Diritto d'autore

Pirateria audiovisiva e camcording: scoperto e denunciato il principale ‘release group’ italiano

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Operazione della Guardia di Finanza: sequestrati 800 mila file, perquisizioni in 4 regioni italiane. Federico Bagnoli Rossi (FAPAV): “In nove casi su dieci la fonte audio e video dei file pirata è rappresentata dalle registrazioni non autorizzate che avvengono da parte dei “release group” nelle sale".

Perquisizioni domiciliari in quattro regioni italiane, con il sequestro di oltre 800.000 file contenuti su PC, smartphone e supporti fisici, questo il risultato dell’operazione condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Pesaro, contro il fenomeno della pirateria audiovisiva, nello specifico cinematografica.

Al centro delle indagini uno dei più grandi, organizzati ed influenti “release group”, cioè veri e propri team di individui specializzati nell’illecita registrazione audio e/o video di film in prima visione, proiettati nelle sale cinematografiche e poi caricati illecitamente e in violazione del diritto d’autore sulle piattaforme web con grave danno all’industria audiovisiva.

È il fenomeno del camcording, termine inglese che indica l’attività pirata svolta da una o più persone all’interno della sala cinematografica, con l’utilizzo di qualsiasi tipo di dispositivo elettronico (camcorder, telefono cellulare con camera digitale, registratore audio, ecc.) utile alla registrazione intenzionale del film (di audio e video), che poi finisce illecitamente in rete.

È bene ricordare che registrare il film o l’audio in una sala cinematografica è un reato (articolo 85-bis del Testo Unico, Legge di Pubblica Sicurezza) e secondo Federico Bagnoli Rossi, Segretario Generale della Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali (FAPAV): “Per quanto riguarda le prime visioni cinematografiche, in nove casi su dieci la fonte audio e video dei file pirata è rappresentata dalle registrazioni non autorizzate che avvengono da parte dei “release group” nelle sale”.

In base alle stime della Federazione, “il camcording rappresenta pertanto la fonte primaria della pirateria, un fenomeno da non sottovalutare in considerazione degli ingenti danni che crea all’intero settore. Tali registrazioni, infatti, vengono solitamente realizzate nei primissimi giorni di uscita dei film nelle sale ossia quando le opere si trovano nella loro fase iniziale di sfruttamento”.

Siamo lieti di aver potuto fornire il nostro supporto all’operazione condotta dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Fano e coordinata dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Pesaro, che ringraziamo per la complessa attività portata avanti nei confronti del principale gruppo di rilascio operante sulla scena italiana ed internazionale”, ha commentato Bagnoli Rossi.

Auspichiamo quanto prima un inasprimento della vigente normativa sul camcording al fine di poter disporre di maggiori strumenti di tutela per agevolare anche il lavoro delle Forze dell’Ordine e delle Autorità competenti al contrasto di questo fenomeno criminale”.

Le operazioni della Guardia di Finanza, infatti, sono state svolte in sinergia con i consulenti tecnici della FAPAV e hanno portato ad eseguire perquisizioni domiciliari in quattro regioni (Marche, Piemonte, Lombardia e Puglia).

Gli accertamenti, si legge in una nota della Guardia di Finanza, condotti nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Pesaro, sono stati determinanti per collegare i responsabili del camcording alle loro identità digitali e, soprattutto, per ricostruire l’intera filiera distributiva dei video pirata.

Le indagini – si legge nella nota stampa – hanno consentito di scoprire che i pirati informatici, dopo l’acquisizione dei film di successo e delle principali serie televisive trasmesse sui canali delle emittenti pay-per-view, curavano il montaggio e la codifica per il loro caricamento su server adeguatamente dimensionati”.

I file modificati venivano successivamente pubblicizzati sui siti internet che, previo pagamento, agevolavano il download illegale delle opere cinematografiche in violazione del diritto d’autore. Gli utenti finali effettuavano il pagamento di quanto dovuto attraverso i normali canali utilizzati per gli acquisti su internet, come ad esempio PayPal, consentendo ai pirati informatici di ottenere lauti e illeciti guadagni a danno dell’industria cinematografica e dell’audiovisivo e degli stessi utenti finali, che molto spesso pagavano per guardare contenuti di scarsa qualità audio e video.