Innovazione

Se la Digital Transformation frena l’innovazione nel turismo

di Luca Caputo, Tourism Consultant |

Ci può essere Digital Transformation senza prima ripensare obiettivi, strategie, competenze, definire il complesso sistema di mercato in cui operare?

Il mito della Digital Transformation ha trascinato operatori turistici e destinazioni in un utilizzo sfrenato delle tecnologie per competere in un mondo sempre più complesso.

Come in una cieca corsa all’oro, ci si è preoccupati di accaparrarsi il primo posto in progetti e in acquisti di Software, App, Portali, Realtà aumentata, Realtà virtuale e chi più ne ha più ne metta.

Sia chiaro, non si mette qui in discussione l’enorme potenziale di tutela, valorizzazione e attrattività che deriva dall’utilizzo delle tecnologie. Il vero problema, infatti, è proprio nell’averle considerate non come strumenti di una strategia ben più articolata ma come obiettivi.

Quale digital tech per il turismo

Un traguardo e non un mezzo per raggiungere il traguardo. Così, invece di comunicare più efficacemente, di fare marketing in maniera più intelligente, di mantenersi rilevanti agli occhi dei propri potenziali viaggiatori lì dove i viaggiatori si muovono (dove in altre parole effettuano ricerche, condividono, decidono, acquistano) si è finiti al punto di partenza: spendere e attivare strumenti digitali e tecnologie per non differenziarsi, per rivolgersi a tutti, per ritornare a competere nell’arena del fattore prezzo.

Il problema è vecchio come il cucco, direbbero i nostri nonni: prima di capire quali tecnologie possono essere utili occorre prima comprendere se e in che misura possano esserlo per il proprio business.

Questo implica definire ancora prima quale sia la propria Unique Selling Proposition, con chi collaborare, quali competenze si posseggano, a chi ci si stia rivolgendo, dove si stia muovendo il mondo, tra cambiamenti che influenzano la società (e dunque i consumi) e investimenti dei grossi player di mercato.

Tanto per fare alcuni esempi, cosa significa per le destinazioni avere a che fare con un mondo in cui la didattica a distanza diventerà non solo un rimedio temporaneo al Covid ma verrà adottata come unica modalità – ancorché mista a quella in presenza – dal sistema scolastico e universitario?

Possono diventare una tendenza di viaggio? Certo che sì, partendo dal bisogno che le famiglie hanno nella ricerca di spazi alternativi per lavorare e apprendere si possono costruire offerte e pacchetti dedicati all’apprendimento e al lavoro da remoto, da tutor privati ​​a tour naturalistici educativi.

Dopo mesi di reclusione, le famiglie non vedono l’ora di esplorare nuove destinazioni. Lavorare da un luogo di vacanza offre alle famiglie il meglio di entrambi i mondi: possono portare a termine il loro lavoro ed essere in grado di rilassarsi in un ambiente allettante quando hanno finito. Inoltre, offre ai bambini la possibilità di imparare al di fuori delle loro classi virtuali.

Siamo pronti all’innovazione?

Ma siamo pronti a questo? Evidentemente no, perché investiamo in tecnologie ma siamo ancora lì a considerare la famiglia come quella del Mulino Bianco, un target al quale rivolgerci al massimo con la classica offerta della tessera club.

E ancora, come i lavori su Hyperloop, la Shut-In Economy, la Blue Economy, la Gamification possono dar vita a innovazione sul territorio, da promuovere come modelli di attrattività di risorse e persone rivolti al mondo intero? Su questo destinazioni e attori dovrebbero lavorare, sulla capacità di comprendere i cambiamenti e realizzare i presupposti per rendere attrattivo un territorio.

Tel Aviv, ai più sconosciuta come meta turistica fino a qualche anno fa, ha fatto dell’innovazione la sua Unique Selling Proposition. Ha lavorato sulla capacità di integrare il tradizionale know-how economico-militare per metterlo a tema come intorno al quale favorire la nascita di Startup.

Ancor oggi, in un mondo fermo per la pandemia, le persone continuano a viaggiare a Tel Aviv. E andandoci per lavoro, conoscono anche tutto il resto. E chi non la conosce, la vede come una destinazione con cui entrare assolutamente a contatto se si decide di avviare una startup.

Meno Digital Transformation e più Business Transformation

Di questo si dovrebbe discutere, quando si parla di Digital Transformation: iniziare a parlare più di business e innovazione e meno di tecnologie. Mi piace ricordare, a tal proposito, l’assunto di Melvin Kranzberg: la tecnologia non è né buona né cattiva; non è neanche neutrale. È dunque l’utilizzo che se ne fa, la coscienza del suo utilizzo, che decide le sorti della trasformazione che vogliamo attivare.

Una wine destination non può limitarsi ad attrarre enoturisti, a vendere degustazioni. Se essa stessa non diventa un sistema, un hub di innovazione, un luogo dove scatenare la nascita di un modello che generi a sua volta altre idee di business, di startup, di creatività per impiegare residenti, giovani e meno giovani, a cosa serve?

Eppure abbiamo ancora destinazioni e operatori che acquistano tecnologie ma non riescono ad acquisire open innovation, abbiamo software che “parlano tra di loro” tramite API e attori del territorio che tra loro non lo fanno.

Abbiamo ancora aziende che partecipano ai bandi di innovazione per creare il sito web, quando dovrebbe essere un asset da anni.

Innovare la capacità di interpretare velocemente i cambiamenti nel settore turistico

Le parole d’ordine del nuovo mondo che si va creando nel turismo sono flessibilità e velocità, ragion per cui è necessario aumentare la capacità di interpretare come mantenere elevata l’esperienza di destinazione e del proprio brand turistico anche quando gli aerei sono a terra, quando le frontiere sono chiuse.

In questo le tecnologie digital hanno aiutato moltissimo a sviluppare il proprio business ma perché operatori e destinazioni avevano ben chiaro in mente una strategia, per cui la Napa Valley – tanto per fare un esempio – ha continuato a proporre esperienze di territorio e di degustazioni di vino a distanza, per ovviare al problema generato dal Covid-19.

Ma, a proposito di aerei, siamo sicuri che le future generazioni apprezzeranno ancora viaggiare per cielo e non preferiranno viaggi, soggiorni e dunque spostamenti più sostenibili? L’aeroporto vicino sarà un attrattore o un deterrente, per chi cresce in una generazione attenta a problemi che in passato nessuno aveva considerato?

Mentre dunque operatori turistici e destinazioni sono ancora dietro alla domanda cosa facciamo per la prossima stagione, il vero punto di domanda dovrebbe essere cosa vogliamo diventare, come immaginiamo il territorio e il turismo da qui a trent’anni.
Questa sì che sarebbe una vera transformation, il digital poi – ne sono certo – verrebbe da sé.