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Vintage revolution: dai negozi polverosi al luccichio di Instagram

di Emanuela De Luca, digital consultant |

Il social network più patinato diventa una vetrina perfetta per capi che arrivano, per la maggior parte, dal secolo scorso.

Dimentichiamoci dei piccoli negozi, riempiti fin quasi a scoppiare e spesso maleodoranti, la nuova frontiera del vintage è su Instagram. Il social network più patinato diventa una vetrina perfetta per capi che arrivano, per la maggior parte, dal secolo scorso. Potrebbe sembrare quasi una contraddizione, eppure la struttura della piattaforma social, tra stories, reel e caroselli offre il palcoscenico perfetto per una vendita improntata sulle emozioni, sull’unicità e sulla tempestività.

È ormai una verità acquisita che, ad oggi, Instagram sia il social visual per eccellenza: è la piattaforma più versatile e completa e, non di meno, quella con il miglior rapporto crescita/monetizzazione. Non si deve necessariamente metterci la faccia, non serve creare contenuti lunghi e complessi (come su YouTube) e i primi risultati, se a monte si è impostata un’ottima strategia di personal branding, possono arrivare in molto meno tempo di quanto si possa pensare.

Ma facciamo un piccolo passo indietro e capiamo come siamo arrivati fino a qui. Nel 2005 la lituana Milda Mitkute, in piena crisi da trasloco, vive un momento di sincera disperazione davanti al suo armadio da svuotare, traboccante di tutti i suoi abiti dismessi, ma invece di sbarazzarsene come, probabilmente, avrebbe fatto la maggior parte di noi, nel giro di poche ore mette su una vetrina virtuale con l’aiuto di un suo amico sviluppatore Justas Janauskas e getta le basi di quella che oggi è la più grande piattaforma di compra vendita second hand, Vinted, in cui è possibile vendere e acquistare qualsiasi tipo di prodotto: abbigliamento, oggettistica, accessori, prodotti di bellezza e quant’altro.

Nel 2011, invece, un ragazzo italianissimo nonostante il suo nome, Simon Beckerman, abbandona gli studi in Industrial Design al Politecnico di Milano per fondare Depop, la prima applicazione per lo shopping sociale peer-to peer, ovvero una piattaforma di e-commerce che permette agli utenti di creare dal proprio smartphone un negozio virtuale a tutti gli effetti, per “vendere quello che non vuoi più e acquistare ciò che desideri”, come recita il messaggio d’accoglienza nella home dell’applicazione. Non sappiamo se l’idea iniziale del fondatore avesse un focus proprio sul vintage, ma la storia ci dice che in pochissimo tempo Depop si è popolata di reseller specializzati in questo campo.

In un passato molto più recente, infine, nel 2013, è la volta di uno spagnolo, Augustin Gomez, che ha l’idea di riprodurre lo stesso modello di business del mercatino delle pulci in modalità on line. Nasce così Wallapop, che ha la prerogativa, rispetto a i due sopra citati, di connettere venditori e acquirenti attraverso la geolocalizzazione.

Abbiamo visto dunque che di possibilità per vendere online ce ne sono per tutti i gusti, allora perché scegliere proprio Instagram? Sicuramente perché è il social network che più di tutti continua a dare un contributo attivo nel mondo della moda e spesso anche a dettarne i codici visto che in pochi anni, al suo interno, si sono moltiplicati i profili dedicati al fashion in tutti i suoi molteplici aspetti. Proprio tra di essi ce ne sono tanti che cercano di smontare l’idea consolidata dal fast fashion che solo il nuovo sia trend: sono i “vintage & second hand reseller”, alfieri dello slow fashion e di un’idea di moda molto più sostenibile.

