L'analisi

PA digitale, dove sono finiti i responsabili alla transizione digitale?

di Antonio Prado |

L’ordinamento italiano chiama “Responsabile alla transizione digitale” un funzionario che possa agire da trait d’union tra l’amministrazione, l’Agenzia per l’Italia digitale e il Governo italiano. Ma, ad oggi, oltre dodicimila enti pubblici italiani non hanno ottemperato alle disposizioni. Perché mai?

Prendiamo un Paese non ancora digitalizzato, cioè per intenderci uno di quelli dove gira ancora molta carta, dove i taschini delle giacche sono farciti di penne a sfera e dove si incrociano stampanti o fotocopiatori ogni tre passi. Ad esempio l’Italia del 2018.

Quale miglior contesto per sperimentare gli effetti di una rivoluzione digitale, cioè un passaggio, una transizione verso un nuovo modo di concepire gli spazi, il tempo, la comunicazione, i servizi pubblici, l’energia, la comunità, le città, la democrazia stessa.

Ma come? Ecco, non è esattamente facile come bere un bicchier d’acqua dato che le componenti e gli attori in gioco sono molteplici.

Innanzitutto occorre che una élite politica illuminata con visione strategica di lungo periodo riesca a produrre regole semplici e chiare. Secondariamente, necessitiamo di una iniezione (da cavallo) di nuove competenze nella classe dirigente che poi ha il compito di guidare la macchina burocratica nel rispetto della legge.

Infine, sarebbe utile che il cambiamento nei comportamenti della società venisse promosso non a suon di bacchettate, sanzioni e pene, ma grazie a un esteso programma di formazione sin dalla scuola primaria e, dove necessario, attraverso un’opera di cosiddetta moral suasion nei confronti delle sacche di resistenza. Il tempo, d’altro canto, giocherà un ruolo di supporto indispensabile alla digestione delle nuove pratiche.

In questo senso, da qualche anno, il Governo italiano tenta di coinvolgere professionisti, penso al dream team di Diego Piacentini (Team per la trasformazione digitale), redige linee guida e regole tecniche per mano dell’Agenzia per l’Italia digitale (AgID), rinnova il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) su delega del Parlamento.

E proprio nel CAD, al centro della tempesta perfetta, nell’occhio del ciclone, si staglia la figura di riferimento per condurre il cambiamento nella pubblica amministrazione. L’ordinamento italiano lo chiama “Responsabile alla transizione digitale”, un funzionario che, dotato delle corrette competenze (tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali), possa indicare la strada da seguire, indirizzare i capi della complessa macchina amministrativa, coordinarli nelle azioni da intraprendere verso la digitalizzazione, monitorare i risultati, agire da trait d’union tra l’amministrazione, l’Agenzia per l’Italia digitale e il Governo italiano.

Praticamente una schiera di condottieri in grado di traghettare l’Italia sulla sponda dove il digitale è la regola e l’analogico è l’eccezione, soprattutto nelle abitudini della popolazione.

Questa la visione romantica del super-dirigente prescelto. Nella realtà la faccenda è assai più prosaica nel senso che la norma obbliga le PA a nominare (entro il 31 dicembre 2017, così come stabilito dal Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2017 – 2019) il Responsabile alla transizione digitale. Un adempimento senza sanzione, cioè c’è l’obbligo di nomina, ma se poi non avviene nei termini fissati non succede nulla.

E guarda un po’: a gennaio 2018, su 13.547 pubbliche amministrazioni (7.960 sono Comuni, cioè oltre il 58%) obbligate alla creazione dell’ufficio in questione, 1.446 hanno dichiarato (sull’Indice delle PA, così come prevede il Piano triennale) di aver adempiuto, appena poco più del 10%.

Alcuni hanno nominato chi si è fatto volontario, altri il geometra dell’Ufficio tecnico, altri il Segretario comunale, altri ancora la signora degli Affari generali che, immagino, ormai colleziona questo tipo di nomine dell’ultimo momento. Fin qui tutto formalmente bene; cioè sostanzialmente male.

Tornando ai numeri, oltre dodicimila enti pubblici italiani non hanno, a oggi, ottemperato alle disposizioni. Perché mai?

Ben che vada direi che è distrazione, brutto a dirsi ma, in alcuni casi, può capitare. Invece mal che vada non si è in grado di scegliere il Responsabile in questione: da una parte il vertice politico potrebbe avere difficoltà nell’individuazione della figura che racchiuda in sé le desiderate capacità, dall’altra la macchina burocratica non è in grado di esprimere il nome di un candidato credibile.

In tutti questi casi il risultato non cambia: si ritarda. Appunto, i ritardi sembrano essere le peggiori pillole da somministrare a un Paese malaticcio: facili da inghiottire prima, indigeste poi, velenose infine.

E alla fine, no, il Responsabile alla transizione digitale non s’è ancora visto.