Cinema: ottimismo per il mercato italiano. Ma dalla Ue segnali poco rassicuranti, rischio di liberalizzazione selvaggia

di di Angelo Zaccone Teodosi e Bruno Zambardino (IsICult - Istituto Italiano per l'Industria Culturale) |

Italia


Cinema

Torniamo sul convegno promosso dal mensile politico sulle comunicazioni di massa “Gulliver” intitolato “Quale cinema per quale televisione“, tenutosi nei giorni scorsi alla Casa del Cinema di Roma, nel corso del quale sono emersi interessanti spunti di riflessione legati a temi di stringente attualità, dalle precarie condizioni di salute del servizio pubblico, ormai sotto assedio “esterno”/”interno” (cfr. la puntata di “Annozero” del 6 dicembre, in modo non esattamente equilibrato) alle interessanti prospettive di crescita e di rafforzamento dell’industria audiovisiva e cinematografica nazionale.

 

Partendo dalla drammatica situazione di incertezza in cui versa il nostro broadcaster pubblico, accanto alle posizioni del Presidente Claudio Petruccioli e del consigliere Sandro Curzi (secondo il quale l’unico modo per salvare una Rai ormai “sgangherata” e ferma da 15 anni è l’intervento della politica, riferendosi al progetto di riforma Gentiloni, che in questi giorni dovrebbe ricevere un’accelerazione), da registrare la lucida analisi del neo-Presidente di Rai Trade, Renato Parascandalo, una lunga e rilevante carriera all’interno dell’azienda pubblica, per tanti anni alla guida di Rai Educational – sua “creatura”, almeno nella versione più recente – patrimonio e modello avanzato di servizio pubblico.

 

Dopo aver annunciato con vanto di servizio pubblico la conclusione di un progetto, durato ben 7 anni, per l’aggiornamento di un dizionario per la corretta pronuncia della parola, redatto con il supporto di esperti di linguistica e di multimedialità, Parascandalo ha messo in guardia la platea dai rischi legati ad una scarsa condivisione pubblica di due documenti fondamentali appena varati dal Cda della Rai (il ritorno del consigliere Petroni potrebbe tuttavia richiedere una nuova procedura di approvazione) e che contengono gli obiettivi e gli strumenti strategici necessari per risollevare le sorti di Viale Mazzini nei prossimi anni.

Si tratta, secondo Parascandolo, del “piano industriale” che prevede una serie di misure drastiche – in una ottica di doverosa discontinuità – volte a scongiurare la previsione di 500 milioni di indebitamento da qui al 2010 e delle linee-guida del nuovo “piano editoriale”.

 

Il Presidente di Rai Trade ha sostenuto che il vero nodo da sciogliere non è tanto legato a nuovi modelli di “governance“, ai quale forse si dà troppa importanza ( la riforma Gentiloni prevedrebbe la creazione di una Fondazione sganciata dalla politica), quanto quello di dar vita ad un nuovo modello organizzativo non più basato su “corpi separati mono-mediali”, ma su più efficaci strutture trasversali fondate sui generi, più adatte al nuovo scenario, sempre più multicanale e multipiattaforma.

E’ necessario un salto di qualità nella “cultura politica dell’organizzazione”, che ponga fine all’attuale clima di confusione e di scarsa consapevolezza, insita in una logica che non favorisce le sinergie interne e che finisce per acuire le “derive” lottizzatorie. L’appello forte e convinto di Parascandalo è pertanto quello di un ritorno ai “generi”, preferibilmente in un’ottica multipiattaforma, sulla scia del modello di Rai Educational.

Un primo passo in tal senso potrebbe essere quello di riunificare cinema e fiction, in una fase quella attuale in cui l’acquisto e la produzione di contenuti audiovisivi torna prepotentemente al centro dell’attenzione. Basti pensare all’ennesima operazione di Mediaset che, dopo essersi assicurata in cordata con altri partner la più potente “factory” di format a livello mondiale, ha assorbito al proprio interno una delle più importanti società di produzione di fiction, la Tao Due di Pietro Valsecchi che ora opererà in sinergia con Medusa, anch’essa ormai “internalizzata” (la nuova società avrà un patrimonio netto di 270 milioni di euro).

