradizionali su IPv6..(…) La transizione è certamente possibile, ma presenta dei costi importanti e sono necessari attenti piani di migrazione e la coesistenza di IPv4 e IPv6. Riguardo ai costi da sostenere da parte degli operatori, non ci sono ritorni di investimento immediati e inoltre, a livello tecnico,  non è semplice eliminare i NAT. Sicuramente l’introduzione dell’IPv6 è una scelta strategica per preparare l’innovazione nei servizi, anche se la domanda del cliente del mass market è ancora molto bassa”.

 

L’IPv6 contribuirà in maniera sostanziale al completamento della convergenza dei servizi grazie alle migliori prestazioni delle reti che lo useranno. “Siamo in un’epoca in cui tanti elementi che sono stati sviluppati singolarmente ora vengono a convergere“, ha spiegato Maria Rita Spada di Wind e stiamo assistendo a delle nuove ambizioni degli operatori di telecomunicazioni che portano alla convergenza dei servizi: gli operatori fissi che vogliono andare verso il mobile, gli operatori mobili che si orientano verso il fisso e operatori convergenti che operano tra fisso e mobile. Molti consorzi internazionali stanno studiando forme di standardizzazione della convergenza, come ad esempio la FMCA (Fixed Mobile Convergence Alliance) che sta portando alla definizione della tecnologia UMA, standard della convergenza fisso-mobile. L’obiettivo della convergenza è che l’utente possa ovunque fruire dei servizi di telecomunicazioni, e i diversi ambienti (mezzi in mobilità, ambienti remoti) non devono costituire ostacoli a questa fruizione.

 

“La prospettiva dell’IPv6 appare inevitabile, anche secondo Paolo Fasano di Telecom Italia, ma manca un business case da parte di uno degli operatori che stimoli anche gli altri a cambiare le cose e dare il là a una partenza decisa dell’IPv6“. Fasano ha illustrato i motori e i freni dell’IPv6, evidenziando un quadro ancora fatto di aspetti talvolta contraddittori ed incerti, che fanno sì che gli operatori e i produttori siano molto attivi nelle sperimentazioni, ma ancora non pronti al passaggio commerciale.

 

Una volta implementato, l’IPv6 permetterà l’offerta di servizi sempre più ricchi, è quanto ha sottolineato Walter Cipolleschi di Microsoft, ricordando che “Microsoft ha iniziato a occuparsi dell’IPv6 nella seconda metà degli anni ’90 e nel gennaio del 2000 ha iniziato a integrare l’IPv6 in windows. Il laboratorio MSR di Cambridge ha introdotto una chiave di sicurezza nell’identificativo IP e Microsoft ha già rilasciato delle versioni definitive di IPv6″. Ma quali servizi saranno possibili con l’IPv6? “Servizi mobili IP (PDA, cellulari) voce, radio VoIP, giochi, RFID”. Insomma un’offerta vasta e diversificata, che si rivolgerà ai 17 miliardi di dispositivi che si prevede saranno collegati nel 2012.

“Il mobile IP è il volano dell’IPv6 e già molti vendor hanno inserito la capacità di interfacciarsi con l’IPv6 in alcuni modelli.(…) Il mobile avrà una forte espansione grazie all’incontro tra Tv e telefonino. Oltre al mobile, anche l’integrazione di info rmatica e telecomunicazioni lascia intravedere un’enorme crescita di nuovi servizi per il futuro”. Già oggi Skype conta 4-5 milioni di utenti che usano simultaneamente il servizio di telefonia VoIP. Un altro esempio significativo di un nuovo servizio è quello del gioco online numero uno in Cina, che conta ben 800.000 utenti concorrenti.

 

Joy Marino dell’AIIP ha chiesto ai partecipanti della tavola rotonda il loro parere sugli ostacoli all’adozione dell’IPv6 e il contributo delle loro aziende all’implementazione dell’IPv6

Enrico Albertin di HP si è soffermato sull’ostacolo dell’incertezza dei ritorni degli investimenti per l’IPv6 e ha precisato che HP ha già predisposto tutte le piattaforme per supportare l’IPv6.

Antonio Artale di Vodafone ha risposto che occorrerebbe definire meglio quali servizi possono essere offerti ai clienti. Di certo l’IPv6 servirà a proporre servizi always on su rete mobile, ma il primo lancio avverrà con l’IPv4.

 

Anche Raffaele D’Albenzio di Juniper Networks ha confermato come l’incertezza del ritorno degli investimenti per l’implementazione dell’IPv6 freni le aziende, anche se Juniper può sviluppare sui propri apparati l’IPv6 se sono i clienti a chiederlo.

“Occorre trovare una killer application per l’IPv6″, ha aggiunto  Riccardo Casiraghi di Cisco Systems e occorre soprattutto una domanda che stimoli i produttori a realizzare piattaforme e apparati con l’IPv6.

 

“La parola chiave per l’IPv6 è la globalità“, è quanto affermato da Lucy Lombardi di Tim, secondo cui l’IPv6 non è un servizio, ma un fattore abilitante per lavorare con gli operatori di tutto il mondo, come per il roaming che esiste ormai in tutti i Paesi. Della stessa opinione Gabriella Paolini di GARR, che ha ribadito che l’IPv6 è l’ingrediente fondamentale per la crescita di Internet e la rete GARR fra le Università è già operativa nei due protocolli.

 

Stefano Trumpy di ISOC ha concluso i lavori della giornata studio: “Non è facile spiegare i motivi del ritardo dell’IPv6, né come recuperare”. Ha spiegato che sono molto attivi i Paesi asiatici come la Cina , il Giappone perché si ritengono discriminati nella distribuzione degli indirizzi e l’IPv6 risolverebbe questo problema. In USA la scelta dell’IPv6 è sollecitata dal dipartimento della difesa per ragioni legate alla sicurezza.  Anche l’Europa è ormai orientata verso l’IPv6, ma manca una spinta incisiva degli operatori e dei governi, che potrebbero prendere delle iniziative significative a esempio a livello fiscale. “Le previsioni sui tempi dell’IPv6 sono varie e si parla del 2008, 2009 così come del 2020. Occorre una spinta da parte di tutti gli attori e lo sviluppo dell’IPv6 deve avvenire a livello globale”.

 

A commento della giornata studio, il Presidente Vannucchi ha dichiarato a key4biz: “L’introduzione del nuovo protocollo IPv6 in luogo dell’attuale IPv4 è un aspetto cruciale per il futuro dell’ICT. Vi sono vari motivi che ne indicano l’ineluttabilità, come l’aumento vertiginoso previsto dalle comunicazioni ‘machine to machine’, l’aumento dei giochi con concorrenti in rete, il superamento del ‘digital divide’ per i Paesi poveri non più in grado di ottenere nuovi indirizzi ecc., ma vi sono anche freni di varia natura che ne rallentano il cammino, ad esempio la compatibilità con le attuali strutture di rete ecc.  La giornata di studio organizzata dall’AICT ha sviscerato le contrapposizioni e gli interessi che le motivano, mettendo in evidenza che la spinta preponderante viene dagli operatori mobili ed in particolare da quelli asiatici che nel prossimo futuro condizioneranno preponderatamente il mercato. Va anche tenuto conto che non è un problema di costi l’implementazione negli apparati: già grandi ‘player’ tipo Microsoft e Sony offrono il nuovo protocollo nei loro apparati. E’ un problema di compatibilità delle reti che, come spesso accade in questi casi, ha necessità di un certo tempo di transizione”.

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