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5G, continua il pressing Ue. Ansip: ‘L’Italia non può permettersi 2 anni di ritardo’

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Per il vicepresidente della Commissione europea, potrebbero esserci notevoli benefici per la nostra economia, quantificabili in '4-4,5 miliardi di euro'. La replica del Sottosegretario Giacomelli: 'Nessun ritardo dell'Italia sul passaggio dei 700 Mhz'

L’Italia non può permettersi un ritardo di due anni sul processo di trasferimento delle frequenze 700 Mhz dal digitale terrestre al 5G. Ne è convinto il vicepresidente della Commissione europea per il mercato unico digitale Andrus Ansip, che giovedì sarà in Italia e in audizione alla Camera farà il punto sulle strategie dell’Unione europea per il mercato unico digitale.

In un’intervista all’Ansa, Ansip ha sottolineato l’importanza, per il nostro paese, di “essere tra i primi a essere coperti dalla rete 5G”. Ma per raggiungere questo obiettivo è fondamentale liberare la banda 700 Mhz, attualmente utilizzata dalle Tv per il digitale terrestre e, soprattutto, farlo in tempo per la scadenza fissata dall’Europa al 30 giugno 2020. Questa banda è infatti “l’ideale per garantire ampia copertura e alte velocità di trasmissione e per dare, quindi, a tutti gli europei, anche nelle aree rurali, accesso a internet alla massima qualità, spianando la strada al 5G”aveva spiegato Ansip qualche tempo fa.

Secondo Ansip, la liberazione della banda 700 Mhz porterebbe tra l’altro notevoli benefici per la nostra economia, quantificabili in “4-4,5 miliardi di euro”. Soldi, quelli derivanti dall’asta delle frequenze, che potrebbero essere utilizzati per “compensare le spese” legate al passaggio e per accelerare gli investimenti nella banda larga, oltre che per aiutare lo sviluppo delle startup.

A stretto giro la replica del sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli: “Mi dispiace che il commissario Ansip sia poco informato. Non c’è nessun ritardo dell’Italia sul passaggio delle frequenze 700Mghz alle tlc, ma una decisione presa all’unanimità dal Consiglio dei governi europei dello scorso 26 maggio, d’accordo nel fissare al 2022 la data ultima per il passaggio delle frequenze, tra l’altro in linea con le conclusioni del rapporto Lamy. Quindi l’Italia è in linea con l’Europa, non capisco quali posizioni intenda rappresentare Ansip”.

Rispetto alla proposta iniziale della Commissione Europea molti paesi erano perplessi, ma mi sembra che il punto di equilibrio trovato sia soddisfacente per tutti: d’altra parte ne avevo discusso personalmente con il commissario Oettinger a Roma. Ho già scritto al governo francese per aprire il tavolo sulle frequenze della banda 700, Ansip può stare sereno”, ha aggiunto Giacomelli.

La roadmap

In base all’intesa maturata a fine maggio tra gli Stati Ue, il passaggio della banda di frequenza 470-790 MHz alla banda larga wireless dovrà avvenire entro la metà del 2020, ma con la concessione di due anni di ‘tolleranza’, così come previsto dal rapporto Lamy e come chiesto da un gruppo di Paesi tra cui l’Italia.

Il calendario è stringente: entro fine 2017 si dovranno concludere tutti i necessari accordi di coordinamento transfrontaliero delle frequenze ed entro il 30 giugno 2018 si dovranno adottare e rendere pubblici il piano e il calendario stabiliti per adempiere agli obblighi imposti dalla decisione.

Non c’è molto tempo, insomma e nei giorni scorsi anche il presidente Agcom Angelo Cardani ha sollecitato le istituzioni e i soggetti pubblici e privati (operatori mobili e broadcaster) coinvolti nel passaggio a non ‘procrastinare’ il problema e a non perdere tempo utile per darsi una roadmap ben definita della migrazione, anche se questa dovesse concludersi nel 2022.

Il piano europeo tra l’altro, pur fissando la scadenza al 2020, prevede che lo slittamento possa avvenire solo per “motivi debitamente giustificati”, tra i quali: problemi di coordinamento transfrontaliero irrisolti; interferenze dannose irrisolte; la necessità di assicurare la migrazione tecnica verso standard di trasmissione avanzati in presenza di una grande porzione di popolazione interessata da tale processo; costi finanziari della transizione superiori ai ricavi previsti generati dalle procedure di aggiudicazione, o forza maggiore.

Al momento, in Europa, solo Francia e Germania hanno già messo all’asta la banda dei 700 MHz, mentre Danimarca, Svezia Regno Unito e Finlandia dovrebbero procedere con le aste entro la fine di quest’anno o l’inizio del 2017.

Tuttavia, la maggior parte degli Stati membri hanno assegnato licenze nell’ambito della banda dei 700 MHz per la trasmissione oltre il 2020. Nel nostro paese, la banda 700 è occupata al 60% da emittenti nazionali e locali, tutti con diritti d’uso in scadenza nel 2032 e ‘sacrificare’ i 700 mhz in favore della banda larga mobile ridurrebbe del 30% la quantità di spettro a disposizione dei broadcaster.

La Ue, però, non sembra voler mollare la presa sull’Italia che ha spesso lamentato l’eccessiva onerosità del passaggio delle frequenze dal digitale terrestre alla banda larga wireless.

Anche Guenther Oettinger, commissario Ue alla digital economy, è stato perentorio: “Gli Stati membri devono agire entro il 2020 – ha detto – l’Europa deve agire all’unisono per essere leader e all’avanguardia nel 5G”.

Un traguardo che conta eccome, e non tanto per una questione di ‘prestigio’, quanto anche per il ‘tesoretto’ legato alle royalties dei brevetti – che potrebbe andare a imprese Ue – e non solo quelli legati alle reti mobili in senso stretto, perché il 5G non servirà solo a far comunicare le persone, ma anche gli oggetti, quindi le auto, gli elettrodomestici, i sistemi medicali, le reti energetiche.

Il valore mercato dell’Internet of Things, per la sola Europa, è previsto nell’ordine dei 330 miliardi di euro entro il 2020, ma dobbiamo correre se vogliamo recuperare il terreno perso nei confronti, ad esempio, delle economie asiatiche prima fra tutti la Corea del Sud che pensa di lanciare in anteprima i primi servizi 5G per le Olimpiadi invernali del 2018. Il meglio che l’Europa può sperare è di partire con le offerte per i Mondiali di calcio 2020. Siamo dunque indietro di almeno due anni.

E l’Italia non può permettersi di fare la parte della zavorra.