 

Non è un caso che l’altro tema caldo attorno al quale si è acceso il dibattuto presso “Gulliver”, è stato quello delle riforme sul credito di imposta e sull’adeguamento della legge n. 122 per rafforzare l’impegno dei broadcaster e fornitori di contenuti a favore della produzione cinematografica domestica.

Riforme che il Ministro Francesco Rutelli non ha esitato a definire “rivoluzionarie”, a margine dell’incontro (a inviti) del 30 novembre, da lui promosso presso il Collegio Romano (sede istituzionale del Ministero), con produttori, distributori, esercenti, autori, presente anche il Direttore Generale per il Cinema Gaetano Blandini.

 

Ancora una volta, va dato atto al Ministro Rutelli della volontà di voler promuovere una “cabina di regia unitaria“, strumento ora prezioso per far si che, nella seconda lettura della Finanziaria, “le norme siano confermate e consolidate“. La partita è importantissima, ha ribadito il Ministro, “e ancora mantiene aspetti delicati”.

Decine e decine gli emendamenti ai due articoli in questione (il 12 e il 72), sui quali tenere alta la guardia, per evitare di disperdere il lungo e complesso lavorio tecnico di questi ultimi mesi.

La norma sul “tax credit” permetterebbe alle imprese del comparto di investire fino ad un massimo di 3,5 milioni, tutti deducibili dalle tasse.

Per garantire la copertura del mancato introito per lo Stato, il provvedimento prevede 180 milioni di euro spalmati in tre anni (20 milioni per il 2008, 80 per il 2009, 80 per 2010). A questo, si aggiungono due commi che riguardano la detassazione sugli utili di impresa.

 

La norma sugli obblighi di investimento e programmazione delle opere europee e del cinema italiano, dovrebbe aumentare il volume di risorse destinate all’industria cinematografica grazie alla estensione degli obblighi (seppure mitigati) a Sky e alle telecoms.

Nell’ultima edizione della Mostra di Venezia, alle Giornate degli Autori, è stata effettuata anche una prima stima dell’impatto di questo provvedimento, con riferimento alla programmazione di opere realizzate negli ultimi 5 anni e collocate nelle fasce di maggior ascolto. E’ emerso, ad esempio, secondo queste elaborazioni (da considerare comunque con prudenza, anche se riconfermate ieri da Emidio Greco), che se le sole 3 reti Rai programmassero 1 film italiano a settimana, si giungerebbe ad una visibilità garantita di ben 156 film all’anno, un formidabile volano per accrescere gli investimenti di Rai Cinema e dell’intero settore.

Sia dall’incontro al Ministero che alla Casa del Cinema, si è levato un forte e compatto appello affinché il Parlamento dia l’ok ai due provvedimenti in Finanziaria.

 

I rappresentanti delle diverse “categorie”, intanto, riuniti alle Giornate Professionali di Sorrento, riconoscono con unanime soddisfazione l’attuale momento d’oro – non congiunturale – del cinema italiano. E sono quindi allineati alle tesi “ottimistiche” manifestate ieri dal Presidente dei produttori di Anica, Riccardo Tozzi.

Se le proiezioni si riveleranno corrette, il 2007 si chiuderà, infatti, con 120 milioni di biglietti staccati, cifra record soprattutto se paragonata ai picchi minimi dei primi anni ’90 sotto i 100 milioni. E con una quota di mercato nazionale che potrebbe andare ben oltre il 30 %.

Tra le numerose cifre snocciolate a Sorrento ma ancora non definitive (ricordiamo che, proprio in queste settimane natalizie, si attende la tradizionale impennata del box-office), le quote di mercato conquistate dall’Italia con le cooproduzioni, che vedono un + 28 % negli incassi e un + 28 % nelle presenze.

