Blockchain

La blockchain è un ecosistema o una biosfera? L’esempio delle dApp

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Se la blockchain sta cambiando il nostro modo di vivere, anche le applicazioni stanno cambiando la blockchain.

Le dApp ed il loro ecosistema

Cosa é una dApp? Gli smartphone ci hanno insegnato ad usare le App: si tratta di programmi che ospitiamo sul nostro cellulare, che si connettono ad Internet per fornirci dei servizi più o meno utili come ricevere e-mail o postare foto di gattini. Anche le dApp necessitano di una connessione Internet, ma la usano per spostare denaro su una piattaforma blockchain: infatti il loro nome è l’abbreviazione di distributed-ledger Application. È chiaro che ogni sviluppatore che si rispetti si augura di trovare sul mercato delle dApp la sua grande occasione, ma per sviluppare una dApp occorrono nuove competenze rispetto a quelle che bastavano per una semplice App.

In realtà le prime dApp facevano ben poco oltre a registrare incassi e pagamenti (ed infatti si chiamavano wallet, portamonete elettronici). L’idea di integrare in un unica applicazione pagamento e servizio è venuta in un momento successivo. Infine si è arrivati al concetto di ecosistema: le dApp che si connettono ad una soluzione blockchain si spartiscono i compiti, in modo che ognuna di esse possa assumere un ruolo ben preciso.

Ad esempio, le società di revisione possiedono delle dApp in grado di certificare i digital asset posseduti da un’impresa, mentre il fisco U.S.A. utilizza una dApp per rintracciare i contribuenti che non hanno registrato i loro digital asset sulla dichiarazione dei redditi.

Un’altra dApp va a caccia di balene: si chiamano whales (balene, per l’appunto) i trasferimenti di digital asset per milioni di dollari che animano la blockchain. Nella storia dell’innovazione, la specializzazione dei compiti segna il passaggio dall’epoca dei pionieri (in cui ognuno fa un po’ di tutto) a quella degli ingegneri, in cui ci si suddividono i compiti per fornire un servizio affidabile ad un costo ragionevole.

Il modello di profitto delle dApp

La struttura economica del sistema delle dApp si articola su tre livelli di trasferimenti. Restando sulle generali, il modello di profitto delle dApp di ultima generazione prevede la connessione ad uno Smart Contract, cioè ad uno schema di transazione che gestisce la consultazione di informazioni presenti sulla blockchain e la registrazione di nuovi dati, ovviamente dietro pagamento di una tariffa. Il provider del servizio (che solitamente ha programmato sia lo Smart Contract che la dApp) gira una parte dei suoi incassi al gestore della blockchain. A sua volta, questo ricompensa i gestori dei nodi della rete (gli elaboratori server che ospitano i dati della blockchain) per il mantenimento della piattaforma e l’elaborazione degli Smart Contract. Tutti questi movimenti contabili sono registrati sulla blockchain e vengono espressi nel digital asset di riferimento (l’unità di conto gestita dalla piattaforma).

Oltre l’ecosistema: le hard fork

A prima vista, il rapporto tra le dApp ed una soluzione blockchain sembra lo stesso che esiste tra i treni e la rete ferroviaria: si tratta di tecnologie che richiedono competenze differenti ma che devono collaborare tra loro per dare un servizio all’utenza. In un certo senso è così, ma il paragone potrebbe essere limitativo. Infatti, lo sviluppo di dApp sempre più complesse rende necessario migliorare continuamente il software installato sui nodi della blockchain, attraverso le hard fork.

Ad esempio, quest’anno la blockchain Ethereum è arrivata alla sua terza hard fork: si tratta quasi sempre di cambiamenti nelle regole di esecuzione e tariffazione degli Smart Contract. Come tutti i cambiamenti di release, le hard fork mettono in apprensione gli sviluppatori, che devono modificare le loro dApp in conformità alle nuove regole che entreranno in vigore. Su Ethereum, la madre di tutte le hard fork avverrà l’anno prossimo quando cambierà il procedimento di certificazione delle transazioni, passando al cosiddetto proof-of-stake.

Si tratta di una strategia basata sul buon senso: per poter essere ammesso sulla rete, ogni nodo impegna una certa somma (lo stake, per l’appunto) come garanzia del suo corretto funzionamento. Le transazioni vengono certificate da un nodo scelto a caso tra tutti quelli della rete, ma in modo da favorire la scelta dei nodi che hanno impegnato il capitale maggiore. Si tratta di una soluzione ragionevole: infatti, se viene provato che un nodo ha cercato di certificare transazioni inesistenti, perde la somma data in garanzia.

Algorand e la strategia Layer-1

Ma esistono anche miglioramenti in grado di facilitare la vita ai programmatori. Uno di questi è Algorand 2.0, una modifica della omonima piattaforma blockchain sviluppata dal team del prof. Micali. Algorand funziona già con il proof-of-stake, e la modifica messa in atto un paio di settimane fa porta l’esecuzione degli Smart Contract al livello delle funzioni di base della blockchain, il cosiddetto Layer-1. Non si tratta di una semplice riorganizzazione del software (refactoring): l’obiettivo è diminuire i costi di esecuzione degli Smart Contract, migliorandone affidabilità e prestazioni. Anche la programmazione degli Smart Contract risulta facilitata attraverso la definizione di un vasto numero di situazioni tipo (use-case) pronte per essere utilizzate in una dApp.

La blockchain come biosfera

In realtà la blockchain si appoggia su tecnologie ancora in corso di evoluzione e, se proprio dobbiamo cercare un paragone con le infrastrutture tradizionali, non dovremmo guardare ai treni, ma alla rete telefonica. In Italia, il 31 ottobre 1970 veniva completata la teleselezione nazionale: prima di allora, per fare una telefonata interurbana lo si doveva chiedere alla centralinista e bisognava aspettare parecchi minuti prima di iniziare a parlare.

Probabilmente, la rete telefonica attuale ha dismesso tutte le tecnologie di cinquant’anni fa, ma, attraverso un processo di innovazione, continua a garantirci nuove funzionalità ed un buon livello di servizio.

Descrivere la blockchain come ecosistema potrebbe essere riduttivo: anche uno stagno ospita un ecosistema, ma gli organismi che ospita non si danno un gran daffare per migliorare le loro condizioni di vita. In fin dei conti, la crittografia è una disciplina matematica molto giovane e molti dei suoi risultati stanno ancora aspettando un’applicazione pratica.

Quindi, se è vero che la blockchain sta cambiando il nostro modo di vivere, anche le dApp stanno cambiando la blockchain: se non accettano la sfida dell’evoluzione, alcune delle piattaforme tradizionali potrebbero avere i giorni contati.