Generazione ‘Watchdogger’, l’identikit 2012 della Rete che denuncia

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Si professionalizza maggiormente la filiera digitale che denuncia ciò che non va e che crea un filodiretto con i cittadini oggi users. Maggiore collaborazione con la PA locale, ma gli investimenti sono ancora pochi e il più delle volte affidati all’autofinanziamento dei fondatori. Il nuovo rapporto Watchdog 2012 – giunto alla quinta edizione – presenta numeri in chiaroscuro per la rete che fa inchiesta, che propone denunce, che veicola iniziative di pubblica utilità. La ricerca ha interrogato 642 web tv e 815 testate digitali mappate dall’osservatorio Altratv.tv (tasso di risposta 66%).

 

Ad occuparsi maggiormente di inchiesta sono ancora le antenne territoriali (88%) rispetto alle community (12%). Spesso le iniziative digitali nascono per volontà di cittadini (45%) o di istituzioni pubbliche (15%), ma crescono anche le esperienze di associazioni, aziende e gruppi di interesse (40%). I watchdogger godono del patrocinio di enti pubblici per il 64% dei casi, ma ricevono ancora deboli approvviggionamenti economici: solo il 22% delle antenne ottiene incentivi dal pubblico, il 12% gode di finanziamenti europei e l’8% ha rapporti economici con privati. Ma a fare la parte del leone è ancora la formula dell’autofinanziamento (vale per il 60% dei casi analizzati), che si esplicita attraverso sottoscrizioni, donazioni o operazioni di crowdfunding.

 

Migliora il rapporto con la PA locale. nonostante il 47% delle antenne percepisca “indifferenza”. Per il 33% dei casi c’è “collaborazione”, mentre un 14% lamenta forme di “boicottaggio” più o meno evidenti (nel 2011 il dato era fermo all’8%) e solo un timido 6% registra un sostentamento economico. Le redazioni non sono ancora mature per formule di specializzazione interna e così nel 64% dei casi per le inchieste non ci sono in redazione figure specializzate. Quasi una antenna su tre dedica più della metà della programmazione alle denunce (precisamente 22%), mentre un 7% ne dedica quasi la totalità. Aumenta la capacità di monitorare l’oggetto della denuncia: l’82% delle antenne segue sempre o quasi sempre l’evolversi dei fatti (il noto “come è andata a finire?”).

 

Nei contenuti di denuncia si prediligono i generi delle interviste (82%). A seguire dibattiti (55%), servizi giornalisti (72%) e reportage (48%). Quasi la totalità delle antenne ha a disposizione telecamere digitali semi-professionali o professionali (88%) e si registra un incremento delle microcamere nascoste (21%). Bassa ancora la possibilità di inserire contributi video di denuncia autoprodotti dai cittadini-users: solo il 42% delle piattaforme lo consente. Denunce prevalentemente “social”: i contributi video relativi alla tematica di denuncia vengono postati anche su Facebook (91%), su Twitter (84%), su altri social network (6%). Si incrementa il numero di antenne che caricano video anche su piattaforme di videosharing: l’88% adotta YouTube, il 30% Vimeo. Rispetto ai tradizionali mezzi di comunicazione l’antenna si pone come strumento prevalentemente indipendente (92%), integrativo (88%) o alternativo (56%) rispetto ai media generalisti. A questo link è possibile scaricare la ricerca completa.