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Web reputation: la reputazione nel contesto della Rete, come costruirla?

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Cosa accade nel contesto digitale? Accade che cambia il modo con cui la reputazione si costruisce. La rete, infatti, costituisce una formidabile ed immediata sorgente di informazioni in grado di influenzare le impressioni che ci si forma su qualcuno.

People&Tech, la rubrica settimanale a cura di Isabella Corradini, psicologa sociale e Presidente Centro Ricerche Themis, propone riflessioni su aspetti umani e sociali nell’epoca digitale. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Il concetto di reputazione, in particolare quello di web reputation, è sempre più centrale per le persone e le organizzazioni, alla luce di un contesto pervaso da tecnologie digitali permeanti e pervasive, capaci di rappresentarci in molteplici modi. Innanzitutto vale la pena di ricordare che la reputazione implica fiducia, credibilità, rinviando alla considerazione maturata all’interno di una comunità verso qualcuno o verso un brand, un’organizzazione. Quando ci si rivolge alle imprese, si preferisce parlare di reputazione aziendale (corporate reputation), un costrutto multidimensionale nel quale la percezione degli stakeholder interni ed esterni ne costituisce una dimensione fondamentale.

Cosa accade nel contesto digitale? Accade che cambia il modo con cui la reputazione si costruisce. La rete, infatti, costituisce una formidabile ed immediata sorgente di informazioni in grado di influenzare le impressioni che ci si forma su qualcuno. Vogliamo sapere chi è e cosa fa? Interroghiamo la rete. Inoltre, se è vero che la rete di relazioni gioca un ruolo fondamentale nel processo di formazione della reputazione, non si può negare che il flusso delle relazioni è ormai sempre più mediato dai canali tecnologici. I social media ed il Web in generale favoriscono sempre più l’esposizione delle identità, personali e sociali, modificandone la portata in termini di visibilità. Un conto, infatti, è confrontarsi o essere oggetto di discussione all’interno di un gruppo di persone che si incontrano – ad esempio – in un bar o in altro luogo fisico, altro è relazionarsi nel web. In questo caso, infatti, può accadere che parole e frasi veicolate dai social network diventino in poche ore note a migliaia e talvolta milioni di individui. Con effetti talvolta anche tragici, quando colpire la reputazione di qualcuno diventa una vera e propria strategia.

Ne sono testimonianza i casi di cyberbullismo e di cyberstalking, dove si tenta di discreditare la vittima agli occhi degli altri attraverso dicerie e notizie false, alle quali la stessa spesso non riesce a reagire perché viene a trovarsi in una situazione di inferiorità rispetto al bullo/stalker. Così, in un rapporto di forza tra molestatore e vittima, quest’ultima spesso soccombe alle prevaricazioni e alle maldicenze, con effetti devastanti sul proprio senso di autostima, sentendosi inadeguata ed incapace di reagire.

Ora, pettegolezzi e maldicenze sono sempre esistiti. Ma se vengono diffusi utilizzando uno straordinario strumento di diffusione come la Rete, allora sì che ci sono differenze sostanziali. Prima di tutto perché se in una conversazione face to face puoi provare a gestirli, questo diventa praticamente impossibile nel mondo digitale. Quello che si scrive sui social media, infatti, viene rilanciato e condiviso da altri, diventando virale. Cosicché risulta difficile trovare il cosiddetto bandolo della matassa, dal momento che le informazioni più girano più si arricchiscono di dettagli che ne favoriscono la distorsione, aumentandone al contempo l’attrattività. Inoltre, proprio per le caratteristiche della rete, quello che si scrive rimane comunque disponibile online. La permanenza di queste notizie on line non può essere ignorata ai fini degli effetti di coloro che ne sono vittima.

Ma perché le persone sono attratte dalle maldicenze?

Premesso che il contenuto del pettegolezzo può essere anche positivo, è evidente che le persone sono molto più affascinate dai contenuti negativi. Tra le motivazioni il bisogno psicologico di sentirsi al sicuro, condividendo il fatto che si sta parlando di qualcun altro, ma anche conformarsi al gruppo per sentirsi accettati.

In linea generale, comunque, si tende a ricordare molto di più i comportamenti negativi rispetto a quelli positivi, dal momento che essi non si verificano (o comunque ci si aspetta che non si verifichino) frequentemente. In questo modo si attira l’attenzione, stimolando la ricerca di spiegazioni.

Purtroppo però i processi di “etichettamento” possono diventare molto pericolosi. Si pensi, ad esempio, a quei delitti efferati così morbosamente attraenti da fare audience in tv, ma anche capaci di produrre colpevoli ad ogni costo, proprio perchè al tradizionale processo nelle sedi competenti, va a sovrapporsi quello mediatico e salottiero. In aggiunta, l’esposizione ai commenti del pubblico non resta confinato nello spazio temporale del dibattito televisivo. Tweet e post ne accompagnano la sua trasmissione, senza contare che può essere replicato on line e, quindi, essere visto anche da un pubblico più vasto un numero infinito di volte.

Ovviamente i canali digitali hanno la loro importanza, ma in fin dei conti sono le persone ad usarli, non sempre consapevoli delle conseguenze che ne derivano. Considerato il ruolo assunto nel contesto odierno dalle tecnologie digitali, è prioritario attivare percorsi educativi finalizzati al loro uso responsabile. Gli effetti prodotti dall’uso di questi strumenti, infatti, vanno ben oltre la percezione delle persone. Per questo è importante superare la dicotomia virtuale-reale quando si parla di rete. Le azioni non sono mai virtuali: postare notizie, twittarle, condividerle, implica agire fisicamente ma anche decidere di farlo.  Ecco perché reale e virtuale, pur sembrando così lontani, sono sempre più vicini. 

Pubblicato sul numero 20 di Reputation Today