Di fronte alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale e del cloud computing, è tempo di un nuovo “Cloud AI Development Act”? A questa domanda, tutt’altro che retorica, hanno cercato di rispondere esperti di diritto, economia, industria e pubblica amministrazione nel corso del webinar “L’Italia è pronta per un Cloud e AI Development Act?”, organizzato da Seeweb.
Un confronto ricco e denso di spunti, che ha visto protagonisti nomi autorevoli come Antonio Manganelli (professore di Diritto dell’economia, Università di Siena), Innocenzo Genna (avvocato esperto di diritto digitale europeo), Renato Sicca (Antitrust), Maria Vittoria La Rosa (avvocato), Luca Megale (Fondazione Astrid), Antonio Baldassarra (Seeweb), Alberto Messina (RAI), Vincenzo Ferraiuolo (Fastweb–Vodafone) e Simone Cremonini, esperto finanziario. Il messaggio emerso è chiaro: serve una governance industriale e regolatoria più solida e coesa a livello europeo per affrontare le sfide legate alla trasformazione digitale.
Il cloud: da tecnologia a infrastruttura strategica
A guidare l’apertura del dibattito è stato Antonio Manganelli, che ha chiarito subito il punto:
“Oggi i servizi cloud non sono più una questione tecnica: sono diventati un’infrastruttura strategica per l’economia digitale europea.”
Il dato è lampante: il mercato cloud cresce del 30% l’anno e in Italia oltre il 65% delle imprese ha già adottato soluzioni cloud. Tuttavia, a questa crescita fa da contraltare una fortissima concentrazione del mercato, con tre operatori, Amazon, Microsoft e Google , che controllano l’80% del settore. E con questa concentrazione arrivano anche i rischi: lock-in tecnologico, mancanza di interoperabilità, bundling e tying.
Il quadro normativo attuale, pur comprendente il GDPR, il Data Governance Act, il Digital Markets Act e il nuovo Data Act (in vigore dal 2025), resta frammentato. E soprattutto, non è stato ancora disegnato un vero gatekeeper per il cloud, lasciando un vuoto che rischia di amplificare gli squilibri esistenti.
Verso un nuovo equilibrio normativo-industriale: l’Open Tech Act
Nel 2025, è atteso l’Open Tech Act, un’iniziativa più industriale che regolatoria, che intende sostenere l’ecosistema europeo del cloud e dell’intelligenza artificiale. L’obiettivo è ambizioso: costruire una filiera europea autonoma e competitiva, capace di sostenere la crescita dell’AI, che dipende in ogni sua fase, dall’addestramento all’implementazione, da risorse cloud scalabili e accessibili.
Ma il tema non è solo quello della crescita. I rischi di leveraging tra cloud e AI sono reali. I grandi operatori potrebbero favorire le proprie soluzioni AI sfruttando la posizione dominante nel cloud, ostacolando la concorrenza e l’innovazione indipendente.
Genna: “Serve una preferenza europea nei settori strategici”
Secondo l’avvocato Innocenzo Genna, l’Europa è a un bivio. Il ritardo accumulato nella corsa digitale è evidente e la presidenza europea 2025 dovrà necessariamente semplificare le regole e sostenere l’industria europea. Ma non si tratta solo di innovare: serve una scelta politica chiara.
“Se le PA continuano ad acquistare soluzioni americane, senza visione strategica, il messaggio è che non crediamo nella nostra industria.”
L’esempio della Francia è emblematico. Promuove la sovranità digitale, ma le imprese (pubbliche e private) si affidano comunque ai grandi provider americani. “Perché? Perché le soluzioni europee, spesso open source, richiedono competenze, formazione e un cambio culturale”.
La sfida è anche cognitiva e organizzativa dunque, non solo normativa. La storica frase “nessuno è mai stato licenziato per aver scelto IBM” oggi si applica a Microsoft, Amazon e Google. E senza una “preferenza europea” nei settori strategici, la competizione è falsata fin dall’inizio.
Il ruolo della PA e il fattore “orientamento al mercato”
Un altro punto chiave del dibattito è stato il ruolo della pubblica amministrazione. Non solo come consumatore di tecnologia, ma come attore politico ed economico in grado di indirizzare il mercato.
Le scelte delle PA hanno un effetto a catena sull’ecosistema. Se le istituzioni pubbliche scelgono soluzioni cloud europee, stimolano domanda, consolidano l’offerta locale e costruiscono fiducia. Ma per farlo servono competenze, coordinamento e visione strategica.
