Dibattito

Rete unica, Zorzoni (AIIP): ‘Una rete dominante porterebbe un’impennata dei prezzi per l’utente finale’  

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Giovanni Zorzoni, Vice Presidente dell'AIIP: 'Ogni giorno FiberCop perde clienti e terreno competitivo. Non si tratta di impressioni personali, ma della fotografia che emerge dai dati ufficiali AGCOM'.

Prosegue il dibattito su Key4Biz, con interviste a parlamentari ed esperti di Tlc, per capire la fattibilità e nel caso i vantaggi della Rete unica con la fusione di FiberCop e Open Fiber. Oggi è la volta di Giovanni Zorzoni, vice presidente dell’AIIP, l’Associazione Italiana Internet Provider.

Key4Biz. Quali prospettive per il progetto rete unica, viste le frizioni fra KKR e il Governo?

Giovanni Zorzoni. Ogni giorno FiberCop perde clienti e terreno competitivo. Non si tratta di impressioni personali, ma della fotografia che emerge dai dati ufficiali AGCOM.

L’elenco degli errori commessi negli ultimi vent’anni da chi ha gestito prima Telecom Italia e poi le sue derivazioni sarebbe interminabile. Per chi volesse approfondire, suggerisco di consultare il nostro libro “1995–2025: 30 anni di Internet”, edito da AIIP, che ne ripercorre con dovizia di dati e analisi le tappe salienti.

Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso emblematico: FiberCop, aspirante operatore wholesale only a livello formale, assiste alla fuga di centinaia di migliaia di clienti verso il suo principale cliente, TIM, che li sposta dalla rete fissa al FWA radiomobile. Eppure, nonostante questo trend, FiberCop continua ad appoggiare le posizioni degli operatori mobili, persino su temi come il futuro del WiFi di nuova generazione, opponendosi all’uso della banda a 6 GHz da parte delle reti WiFi evolute.

Atteggiamenti incomprensibili come questi non rappresentano un problema industriale, ma anche istituzionale. FiberCop si muove oggi con atteggiamenti un po’ scomposti, che sembrano più orientati alla pretesa che al servizio. E lo fa non solo con gli operatori, ma anche nei confronti del Governo.

Il progetto “rete unica”, per come è stato prospettato, richiederebbe una impostazione costruttiva, collaborativa e trasparente da parte di tutti gli attori. Invece, si assiste a una crescente conflittualità, fino alla denuncia formale di FiberCop presso la Commissione Europea contro presunti aiuti di Stato ad Open Fiber. Sul tema “grandi aiuti”, chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Secondo noi, FiberCop non ha oggi le caratteristiche per essere qualificata come operatore realmente wholesale only, con le conseguenti deroghe regolatorie. Occorre un cambio netto di impostazione, un’assunzione di responsabilità verso il sistema Paese, che metta al centro la rete, i cittadini e la piena neutralità delle infrastrutture. I tempi non sono maturi.

Key4Biz. Come si dovrebbe risolvere, a suo avviso, il conflitto fra FiberCop e Open Fiber?

Giovanni Zorzoni. Con le premesse attuali, è difficile negare che Open Fiber si trovi oggi in una posizione migliore rispetto a FiberCop, sebbene qualcuno continui ostinatamente a sostenere il contrario.

Il cosiddetto bando BUL, da noi operatori ribattezzato “il bando infinito”, sta finalmente ingranando: le attivazioni in fibra ottica nelle aree bianche crescono e si vedono i primi risultati concreti in termini di migrazione dal vecchio rame.

Anche nelle aree nere la situazione sembra stabilizzarsi: Fastweb non pare intenzionata a spostare i clienti Vodafone su altre reti (anche grazie al “pasticcio” avvenuto sul co-investimento), e WindTre, uno dei maggiori clienti di Open Fiber, continua a mostrare fedeltà contrattuale.

I problemi non mancano, certo. Ma resta il fatto che Open Fiber ha oggi una traiettoria potenziale di crescita, mentre FiberCop è schiacciata da una compressione strutturale della propria clientela, anche a causa delle scelte del suo principale cliente.

È quindi evidente che il tempo, nel breve periodo, non gioca a favore di FiberCop; ma chiaramente, in questa partita, ciascun attore segue la propria strategia. Alcuni osservatori ipotizzano che l’attuale posizione di FiberCop, inclusa la denuncia presso la Commissione Europea, serva a guadagnare tempo, magari per evitare il pagamento dell’earn-out e per posizionarsi meglio in una futura fusione, con l’auspicio che si possano verificare delle condizioni utili a “prezzare” Open Fiber al ribasso.

