l'analisi

Superlega, vince la reputation contro la virtualizzazione. Una lezione per tutto il mercato multimediale

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Il segnale che rimane indelebile riguarda proprio il potere negoziale che il vecchio mondo, composto da società ed istituzioni, si sono ritrovati in mano rispetto alle locomotive tecno finanziarie. Il motore di tutta questa nuova realtà comunicativa è proprio la reputation, la credibilità e l’appartenenza, con cui si costruisce economia.

Reputation batte JP Morgan 3 a 0. Inutile la partita di ritorno. La frana in poche ora ieri sera della SuperLega dimostra come le reti sociali, in particolare, il capitale di relazione e accreditamento con le comunità territoriali, valgano ancora più di una strategia speculativa, per quanto ben pagata.

Perché Amazon ha detto no

Prima ancora della grande fuga delle squadre inglesi, che ieri sera aveva aperto crepe irreparabili nel golpe orchestrato dai presidenti del Real Madrid Perez e della Juventus Agnelli, che poi l’abbandono anche da parte dell’Inter aveva trasformato in una lapide definitiva il progetto, il segnale che la cosa proprio non funzionava era venuto nel pomeriggio da Amazon.

“Ha capito che il suo mercato sta ancora dalla parte delle reti materiali”

Il colosso dell’eCommerce aveva subodorato che era in corso non una faida fra mandarini di corte, ma un moderno conflitto sociale, in cui da una parte si schierava il potere finanziario e tecnologico che mirava a trasformare i tifosi in clienti individuali, di singole fruizioni di uno spettacolo che diventava semplicemente pretesto per profilare l’utente, dall’altra reagivano le comunità materiali, fatte di capitale umano, che si addensavano nelle moltitudini di supporter, nella proprietà degli stadi, nel mercato ramificato del merchandising, della mobilità organizzata. Quest’armata raccogliticcia ma reale ha sbaragliato il campo. Ed Amazon ha capito che il suo mercato sta ancora dalla parte delle reti materiali. Proprio in Inghilterra, nei quartieri di Londra dove sono radicate squadre come il Chelsea o il Tottenham, ancora fortemente intrecciate con comunità, addirittura in certi casi religioni, che ne costituiscono insieme il folclore ma anche il valore aggiunto, è partita la rivolta e il rigetto. In Italia è toccata, fra le tre squadre che avevano aderito  inizialmente alla SuperLega-Juventus, Milan e Inter- proprio ai neroazzurri, società posseduta da un gruppo cinese che si rivolge al mercato di largo consumo e che deve fare i conti con la propria reputation, oltre che rispettare una tradizione che vede proprio l’Internazionale fortemente segnata da una visione globale e inclusiva della propria identità storica.

Una scelta che era stata già anticipata, con grande tempestività e istinto, da parte della politica: tutti i governi, senza tentennamenti, ognuno per la sua parte, avevano già bocciato il disegno di virtualizzazione del calcio.

Contro anche i leader di Governo. “Il calcio per la politica è un medium per parlare ai rispettivi Paesi”

Macron, Johnsons, lo stesso Draghi, insieme alle istituzioni internazionali sportive si erano avventati contro la prospettiva di smaterializzare le comunità che ruotano attorno ai campionati nazionali. Il calcio per la politica è un medium per parlare ai rispettivi Paesi. Attraverso le aggregazioni che hanno resistito persino alla pandemia, si trovano scorciatoie per consolidare legami e linguaggi. 

Certo che la minaccia non evapora. Il piano di JP Morgan e delle piattaforme globali, come Dazn, o la stessa Sky, rimane in campo. Ora si aprirà una lunga trattativa. Bisogna coprire i pesanti deficit che i gruppi proprietari dei grandi club hanno accumulato con la pandemia. Si tratta di cifre rilevanti, oltre il miliardo e mezzo, solo per la gestione diretta di squadre su cui avevano investito potenze finanziarie arabe, russe, americane e cinesi, in cerca di un pass par tout per il mercato europeo. Qualcosa sarà strappato dal Recovery Fund a compensazione per la retromarcia. 

Ma il segnale che rimane indelebile riguarda proprio il potere negoziale che il vecchio mondo, potremmo dire, composto da società ed istituzioni, si sono ritrovati in mano rispetto alle locomotive tecno finanziarie. Il motore di tutta questa nuova realtà comunicativa è proprio la reputation, la credibilità e l’appartenenza, con cui si costruisce economia.

L’intuizione di Google- don’t be devil– l’affermazione di essere il bene contro il male, rimane ancora vitale nel mercato dell’attenzione e della partecipazione. Scegliere una piattaforma, affidare la propria carta di credito ad un operatore lontano, adottare un modello di connettività, non è una opzione puramente di momentanea convenienza. Si basa sempre su un investimento emotivo che fa societing, che genera relazione e organizzazione. Una materia pregiata e fragile, che la pandemia ha reso ancora più instabile.

La vittoria contro la Superlega ha un prezzo che si chiama partecipazione

Chi ha pensato di poter scippare il malloppo, semplicemente offrendo un palinsesto di spettacolo programmati ha sbagliato. Ma ora anche le istituzioni, la politica, le comunità territoriali devono fare i conti con questo fattore R, reputation. Pensiamo a come ricalibrare il programma di banda ultra larga: è plausibile rimanere nell’alchimia finanziaria fra TIM, Cassa Depositi e Prestiti e Enel? Come perfezionare il 5G? È davvero utile escludere le città e i territori da piani regolatori della connettività che diano appartenenza e condivisione a questo nuovo codice comunicativo?

La vittoria contro la Superlega ha un prezzo che si chiama partecipazione. Non cambia la storia, ma diventa un pochino migliore da oggi.