Il quadro

Tim, le opzioni in ballo sulla rete. Cosa potrebbe accadere in Europa?

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Come si posizionano i diversi soggetti in campo, a partire da Vivendi e Cdp, coinvolti nella rimodulazione della governance e della mission di Tim, alla luce dell'offerta di KKR.

Ancora pesante Tim in Borsa, con il titolo che prosegue il trend ribassista partito ieri e in mattinata cede il 3,70% a 0,42 euro a Piazza Affari. Pesa l’incertezza sul futuro dell’azienda e il taglio da parte di Barclays del target price di Tim, da 0,35 a 0,27 euro. Un’incertezza che però potrebbe cominciare a dipanarsi da oggi, con il Cda informale in cui il direttore generale Pietro Labriola, in pole position per assumere la carica di ad già nel prossimo cda del 21 gennaio, illustrerà il suo piano di rilancio della compagnia. Il piano di Labriola prevede la scissione in due o più società: quella della rete dovrebbe prendere 10 dei circa 18 miliardi di euro di debito netto di Tim: gli obiettivi sono fermare l’OPA di KKR (messa in naftalina) e accelerare i lavori per la realizzazione della rete unica.

Ma quali sono le diverse posizioni dei player in campo sul futuro della rete?

E cosa potrebbe succedere in Europa, alla luce delle gare con i fondi del Pnrr che si chiuderanno in tempi stretti? Bruxelles non vuole la rete unica verticlamente integrata e bisogna comunque convincerla, eventualmente, per una rete unica wholesale only.

Quale Tim, tramite Fibercop (su cui, secondo il Sole 24 Ore, si registra l’interesse anche di Wind Tre), parteciperà alle gare?

Cosa vogliono fare Vivendi e Cdp?

Il piano B di Labriola allontana l’Opa di KKR

Se davvero l’obiettivo è quello di unire le due reti di Tim e Open Fiber, i tempi sono strettissimi anche nell’ottica delle gare del Pnrr e delle potenziali sinergie. Eppure, c’è chi dice che per chiudere l’integrazione ci vorrebbero non meno di due o tre anni.

Oggi in Cda il direttore generale di Tim Pietro Labriola esporrà il suo piano B, che prevede la scissione della rete. Pieno B, tra l’altro, rispetto all’offerta del fondo KKR per rilevare la compagnia che giace al momento in stand by. Fra le domande più pressanti rispetto al piano di scissione di Labriola c’è il tema del debito: quanta quota di debito sarà caricata sulla NetCo e quanta invece sulla ServiceCo?

Un punto interrogativo non da poco, che inciderà sul prosieguo del dibattito in corso sul futuro della compagnia.

Il piano di Labriola, in linea con quello di KKR, prevederebbe lo scorporo della rete e la valorizzazione dei diversi asset di pregio (Telsy, Sparkle e Noovle). Un’ipotesi, scorporo e spezzatino, che non piace ai sindacati che hanno fissato un confronto con Labriola il 25 gennaio. Non è un mistero che i sindacati siano contrari alla disgregazione dell’azienda.

CDP

A quanto emerge CDP, che detiene una quota del 9,8% in Tim e del 60% in Open Fiber, sarebbe perplessa di fronte al progetto di Labriola. L’intenzione di CDP è quella di sfilarsi dalla ridda di voci in circolazione per mantenere un ruolo di investitore istituzionale che si muove in autonomia, e non in concerto con Vivendi, ma per il bene del paese. Nell’ipotesi di una scissione, secondo le voci, CDP resterebbe nella NetCo, per uscire invece dalla società dei servizi ServiceCo.

