le colpe

Social network e jihad: prima causa contro Twitter, Facebook e Google

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Per il padre di una delle vittime degli attentati di Parigi, i social citati in causa 'hanno apportato un sostegno materiale fondamentale nell’ascesa dello Stato islamico'.

Quale responsabilità può essere attribuita ai social network nella diffusione su scala globale della propaganda jihadista?

Mentre ha destato orrore il video postato su Facebook dal jihadista Larossi Abballa come terrificante testimonianza del duplice omicidio a Parigi di un poliziotto e di sua moglie alla presenza del loro bambino di 3 anni (salvato dalle forze speciali che hanno ucciso il terrorista), parte in California la prima causa contro i principali social network, rei di dare man forte alle organizzazioni terroriste.

Nohemi Gonzalez, 23enne di El Monte (California) è stata la sola vittima americana tra le 130 persone uccise negli attentati terroristici del 13 novembre a Parigi. Dopo la sua morte, suo padre ha deciso di fare causa ai principali social network Twitter, Facebook e Google (proprietario di Youtube), accusandoli di aver permesso ai gruppi terroristi autori delle stragi di propagare la loro ideologia e reclutare nuovi adepti.

Tra le motivazioni della causa, quella secondo cui le reti sociali “hanno apportato un sostegno materiale fondamentale nell’ascesa dello Stato islamico, permettendo (all’organizzazione jihadista) di compiere numerosi attentati, compreso quello del 13 novembre”.

Secondo i documenti depositati in tribunale, alla data di dicembre 2014 l’IS aveva 70 mila account Twitter dei quali almeno 79 ufficiali e posta “almeno 90 tweet al minuto”. Allo stesso modo, l’organizzazione sfrutta altri social come YouTube e Facebook per fare propaganda. Da qui la richiesta di danni e interessi per un montante non meglio specificato.

Secondo quanto riferito dall’agenzia AFP, una prima udienza è prevista per il 21 settembre presso il tribunale federale di Oakland.