Nella “top” dei primi venti titoli più gettonati nelle sale cinematografiche, poi, ci sono ben 3 film italiani (“Manuale d’amore 2″ , “Ho voglia di te” e “Notte prima degli esami”), oltre al film “La ricerca della felicità” che non è formalmente “made in Italy”, ma ha un regista italiano.

 

Insomma, il merito dell’aumento degli incassi è dovuto soprattutto al prodotto nazionale, anche perchè in controtendenza rispetto ai mercati europei come Francia e Spagna, che registrano un decremento di presenze rispettivamente del 3 % e del 10 %, dovuto proprio al minor apporto di film nazionali.

Il successo – secondo la gran parte degli addetti ai lavori – riguarda più titoli, non solo il classico “cinepanettone” di Natale, vince anche il cinema impegnato, quello d’autore e inoltre – grande elemento di novità – il cinema italiano è sempre più richiesto anche nei multiplex, strutture un tempo dominate quasi esclusivamente dai “blockbuster” media in Usa.

 

E’ evidente che per rendere strutturale questo processo di crescita, le riforme “sono essenziali per consolidare il successo“, come sostiene il Ministro.

Da registrare, infine, un grido d’allarme, proveniente dall’Europa, dove è appena stata approvata in via definitiva dal Parlamento di Strasburgo la nuova Direttiva sulle attività televisive, che aggiorna la “Tv senza frontiere” del lontano 1989 (poi modificata nel 1997), ampliando il campo di applicazione alle nuove tecnologie e introducendo nuove norme per quanto riguarda la durata e la frequenza degli spot pubblicitari.

A farsene carico Roberto Barzanti (già Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo), che, a conclusione del Convegno di “Gulliver”, si è soffermato con Key4biz sulle gravi misure che dovranno nei prossimi due anni essere recepite dai singoli sistemi normativi nazionali, e che abbassano drasticamente, da 45 a 30 minuti, l’intervello temporale delle interruzioni pubblicitarie (incluse le televendite) di film prodotti per la televisione, film e notiziari. A ciò si aggiunga l’apertura al “product placement“.

Se, in linea di principio, la direttiva vieta il collocamento di un prodotto o a un marchio durante un programma, di fatto, il testo concede agli Stati un’ampia serie di deroghe per film, programmi sportivi e di intrattenimento leggero.

 

“Siamo su un crinale molto pericoloso“, sostiene Barzanti, da un lato, si sta indebolendo la dimensione comunitaria, mentre – dall’altro – si punta fin troppo sulla ‘funzione provvidenziale e rassicurante’ del servizio pubblico, trascurando completamente il vero fattore destinato a sconvolgere lo scenario dei media e che sta già marginalizzando progressivamente broadcaster e fornitori di contenuti, ovvero l’ingresso irruente e prepotente delle telecoms, capaci di insinuarsi in tutti gli interstizi audiovisivi, sfruttando le nuove piattaforme di fruizione, sfuggendo ad obblighi e vincoli.

 

La nuova direttiva non fa altro che prendere atto di questa metamorfosi, estendendo il proprio campo di applicazione  dalla televisione analogica e digitale, al “live streaming” e alla tv via internet (“web casting”) fino ai servizi di “video on demand”, se in concorrenza per lo stesso pubblico delle trasmissioni tv.

Unico baluardo a difesa del “content audiovisivo” presente nel nuovo testo, l’impegno, giudicato centrale da Barzanti, a carico dei “fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, di assicurare, ove possibile e con i mezzi adeguati, la promozione delle opere europee  e l’accesso alle reti“. Sebbene la formulazione appaia suscettibile di interpretazioni aleatorie.

L’auspicio è che sia livello europeo che a livello nazionale, i nuovi e sempre più agguerriti “player convergenti” contribuiscano allo sviluppo e alla crescita della produzione audiovisiva effettuando investimenti realmente commisurati ai ritorni economici derivanti dallo sfruttamento dei contenuti audiovisivi.

Lo scenario appare comunque preoccupante, a fronte di un rischio di liberalizzazione selvaggia.

 

 

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