Se e quando si arriverà a quella che viene chiamata, non senza ironia, “rete unica”, che sarà al massimo una “rete prevalente”, considerando che in Italia esistono oltre 60 reti fisiche completamente indipendenti da entrambe, Open Fiber ha il potenziale di arrivare al tavolo con un peso specifico ben maggiore.

In tutto questo teatro deve però essere chiarissimo a tutti una cosa: la prospettiva di una fusione realizzata con poca saggezza tra questi due soggetti è ben lungi dall’essere un vantaggio per il Paese, in quanto la creazione di una rete dominante, nel giro di pochi mesi, porterebbe sicuramente ad un’impennata dei prezzi per gli utenti finali.

Key4Biz. Come bisognerebbe procedere?

Giovanni Zorzoni. Innanzitutto, serve un bagno di realtà: se davvero si andrà verso una fusione tra Open Fiber e FiberCop, non sarà per connettere meglio il Paese, ma per far tornare i conti a chi ha investito, a debito, in uno dei due soggetti.

I grandi fondi infrastrutturali non ragionano in termini di coesione sociale o competitività industriale. Ragionano in IRR, multipli e ritorno in cinque anni. Ecco perché ogni ipotesi di fusione, se non accompagnata da misure forti e vincolanti, rischia di trasformarsi in una trappola per il mercato. Chi parla di “sinergie” spesso intende: tagli, concentrazione e aumento dei prezzi. E in un contesto di scarsa vigilanza e di mancanza di pluralità infrastrutturale, questi effetti arrivano in fretta e fanno danni strutturali.

Qualunque forma di integrazione, se proprio dovrà esserci, deve almeno garantire tre condizioni fondamentali:

  • una neutralità effettiva della rete, con accessi trasparenti, verificabili e penalità ferrea se si sgarra;
  • una governance vigilata e non ostaggio di logiche speculative, con diritto di veto pubblico sulle decisioni strategiche e obblighi industriali precisi;
  • e infine impegni vincolanti su prezzi e accesso, con tariffe regolate ex ante e uguali per tutti, piccoli e grandi operatori, indipendenti dai dividendi attesi dagli investitori.

E anche così, a meno di piegare l’antitrust europeo, rimane il punto più delicato: la sovrapposizione nelle aree nere, che oggi rappresenta una miniera d’oro, dovrà essere ceduta.

Ma ceduta a chi? Forse a Fastweb, che, in quanto operatore verticalmente integrato con forti capacità wholesale, potrebbe sfruttare quel patrimonio per portare servizi innovativi, flessibili e competitivi sia ai clienti finali che al mercato all’ingrosso, mettendo in seria difficoltà il nuovo soggetto “prevalente”, verosimilmente più lento, burocratico e parastatale?

Mi sia concessa una provocazione, che in realtà è l’unica proposta industrialmente sostenibile: cedere città per città, con bandi competitivi di dimensione accessibile, agli operatori locali più interessati e radicati sul territorio. Questa sarebbe la vera rete distribuita, pluralista e orientata al risultato, in grado di servire meglio il Paese e di fungere ad elemento di mitigazione della concentrazione che si verrebbe a creare.

Key4Biz. Dal punto di vista industriale ed economico e per la diffusione della banda ultralarga quali vantaggi porterebbe al sistema paese e alla diffusione del 5G? Per quanto riguarda il take up della fibra, come incentivarne la diffusione?

Giovanni Zorzoni. Dal punto di vista industriale, la fusione tra Open Fiber e FiberCop non porterebbe benefici immediati alla diffusione della banda ultralarga. In Italia, infatti, la fibra è già ampiamente dispiegata, ben oltre la domanda effettiva. Basti pensare agli investimenti pubblici mastodontici legati al piano “Italia 1 Giga”, che hanno prodotto un’enorme infrastruttura con tassi di adesione ancora bassissimi.

Quello che serve, più che fusioni e accorpamenti, è un piano stabile di voucher intelligenti, accessibili da tutti gli operatori, per incentivare la migrazione reale dalle tecnologie obsolete (FWA radiomobile, ADSL, FTTC) alla vera fibra ottica, almeno 1 Gbit/s. Dove sono finiti i voucher? Siamo ancora in attesa. Eppure i dati lo dimostrano: ogni volta che questi strumenti vengono attivati, l’adesione cresce in modo vertiginoso.