KKR

Un po’ sullo sfondo in questo momento resta l’offerta di KKR. Il fondo statunitense sarebbe pronto a pagare 0,505 euro per azione, con un’offerta superiore a 30 miliardi, per rilevare Tim e poi procedere con lo spezzatino. C’è però l’ostilità di Vivendi, secondo cui l’offerta è insufficiente. KKR sarebbe poi intenzionato a delistare il titolo e a farsi carico del debito (22 miliardi di euro) insieme ad un pool di banche partner. KKR sarà pronta a rilanciare l’offerta con un prezzo più alto? Qualche giorno fa KKR avrebbe contattato il fondo sovrano saudita, presieduto dal principe ereditario Mohammed ben Salmane, per riunirsi al progetto di acquisizione di Tim.

Per il momento, però, Tim sta prendendo tempo con il fondo americano e la richiesta di due diligence per un’eventuale Opa sarebbe stata posposta di un mese dopo il 2 marzo, data in cui è fissato il Cda per la presentazione del bilancio 2021 e del nuovo piano industriale. Insomma, tempi lunghi.

Vivendi    

Dal canto suo Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,8%, sarebbe favorevole ad uno scorporo della rete e ad una scissione aziendale. Tim però nell’ottica francese resterebbe quotata, seppur divisa in due società diverse, con l’obiettivo di realizzare un’infrastruttura comune con Open Fiber. Nell’ipotesi della scissione, secondo le voci, Vivendi resterebbe nella società dei servizi ServiceCo e uscirebbe invece dalla società della rete NetCo.

Ma siamo sicuri che andrebbe così?

Tempi dello scorporo e gare Pnrr

Secondo le voci degli ultimi giorni, i tempi dello scorporo non sarebbero immediati. Ci vorrebbero almeno 18 mesi ed è per questo che secondo altre opinioni che circolano Fibercop potrebbe partecipare alle gare del Pnrr da sola, prima di essere fusa con Open Fiber.

Su questo punto, sarebbe però prudente attendere il responso delle autorità di regolazione antitrust, in particolare dell’Europa.

Rete unica?

La rete unica, secondo altre voci, potrebbe vedere la luce con il sostegno della CDP tramite fusione della NetCo con Open Fiber. Resterebbe da capire da un lato il perimetro della NetCo (i dipendenti del customer care e del 187 sarebbero ricompresi?) e la quota di dipendenti che sarebbero caricati sulla società della rete scorporata. Alcuni dicono fino a 30mila dipendenti, su 42.500 totali.

Macquarie

Il fondo Macquarie, secondo altre voci, potrebbe essere interessato ad entrare in un secondo momento nella NetCo scorporata da Tim, in vista di una fusione con Open Fiber, dove detiene una quota del 40%.

Il Governo

Infine, Il governo italiano intende tutelare gli asset che ritiene strategici nel caso che Kkr proceda con una offerta pubblica di acquisto su Tim. Lo ha ribadito lo scorso 12 gennaio il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti nel corso di una conferenza stampa della Lega.

Il ministro ha anche detto che il governo intende rispettare il mercato, ma una eventuale scalata del fondo Usa al gruppo telefonico deve considerare il fatto che lo Stato “non può rinunciare al controllo degli asset strategici”.

La Commissione Ue

In tutto questo, resterebbe da capire quale sarebbe la posizione dell’Antitrust europeo, che per la realizzazione delle reti ultrabroadband, e nel contesto delle gare con i fondi del Pnrr, privilegia nel nuovo codice delle comunica il modello wholesale only e gli operatori non verticalmente integrati. Di fatto, Bruxelles non vuole la rete unica verticalmente integrata e bisogna comunque convincerla, eventualmente, per una rete unica wholesale only.

In caso di fusione, le reti esistenti di Tim e Open Fiber resterebbero indipendenti fra loro. E poi, uno scorporo con lo spostamento di 20mila o 30mila dipendenti più le quote di debito sono operazioni alquanto complesse che Bruxelles vorrebbe certamente vedere da vicino. Un altro tema riguarda il coinvestment e il suo rapporto con la rete unica. Anche qui Bruxelles vorrebbe vederci chiaro.