Il nodo concorrenza e l’evoluzione del modello europeo
Il tema della concorrenza è stato affrontato anche alla luce delle nuove dinamiche regolatorie. L’Unione Europea si trova a gestire un’enorme mole di casi, con la Commissione che fatica a essere l’unico arbitro dei mercati digitali. Questo ha portato alla valorizzazione del principio della “best placed authority”: laddove possibile, le autorità nazionali devono intervenire in prima battuta.
Con il Trasferimento di Modello Istituzionale (TMI) e l’articolo 38 del Digital Markets Act, l’Europa punta però anche a una nuova centralizzazione collaborativa, in cui le autorità nazionali fanno da filtro e supporto istruttorio, ma la decisione finale spetta alla Commissione.
In Italia, l’AGCM ha già da tempo mostrato attenzione al tema: dall’indagine conoscitiva del 2018 su Big Data alle segnalazioni del 2021, che hanno portato a importanti modifiche legislative (abuso di dipendenza economica con presunzione nelle piattaforme digitali e obbligo di notifica per concentrazioni sotto soglia).
Sicca: “Le autorità nazionali restano centrali, anche nell’era del DMA”
Proprio su questo tema si è inserito l’intervento di Renato Sicca, responsabile della Direzione Piattaforme Digitali e Comunicazioni dell’Antitrust, che ha tracciato un quadro molto concreto dell’evoluzione recente nel campo della vigilanza sulle piattaforme digitali.
Sicca ha evidenziato come il Digital Markets Act sia nato anche in risposta a una constatazione operativa: le autorità nazionali si trovavano spesso in difficoltà nel contrastare le condotte abusive delle grandi piattaforme, a causa della sproporzione di mezzi e risorse. Da qui la necessità di uno strumento europeo capace di agire su comportamenti sistemici in modo più tempestivo e coordinato.
Ma la centralizzazione delle competenze in capo alla Commissione non ha escluso le autorità nazionali, che restano parte integrante del sistema DMA. Anzi, ha spiegato Sicca, la collaborazione tra Bruxelles e le autorità dei singoli Paesi è prevista e necessaria, specialmente nelle fasi istruttorie e nella raccolta di elementi preliminari. Si tratta di un ritorno a un modello più centralizzato rispetto a quello del 2003, ma con una consapevolezza nuova: le autorità nazionali, pur non decidendo in via definitiva, sono essenziali per garantire un’applicazione efficace e tempestiva delle regole.
L’Antitrust italiana, in questo contesto, non è rimasta in attesa. Prima ancora dell’entrata in vigore del DMA, ha agito sia sul piano propositivo, con due importanti segnalazioni – una sull’abuso di dipendenza economica da parte delle piattaforme e una sulle “killer acquisitions” – sia con interventi concreti nei confronti di grandi player come Google e Amazon. In molti casi, le pratiche contestate (auto-preferenzialità, ostacoli all’interoperabilità) sono oggi normate proprio dal DMA, a conferma che l’Italia è stata spesso apripista su questi temi.
Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento e la designazione ufficiale dei gatekeepers, l’AGCM mantiene un ruolo importante anche nei casi più recenti, come quelli contro Apple, Meta e Booking. Sicca ha sottolineato come la Commissione stia promuovendo protocolli di collaborazione attiva con le autorità nazionali, che prevedono anche scambi di personale e gruppi di lavoro congiunti. Una rete di cooperazione che potrà garantire maggiore tempestività e capacità di intervento, soprattutto nella tutela delle PMI e nell’assicurare condizioni di concorrenza e accesso equo alle risorse digitali.
L’urgenza di un Cloud AI Development Act
Il messaggio emerso dal webinar è perciò unanime: serve un nuovo patto europeo per il cloud e l’intelligenza artificiale, che unisca industria, istituzioni e utenti in una visione condivisa.
Un Cloud AI Development Act dovrebbe essere il quadro entro cui rafforzare la sovranità tecnologica, garantire concorrenza e interoperabilità, incentivare investimenti pubblici e privati, supportare il ruolo strategico della PA e soprattutto, costruire fiducia nell’ecosistema digitale europeo.
Perché il futuro dell’Europa passa anche da qui: dalla capacità di non solo innovare, ma anche governare l’innovazione.