Sembra che il Governo abbia finalmente trovato la tanto attesa quadra sul riferimento normativo che andrà a regolare i regimi amministrativi delle fonti di energia rinnovabile.
Un traguardo non da poco, considerando (chi lavora nella filiera sa bene) quanto il provvedimento, nato per perfezionare e consolidare la normativa sulle energie rinnovabili, abbia trovato resistenze e un ampio dissenso nella sua formulazione originaria, con più di un ritorno al mittente.
Un confronto tutt’altro che semplice
Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla prima approvazione preliminare ad oggi. Un confronto reso difficoltoso soprattutto dall’assenza di una posizione unitaria tra Regioni, Comuni e ammistrazione centrale. Tra passaggi procedurali, scambi documentali interminabili e diverse riunioni tecniche che hanno visto Regioni ed ANCI tra le principali protagoniste, sono state presentate molte proposte emendative discordanti.
Il testo finale con le disposizioni integrative e correttive, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, porta quindi i segni di un lavoro di cesello che riprende le considerazioni di Conferenza unificata delle Regioni, Consiglio di Stato, e Commissioni parlamentari.
Non poche le criticità da correggere. In particolare, i temi sollevati riguardavano gli arretramenti nella semplificazione rispetto alla normativa precedente, l’individuazione delle aree idonee alla realizzazione degli impianti, e la mancata attuazione di alcune previsioni della direttiva europea RED III, come l’accesso a strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie.
Il nuovo Decreto: cosa prevede
Il nuovo testo del Decreto Transizione 5.0 si muove su due binari, stabilendo sia misure urgenti relative al Piano Transizione 5.0, sia alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
La logica di fondo è una: garantire certezza e tempestività, affinché il Paese possa davvero puntare al raggiungimento dei target di potenza rinnovabile previsti dal PNRR. Una novità importante è poi la ripartizione regionale puntuale degli obiettivi al 2030.
Mentre l’articolo 1 si concentra sull’estensione dei termini per le comunicazioni relative ai crediti d’imposta per il Piano Transizione 5.0, definendo anche norme sul divieto di cumulo dei benefici e rafforzando i poteri di vigilanza del GSE, l’articolo 2 affronta l’astioso tema delle aree idonee, punto sul quale si è più volte arenato l’iter legislativo.
Il provvedimento, così come riformulato, introduce modifiche normative per accelerare l’individuazione delle aree idonee per gli impianti a energia rinnovabile, inclusi quelli eolici e fotovoltaici (a terra, su strutture esistenti, o agrivoltaici), e quelli marini, specificando i criteri che le regioni devono seguire.
Cosa cambia (davvero) per le aree idonee
Ma la domanda cruciale che sorge spontanea è: come cambia la regolamentazione delle aree idonee?
La disciplina per l’individuazione e l’utilizzo delle aree idonee destinate agli impianti alimentati da fonti rinnovabili viene ridefinita mediante l’introduzione di disposizioni urgenti, in particolare attraverso la modifica del decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, con l’inserimento degli articoli 11-bis (Aree idonee su terraferma) e 11-ter (Aree idonee a mare).
Tali misure, ritenute di straordinaria necessità e urgenza, sono funzionali al conseguimento degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
La nuova regolamentazione si articola distinguendo tra aree idonee su terraferma e aree idonee a mare e chiarisce le competenze attribuite alle regioni.
Aree idonee su terraferma
L’articolo 11-bis individua una serie di siti che sono automaticamente considerati idonei per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili.
Tra quelle che vengono definite “aree idonee generali” vi sono:
- siti con impianti esistenti: aree in cui sono già presenti impianti della stessa fonte, oggetto di interventi di rifacimento, potenziamento o ricostruzione integrale, purché l’area occupata non aumenti oltre il 20% (divieto di aumento per gli impianti fotovoltaici a terra in aree agricole).
- siti degradati e infrastrutturali, tra cui:
- aree oggetto di bonifica (d.lgs. 152/2006);
- cave e miniere cessate, non recuperate, abbandonate o degradate;
- discariche chiuse o ripristinate;
- aree nella disponibilità del Gruppo FS e dei gestori ferroviari, nonché delle concessionarie autostradali (che le assegnano mediante procedure a evidenza pubblica);
- aree e impianti ubicati all’interno dei sedimi aeroportuali, previa verifica ENAC;
- beni del demanio militare o in uso ai Ministeri della difesa, dell’interno, della giustizia e agli uffici giudiziari;
- immobili dello Stato non inseriti in programmi di valorizzazione o dismissione, individuati dall’Agenzia del demanio.
- aree oggetto di bonifica (d.lgs. 152/2006);
Le cosiddette “aree idonee per impianti fotovoltaici (PV)” invece comprendono:
- aree interne ad impianti industriali soggetti ad AIA e le aree agricole entro 350 m dagli stessi;
- aree adiacenti alla rete autostradale entro 300 m;
- edifici, strutture edificate e relative pertinenze;
- aree industriali, direzionali, artigianali, commerciali e logistiche;
- coperture dei parcheggi;
- invasi idrici e laghi di cave o miniere dismesse;
- impianti e aree di pertinenza del servizio idrico integrato.
Il fotovoltaico a terra in aree agricole è consentito solo nelle aree specificamente idonee (rifacimenti senza incremento dell’area, cave/discariche, aree adiacenti ad autostrade o a impianti industriali). Sono, poi, sempre ammessi:
- progetti finalizzati a Comunità Energetiche Rinnovabili (CER);
- interventi finanziati dal PNRR/PNC o necessari al raggiungimento degli obiettivi PNRR.
Gli impianti agrivoltaici restano sempre consentiti, purché rispettino la continuità delle attività agricole e prevedano moduli elevati da terra.
Aree idonee a mare (Art. 11-ter)
Per quanto concerne il dominio marino, continuano ad essere idonee le aree individuate dai piani di gestione dello spazio marittimo. Tuttavia, sono considerate idonee anche:
- le piattaforme petrolifere in disuso e le aree poste entro 2 miglia nautiche da esse;
- i porti, per impianti eolici fino a 100 MW, previo adeguamento del piano regolatore portuale.
Inoltre, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica si riserva di adottare un vademecum con indicazioni e adempimenti per l’autorizzazione unica degli impianti off-shore.


