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Rete unica, ecco perché il progetto va notificato all’Antitrust Ue

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L'Antitrust Ue e quello italiano hanno tutti i motivi per analizzare da vicino il progetto di fusione fra Tim e Open Fiber per monitorare il rispetto della concorrenza e scongiurare il ritorno al monopolio.

La Ue ha tutte le ragioni di mettersi di traverso al problematico merger Tim-Open Fiber. E’ questa in sintesi la conclusione di una approfondita analisi critica del progetto italiano di rete unica comparso sul sito specializzato European Views, che guarda da vicino la politica della Ue e gli umori dei palazzi brussellesi, e che ripercorre la vicenda “rete unica” a partire dal recente downgrade sull’outlook di Tim da parte di S&P.

Le ragioni del downgrade

Il downgrade è dovuto, in parte, alle incertezze su come si svolgeranno le trattative sul potenziale collegamento e, più in particolare, “se a TIM sarà consentito di mantenere una partecipazione di controllo in qualsiasi nuovo operatore di banda larga nazionale che verrà creato – una situazione che sta minando la fiducia nell’azienda, al di là del calo dell’11% del fatturato annuo di TIM che S&P prevede per quest’anno”.

Nonostante “l’entusiastico supporto da parte del governo italiano” – ribadito non più tardi di ieri da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Se non c’è accesso a internet, non possiamo realizzare quel meraviglioso programma che è nell’articolo 4 della Costituzione, che afferma il diritto di tutti a esser partecipi alla vita politica, culturale, economica e sociale del Paese. Ecco perché il progetto della rete unica è fondamentale” – c’è la forte probabilità che “i politici europei pongano degli ostacoli al ritorno ad un modello di monopolio nella rete fissa che le stesse istituzioni della Ue hanno tanto accuratamente smantellato negli ultimi decenni”, prosegue l’analisi.

Tanto più che anche i consumatori hanno sollevato, non più tardi di ieri, una serie di riserve sull’operazione.

Un sistema arcaico

L’analisi prosegue ripercorrendo la storia delle tlc italiane, ricordano il “monopolio durato diversi decenni di Telecom Italia” che ha portato il nostro paese a combattere con connessioni lente e inaffidabili, collocandolo in fondo alle classifiche Ue sul broadband.

Una situazione che è migliorata, prosegue l’analisi, dopo l’avvento di Open Fiber sul mercato dell’FTTH nel 2016. “Ma c’è ancora molto da fare perché l’Italia chiuda il gap con i suoi vicini europei”, prosegue l’analisi, secondo cui “tornare indietro ricondurrebbe il paese alla situazione che ha causato le condizioni di stasi dell’infrastruttura a banda larga italiana”. Non a caso, “il regolatore delle comunicazioni italiano abbia messo in guardia dal consentire a TIM di gestire un’unica entità di rete, sostenendo che un tale sviluppo sarebbe un “passo indietro””, si legge.

Sotto il microscopio Antitrust

Inoltre, dato il forte pregiudizio anti-monopolio dell’UE, in particolare per quanto riguarda la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, “ben difficilmente Bruxelles lascerà passare il piano, se dovesse implicare il ritorno a una rete unica e verticalmente integrata”, si legge.

C’è da dire inoltre che anche l’Antitrust italiana potrebbe avere qualcosa da obiettare, avendo recentemente inflitto a TIM una multa di 116 milioni di euro per aver deliberatamente ritardato l’introduzione della banda larga ultraveloce nelle aree bianche (progetto Cassiopea) nel tentativo di sopprimere la concorrenza. Di conseguenza, “offrire a TIM un ritorno al monopolio nazionale potrebbe essere visto, nel peggiore dei casi, come un tentativo del governo di aiutare l’azienda a mantenere una posizione monopolistica anacronistica”, prosegue l’analisi.

Deregulation modello comune in Europa

La deregulation del mercato è diventata il modello comune in tutta Europa. “La Francia ora vanta quattro principali operatori di fibra, mentre la rete in fibra ottica della Spagna è una storia di successo dell’UE come risultato della collaborazione dinamica tra un gruppo di quattro operatori incaricati di ottimizzare le infrastrutture e ampliare la disponibilità dei servizi a livello nazionale. Circa il 63% delle case spagnole ora ha accesso FTTH, quasi il triplo della media UE del 23%”, ricorda European Views, indicando così un modello di riferimento continentale, da seguire anche nel nostro paese.

Trovare una nuova strada

Ci sono poi altri segnali che indicano possibili criticità per l’operazione a livello europeo. In primo luogo, Bloomberg ha riferito a settembre che è improbabile che i funzionari della concorrenza dell’UE approveranno alcun piano per tornare a un’unica rete nazionale sotto il controllo di TIM.

Inoltre, la stessa vicepresidente della Commissione Ue e Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, interrogata in materia, ha già specificato che mentre potrebbe essere possibile per uno Stato membro avere un unico operatore all’ingrosso, “il problema è se si tratta di un operatore indipendente o se ha legami specifici, verticalmente, con gli operatori retail”. È difficile vedere, alla luce di questi commenti e della ripetuta opposizione di Vestager alle fusioni anticoncorrenziali, in che modo Bruxelles possa dare il via libera a cuor leggero ad un’unica rete, con TIM al timone.

Le indiscrezioni di Bloomberg confermerebbero tra l’altro quanto già anticipato da Keybiz nell’editoriale di Raffaele Barberio ‘Ecco perché Bruxelles boccerà il piano di TIM per realizzare la rete unica in Italia’.

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Rallentamento degli investimenti

Allo stesso modo, non è chiaro “perché l’autorità italiana Antitrust lo debba consentire”, aggiunge l’analisi.

In conclusione, secondo European Views, “L’accordo tutt’altro che concluso tra TIM e Open Fiber non solo minaccia di ritardare gli investimenti infrastrutturali necessari con urgenza mentre i colloqui di fusione si trascinano, ma potrebbe comunque essere destinato al fallimento, perché non supererà le regole antitrust dell’UE”.

“Se il governo italiano vuole davvero mantenere la sua promessa di collegare metà delle famiglie del suo paese alla banda larga ultraveloce prima della fine dell’anno, deve abbracciare lo spirito di collaborazione e incoraggiare la concorrenza che guiderà la trasformazione digitale dell’Italia a nuovi livelli”, chiude.