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Pechino ingabbia i suoi gioielli tech, il piano contro i monopoli

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Pubblicato il piano con cui rendere più severa la regolamentazione fino al 2025 sulla sicurezza nazionale, l'innovazione tecnologica e per impedire monopoli. Il commento di Claudia Vernotti, direttrice di China Eu: "Ora la Cina in linea con le altre grandi giurisprudenze, ed in particolare con l’Unione Europea".

Ora ha anche un piano, da rispettare in tutta la Cina, l’aggressiva politica antitrust di Pechino nei confronti dei suoi gioielli tecnologici.

Il comitato centrale del partito comunista cinese e il Consiglio di Stato hanno pubblicato lo “schema di attuazione per la costruzione di un governo sotto lo Stato di diritto (2021-2025)”. 
È il piano con cui Pechino nei prossimi 5 anni vuole rafforzare la regolamentazione su settori chiave dell’economia del Paese, tra cui: la sicurezza nazionale, l’innovazione tecnologica (intelligenza artificiale, cloud computing, big data) e per fronteggiare i monopoli.

Cosa prevede il piano di Pechino per ingabbiare le società tech del Paese? 

Risottolineare la leadership del Partito Comunista rispetto al potere delle tech company cinesi per riaffermare lo Stato di diritto. Questo il senso del piano del governo cinese. Come dire, si definisce il principio, secondo cui si rispettano le regole definite da Pechino che ora, dopo aver fortemente favorito con la deregulation e gli aiuti di Stato i suoi giganti tech, vuole frenare le crescenti concentrazioni delle società digitali e la loro influenza nell’economia e nella vita sociale dei cinesi. 

Ecco come il governo cinese vuole aumentare il controllo sulle attività di questi giganti della tecnologia nel Paese:

  • Rafforzare la legislazione in settori importanti. Promuovere attivamente la legislazione in settori importanti come la sicurezza nazionale, l’innovazione tecnologica, la salute pubblica, la cultura e l’istruzione… l’anti-monopolio e lo stato di diritto legato all’estero, si legge nel nuovo piano del governo.  
  • Garantire il sano sviluppo di nuove forme di business.  Per porre fine ai monopoli tecnologici, Pechino d’ora in poi presterà “molta attenzione sull’economia digitale, finanza online, intelligenza artificiale, big data e cloud computing per colmare le carenze e garantire il sano sviluppo di nuove forme di business e nuovi modelli con buone leggi e buon governo”.
  • Infine, l’obiettivo è costruire una gestione digitale del diritto a tutto tondo.

Il commento di Claudia Vernotti (direttrice di China Eu): “Ora la Cina in linea con le altre grandi giurisprudenze, ed in particolare con l’Unione Europea

Abbiamo chiesto un’analisi a Claudia Vernotti, direttrice di China Eu: “Il nuovo piano quinquennale preannuncia il rafforzamento della legislazione in una serie di settori ritenuti di fondamentale importanza per l’economia cinese; tra questi il settore tecnologico, che sarà soggetto di ulteriori regolamentazioni da qui al 2025, portando quindi avanti le investigazioni degli ultimi mesi nei confronti di alcune delle big tech cinesi più di successo. Successo dovuto in parte alla mancanza ad oggi di norme precise sulla privacy, sull’uso degli algoritmi di intelligenza artificiale, nonché ad uno scarso controllo su certe pratiche anticoncorrenziali”.


Questo”, ha concluso Vernotti, “mette la Cina in linea con le altre grandi giurisprudenze, ed in particolare con l’Unione Europea, che da anni ha osservato l’urgenza di regolamentare le grandi piattaforme digitali, ed in particolar modo l’uso che queste fanno dei dati personali degli utenti ed l’impatto del loro modello business su imprese emergenti che vorrebbero entrare nello stesso mercato”.

Il piano del governo cinese arriva dopo aver già avviato l’aggressiva politica antitrust

La prima vittima eccellente dell’ascesa della politica antitrust è stata Alibaba, bloccata a novembre 2020 a poche ore dall’Ipo dalla doppia quotazione da 35 miliardi di dollari a Shanghai e Hong Kong e poi anche multata con 2,8 miliardi di dollari per aver violato le regole della concorrenza. 

L’ultima società tech cinese a subìre il “fuoco amico” è stata Didi Chuxing, la “Uber locale”, con 600 milioni di utenti. La società ha debuttato a Wall Street il 22 giugno scorso. Nei suoi confronti l’Amministrazione del cyberspazio della Cina (Cac) ha aperto un’inchiesta, che ha causato un tracollo miliardario, un quinto della capitalizzazione della società. E il regolatore cinese ha ordinato agli app store di rimuovere l’applicazione nel Paese a causa di “gravi violazioni della legge e dei regolamenti” nella raccolta e nell’uso dei dati personali.

Invece, Tik Tok, per evitare una debacle economica, come quella di Didi, ha deciso di sospendere a tempo indeterminato i propri piani per una quotazione dell’estero dopo che i funzionari del governo cinese l’hanno invitata a concentrarsi sulla gestione dei rischi per la sicurezza dei dati. ByteDance, l’holding che detiene la popolare app cinese – valutata 180 miliardi di dollari – stava pianificando un’offerta pubblica iniziale negli Stati Uniti o a Hong Kong.

Le azioni di molte società cinesi quotate negli Stati Uniti, a Hong Kong e nella Cina continentale sono diminuite drasticamente quest’anno proprio a causa dell’aumento delle preoccupazioni degli investitori per il nuovo atteggiamento di Pechino. Solo un esempio: le azioni cinesi hanno fatto registrare il più grande crollo negli Usa dalla crisi finanziaria del 2008.

Cybersecurity e data protection, le nuove leggi in arrivo

Infine, nel Paese entrerà in vigore a settembre anche la legge sulla cybersecurity, che infliggerà pesanti sanzioni in caso di gravi violazioni, tra cui la sospensione dell’attività, revoca delle licenze commerciali e sanzioni fino a 10 milioni di yuan (1,55 milioni di dollari). Inoltre, è in fase di deliberazione un disegno di legge sulla protezione dei dati personali e il ministero dell’Industria e della tecnologia dell’informazione ha dichiarato lunedì di aver pubblicato una bozza di piano d’azione triennale per sviluppare l’industria della sicurezza informatica del Paese, stimando per il settore un valore più di 250 miliardi di yuan (38,6 miliardi di dollari) entro il 2023.

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