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Cyberbullismo, perché i bambini non sono le uniche vittime della Rete

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Le vittime della rete non sono soltanto coloro che hanno subito o subiscono un danno profondo da coloro che si avvalgono della potenzialità degli strumenti digitali per vendicarsi, per offendere, per umiliare, per denigrare. Non solo vittime di appropriazione dei dati immessi in rete, o di furti d’identità, di immagini e di video.

Fatto di cronaca 29 maggio 2019: “Lecce, vigili deridono disabile e mettono il video su Youtube: indagati. Nel filmato bestemmie e risate“.

Il digitale nell’accezione concreta del termine di rete si costruisce nelle scelte direzionali, nelle connessioni e nello stesso tempo cattura e rischia di intrappolare. Si può infatti essere vittime della rete come ci hanno testimoniato e ci testimoniano spesso gli adolescenti, che si sono dovuti confrontare, a volte con esiti nefasti, con l’impatto assordante di una derisione amplificata in modo epidemico nelle forme estreme del cyberbullismo. Si oggettivizza a vittima colui che subisce il danno, e a bullo colui che infligge il colpo nella visibilità in rete che si sedimenta in tracce silicee perenni e per questo poco tollerabili emotivamente.

Le vittime della rete non sono soltanto coloro che hanno subito o subiscono un danno profondo da coloro che si avvalgono della potenzialità degli strumenti digitali per vendicarsi, per offendere, per umiliare, per denigrare. Non solo vittime di appropriazione dei dati immessi in rete, o di furti d’identità, di immagini e di video.

Le vittime della rete sono anche i giovani che tessendo le loro reti si sono ha allontanati da ambienti di condivisione reale o che nell’esasperazione di un piacere ludico virtuale rischiano di non costruire impalcature di svago costruttive, in cui l’essere in relazione autentica sedimenta nuclei affettivi di riferimento.

Sono vittime della rete giovani che spinti dalla ricerca dopaminergica cercano narcisisticamente consensi online facendo gesti estremi e nella ricerca spasmodica della testimonianza di video e selfie rischiano di perdersi e di frantumare le loro vite.

Sono vittime della rete, i bambini che non sono guardati negli occhi dai loro genitori perché il device cattura quasi sempre la loro attenzione. Sono vittime i bambini che non giocano a palla con i loro papà nella preferenza egoistica di dare loro lo smartphone per distrarlo e avere del tempo per sé.

Sono vittime le mamme o i papà separati che vedono su Instagram la foto del loro bambino senza aver dato il consenso di pubblicare foto e tantomeno in compagnia di persone di cui non si conosceva l’esistenza.  Esempi tutti, di vittime della rete che sono la diretta testimonianza del fallimento della prevenzione e della tutela del benessere digitale, nonché ad oggi, tenendo conto dei diversi gradienti del malessere, della salute mentale.

Vittime della rete che prima ancora di divenire tali, sono vittime di un mancato processo di responsabilizzazione che li porta a divenire protagonisti attivi nella creazione di reti di qualità che mantengono il centro dell’affettività nella concretezza relazionale e nell’esempio virtuoso di adulti responsabili e responsabilizzanti.  Vittime della rete quindi che sono doppiamente vittime di una mancata attenzione degli adulti che dovrebbero loro insegnare a partire dal buon esempio di una società valoriale.

La rete online, nella poliedricità delle sue sfaccettature, cattura e mette in evidenza diverse forme di malessere che dell’uso sbagliato del digitale fanno baluardo associativo di direzionalità nefaste in cui chi si dovrebbe prendere cura, chi dovrebbe dare il buon esempio, chi dovrebbe viglilare, è l’attore assoluto di condotte eticamente e moralmente riprovevoli.

Il fare male, il fare del male, il dare il cattivo esempio, il fare selfie per catturare sofferenza e per fare della sofferenza motivo di vanto e derisione, sono tutti agiti digitali che, come emerge dai fatti di cronaca, non sono azionati solo da dita giovani ma anche, stroppo spesso, da dita che dovrebbero esprimere saggezza e lungimiranza, almeno nel rispetto della validità temporale di esperienze di vita vissute.

Condotte poco edificanti che caricano la rete di una delegittimazione del ruolo educativo adulto che, oltre ad affrontare con coraggio e resilienza la sfida educativa di crescere e formare le nuove generazioni nell’uso anche eticamente corretto della digitalità, deve confrontarsi con esempi che rimangono in rete e la colorano di un fare male digitale adulto, che si fa bullo e fa vittima la società valoriale stessa. Le vittime della rete si moltiplicano quindi in un rimbalzo di condotte operative malsane che necessitano, per essere arginate, di un investimento della società di azioni concrete di buone condotte digitali, buone pratiche ed esempi virtuosi che permettano d circoscrivere forme di bullismo mediatico di pochezza, cattiveria e idiozia adulta, in argini ben confinati che si frantumano di fronte ad una positività digitale eticamente e moralmente corretta.

Il filo sottile della tessitura mediatica è visibile soltanto se si opera con spirito critico, responsabilità e consapevolezza che sono il frutto della sensibilizzazione su un progetto di educazione digitale che parte dalla famiglia e prosegue nella scuola.

Circoscrivendo e compattando il bene si argina il male, solo così si può creare un ambiente digitale sano.