Quanto al 5G, dipende da cosa intendiamo. Se parliamo del solito 5G “pubblicitario”, che però gira sulle bande basse già usate dal 4G, con magari una spruzzata di “standalone” nei comunicati stampa, non cambierà assolutamente nulla. È essenzialmente marketing.

Oggi il ruolo del mobile (quello che nel blurb viene chiamato 5G) nel mercato italiano è profondamente distorto: non cresce grazie all’innovazione o alla domanda reale, ma per sottrazione di clienti al fisso, tramite offerte FWA (Fixed Wireless Access) che usano, appunto, reti mobili e nulla hanno a che vedere con il vero FWA su bande dedicate.

Sembra incredibile, ma è la realtà: alcuni operatori che dispongono di una rete fissa in fibra preferiscono proporre ai clienti un collegamento radiomobile che, dietro la suggestiva etichetta di FWA, di fatto risulta analogo a un cellulare in tethering, alla faccia delle mirabolanti promesse del cosiddetto “5G”.

Se invece parliamo del vero 5G millimeter-wave, con decine di piccole antenne per ogni isolato, apparati in ogni edificio, fibra su ogni palo e centinaia di migliaia di nuovi allacci elettrici, beh… non lo vedremo nemmeno se, malauguratamente, lo Stato decidesse di regalare le frequenze agli operatori mobili, generando un danno erariale colossale.

Per far crescere davvero la banda ultralarga (quella vera, in fibra) e dare un senso a qualunque piano di innovazione sulla rete, servono stimoli alla domanda, non solo infrastruttura. Voucher per gli impianti onerosi, contributi per i cosiddetti “sfibrati”, ovvero clienti lontani dalle reti o con esigenze speciali: va dato lo strumento ad ogni operatore volenteroso di portare la fibra ottica a chiunque la richieda. In un sol colpo avremo la fine di offerte di “finta fibra” e un progressivo “switch-off” attraverso una domanda compatibile con le capacità di delivery della mano d’opera disponibile in Italia.

Key4Biz. Quale dovrebbe essere il perimetro della rete unica? Con o senza le aree nere?

Giovanni Zorzoni. Immaginare che, in una eventuale fusione tra FiberCop e Open Fiber, possano confluire anche le aree nere di entrambi i soggetti è semplicemente folle.

Certo, sarebbe il sogno proibito di chi sogna rendite da posizione e prezzi gonfiati, ma si tratta di un’ipotesi inammissibile nello scenario normativo attuale, anche alla luce dei principi cardine della disciplina antitrust europea.

Le aree nere, per definizione, sono quelle dove esiste già competizione infrastrutturale. Consolidarle sotto un unico soggetto, soprattutto se a partecipazione pubblica e guidato da fondi infrastrutturali internazionali, significherebbe distruggere uno dei pochi spazi di concorrenza reale rimasti, e aprire la porta a un aumento generalizzato dei prezzi e a un rallentamento dell’innovazione.

Purtroppo, il pericolo non è solo teorico. Il Digital Networks Act (DNA), che la Commissione Europea sta promuovendo, prevede una riscrittura profonda delle regole, con un chiaro obiettivo: favorire il cosiddetto “consolidamento”, ovvero gli oligopoli a livello continentale. Dentro questo progetto ci sono anche modifiche sostanziali alla normativa antitrust, che, se approvate, potrebbero spalancare le porte a un’operazione di questo tipo, con buona pace di cittadini, imprese e operatori indipendenti.

Si tratterebbe di una deriva anti-democratica, mascherata da semplificazione industriale. Un attacco diretto non solo alla concorrenza, ma anche alla sovranità digitale dei singoli Paesi.

Per questo, come AIIP, siamo e resteremo in prima linea: faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità, a livello italiano ed europeo, per impedire la creazione di un’infrastruttura unica onnivora, che assorba anche le aree nere.

Lo faremo attraverso azioni pubbliche, attività istituzionale e proposte concrete, a partire dalla nostra iniziativa StopDNA.eu, nata proprio per denunciare i rischi sistemici di questo progetto di contro-riforma.

Se c’è un futuro per la rete, è nella pluralità, nell’indipendenza e nell’equilibrio competitivo tra soggetti diversi. Non certo in un monopolio travestito da rete unica.

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