Ci sono, naturalmente, anche profili di rivenditori e negozi fisici che si appoggiano ad Instagram per promuovere il loro e-commerce, ma i più interessanti sono quelli di persone che hanno creato una vera e propria community con cui interagiscono costantemente, fidelizzata grazie ai Reel con consigli di stile su come mixare vecchio e nuovo, stories su dove e come comprare vintage off line, caroselli dedicati alla storia di un capo iconico ma soprattutto, per venire al dunque,  al “drop” ovvero una piccola selezione di capi e accessori, che viene rilasciato con cadenza settimanale, scelti tra mercatini e fornitori di old stock, e, se necessario, rimessi a nuovo. Il drop non è altro che una una strategia di marketing che fa leva sul “one chance to buy”: si propone un prodotto evidentemente esclusivo perché unico e irripetibile (non c’è possibilità di selezionare taglia o colore) e l’acquirente deve riuscire ad accaparrarselo prima di tutti gli altri. Essendo Instagram un social media, come abbiamo già detto, estremamente visivo ed entertaining, si sposa perfettamente con questa strategia di vendita.  

Clio Bargellini (@cliobargelini), Sarah Pilloni (@sasimbvintage), Sara Tuccori (@sillabecollection) o Teti Corsi (@unshadeselecion) sono alcuni dei profili più interessanti. Parliamo di creator digitali a tutto tondo, da +30.000 followers ciascuna, che gestiscono la filiera a 360 gradi: fanno continua ricerca e, trovato il capo giusto, se ne prendono cura (rammendano, tagliano, cuciono), selezionando ogni settimana quello che metteranno in vendita e in seguito pubblicando post con gli scatti dei capi selezionati; fanno poi stories con le misure precise di ogni capo per facilitarne l’acquisto (le taglie e i modelli sono molto cambiati nel corso degli anni, una 46 del 1980 oggi sarebbe una 42) ma fanno anche contenuti sponsorizzati con aziende selezionatissime, sempre in coerenza con la loro immagine. Infine preparano i pacchi, con un packaging rigorosamente personalizzato, e spediscono.

Insomma, c’è un grandissimo lavoro dietro ogni singola immagine e, se risultano così attrattivi, è sicuramente perché sono credibili: ogni loro post, Stories o Reel non si distanzia mai dal tone of voice e dall’immagine che vogliono rimandare, le selezioni sono piccole e molto curate (ogni drop, in genere, non supera i quindici capi) e lo styling è molto accattivante perché più contemporaneo rispetto all’età dei capi proposti.

Queste reseller/influencer sono state in grado di portare una ventata di freschezza in quello che per tanti è ancora un mondo verso cui si nutre molta riluttanza, non tutti infatti sono entusiasti di indossare capi già vissuti da qualcun altro, ma che oggi invece, anche grazie a loro, ha conquistato un pubblico vasto composto per lo più da Millenials e dai ragazzi della Generazione Z, più attenti rispetto alle generazioni precedenti alle tematiche ambientali e più inclini alla sperimentazione anziché seguire i dictat della banalizzazione di una moda uguale per tutti come il fast fashion ci ha abituato negli ultimi anni. Avere dei capi unici e non replicabili è, infatti, uno dei principali fattori che spinge all’acquisto di articoli vintage e second hand.

La forza di Instagram, nel caso specifico, è stata quella di prendere i punti di forza da ogni altra piattaforma, creando un mix perfetto tra immagini e contenuti e oggi più che mai rappresenta un’opportunità; ogni libero professionista, consulente, negoziante, artista, imprenditore o semplice persona con una passione, può usarlo per arrivare a creare un brand online di successo. Prima di pensare di avviare un’attività su Instagram però c’è bisogno di uno studio a monte, come detto in precedenza: è necessario infatti lavorare sul personal branding, sicuramente avere nozioni da social media manager, per occuparsi di tutte le fasi del progetto, e infine bisogna creare un e-commerce o servizio di dropshipping efficiente. Seguire quindi dei corsi certificati di e-commerce in dropshipping  che diano delle basi solide da cui partire, come quelli proposti per esempio da Digital Coach, sono un ottimo investimento per la creazione di una strategia di successo con cui dare nuova vita qualsiasi cosa.