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Semiconduttori, il terremoto di Taiwan ferma Tsmc e altre aziende. I rischi di concentrare qui la produzione mondiale

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Il terribile sisma di Taiwan ha portato già lutti e distruzione. A livello industriale preoccupa la continuità delle forniture di semiconduttori avanzati di fascia alta. Tsmc, Ase Technology Holding, United Microelectronics, hanno fermato alcuni macchinari ed evacuato il personale per sicurezza. In corso le valutazioni sulla stabilità degli impianti.

A Taiwan scossa di terremoto 30 volte più forte dell’Aquila

Il terremoto di Taiwan al momento ha causato 9 morti, 821 feriti e sono 127 le persone intrappolate sotto le macerie, secondo gli aggiornamenti del centro sismologico di Taipei rilanciati da RaiNews.

Il sisma, che lo ricordiamo, ha raggiunto una magnitudo di 7,4 alle 08:00 ora locale (le 02:00 in Italia) e il grado 6,5 della scala Richter, si è manifestato sulla costa orientale dell’isola, con oltre 100 scosse fin qui registrate, ma ne seguiranno altre secondo gli esperti.

La scossa è stata 30 volte più forte di quella registrata a L’Aquila nel 2009”, ha spiegato all’Ansa Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

Il fenomeno ha anche causato enormi problemi al comparto industriale ed economico taiwanese, come la fondamentale produzione di chip di fascia alta, necessari per le applicazioni avanzate dell’intelligenza artificiale e dell’internet delle cose.

Da qui proviene l’80% dei chip di fascia alta in uso in tutto il mondo

L’80% dei chip di fascia alta provengono proprio da Taiwan.

Parliamo di realtà come Tsmc e Ase Technology Holding Co., che producono e assemblano la stragrande maggioranza dei semiconduttori utilizzati nei device elettronici di uso quotidiano, come smartphone e iPhone, Mac e Pc, ma anche nelle automobili e nelle fabbriche connesse, nell’automazione e nelle tecnologie green.

Tsmc evacua il personale

Partendo dal gigante TSMC, fornitore mondiale di chip per le Big Tech, tra cui Apple e Nvidia, è stato reso noto lo spostamento di personale da alcune aree critiche e il blocco dei macchinari, spiegando che si sta ancora valutando nel dettaglio l’impatto del sisma sugli impianti.

Come spiegato in un articolo pubblicato su Fortune, ogni singola vibrazione o ogni scossone più forte può danneggiare seriamente o distruggere interi lotti di semiconduttori.

In una nota la società ha assicurato che “i sistemi di sicurezza Tsmc funzionano normalmente e per garantire la sicurezza del personale, alcune fabbriche sono state evacuate. Si stanno ancora facendo le valutazioni sull’impatto del sisma su tutte le strutture produttive”, si legge in una nota dell’azienda.

Fermati alcuni macchinari e impianti della United Microelectronics

Un altro attore del settore, la United Microelectronics Corp., ha annunciato di aver fermato i macchinari in alcuni reparti produttivi e evacuato le strutture nei suoi hub di Hsinchu e Tainan.

Secondo quanto riportato dal quotidiano, il settore industriale e gli stessi funzionari governativi da tempo hanno sollevato il problema della concentrazione della produzione mondiale di semiconduttori avanzati in un territorio ristretto, come è l’isola di Taiwan.

Tra minacce naturali e militari, tenere la produzione strategica di chip in un luogo circoscritto è un rischio troppo alto

Dagli shock naturali, come i terremoti o gli uragani/le alluvioni, alle mire espansionistiche di altri Stati (vedi la Cina), concentrando una produzione così strategica in un solo luogo, si mette a repentaglio un’intera catena di approvvigionamento su scala globale.

Basta voltarsi indietro al 2020, durante la pandemia da Covid-19, quando si sono verificati rallentamenti e colli di bottiglia nelle forniture mondiali di componenti e prodotti in settori economici fondamentali.

Per questo Tsmc ha già presentato dei progetti di espansione che sono in corso in Giappone e negli Stati Uniti, ma ci vorrà del tempo per renderli operativi, mentre importanti aziende americane come Micron Technology, che ancora hanno commesse rilevanti sull’isola.

Jan-Peter Kleinhans, direttore del progetto di tecnologia e geopolitica presso il think tank tedesco Stiftung Neue Verantwortung, con sede a Berlino, ha già avuto modo di definire Taiwan “potenzialmente, il punto di fallimento più critico dell’intera catena del valore, riferendosi all’industria dei semiconduttori.

Nel 2024, Bloomberg Economics ha stimato che il costo di una ipotetica guerra su Taiwan sarebbe di circa 10 trilioni di dollari. Si tratta di circa il 10% del prodotto interno lordo globale e farebbe impallidire i colpi della pandemia di Covid-19 e della crisi finanziaria globale del 2007-2008.