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OpenAI, accordo da 300 miliardi con Oracle che fa diventare il suo presidente il più ricco al mondo per alcune ore

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Un accordo storico che ridisegna il mercato globale dei data center. La potenza di calcolo diventa risorsa scarsa e quindi strategica.

Accordo record tra Oracle e OpenAI

Il contratto da 300 miliardi di dollari in cinque anni, firmato da Oracle e OpenAI, segna una svolta storica nel mercato del cloud e dei data center, in particolare per l’intelligenza artificiale (AI).

L’intesa, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, entrerà in vigore nel 2027 ed è una delle più grandi mai firmate nel settore tecnologico. Un record e allo stesso tempo una scommessa ad altissimo rischio sia per Sam Altman, CEO di OpenAI, sia per Larry Ellison, fondatore e presidente di Oracle.

La scommessa energivora di OpenAI e la dipendenza dal calcolo

OpenAI, la società che ha lanciato ChatGPT, ha oggi un fatturato stimato in 10 miliardi di dollari l’anno, meno di un quinto dei circa 60 miliardi che dovrà versare a Oracle ogni anno in media. La startup non prevede di generare utili prima del 2029 e stima perdite cumulate per 44 miliardi di dollari.

Alla base di questa corsa c’è un problema strutturale: la carenza cronica di potenza di calcolo. Addestrare nuovi modelli linguistici e sostenere miliardi di interazioni quotidiane richiede infrastrutture energetiche e computazionali fuori scala.

L’accordo con Oracle prevede infatti una capacità di 4,5 gigawatt, l’equivalente della produzione di due dighe di Hoover o del consumo energetico di circa 4 milioni di abitazioni.

La ricchezza di Oracle in soli 4 clienti: Amazon, Google, Microsoft e OpenAI

Per Oracle, il contratto rappresenta una straordinaria opportunità ma anche un rischio: concentrare gran parte della propria crescita futura su un pugno di ‘super’ clienti.

Nel trimestre chiuso il 31 agosto, l’azienda ha dichiarato 317 miliardi di dollari di ricavi futuri contrattualizzati, frutto di soli tre clienti. Oltre a OpenAI, ci sarebbero infatti Amazon, Google e Microsoft, i giganti che stanno alimentando la domanda globale di data center.

Il CEO di Oracle Lerry Ellison è l’uomo più ricco del mondo (superato Elon Musk)

Il boom dei contratti cloud ha avuto un effetto immediato in Borsa: le azioni Oracle sono balzate fino al +43% in un solo giorno, proiettando Larry Ellison nella ristretta cerchia degli uomini più ricchi al mondo. Il suo patrimonio netto ha superato i 400 miliardi di dollari, scavalcando Elon Musk fermo a 385 miliardi di dollari (Ellison è anche uno dei più grandi investitori in Tesla).

L’aumento record di 101 miliardi in neanche 24 ore è dovuto alla straordinaria performance delle azioni della società in Borsa che martedì e mercoledì sono volate nella stratosfera, oltre il 40% a Wall Street, grazie ai prodotti per l’intelligenza artificiale. 

A muovere tutto è l’intelligenza artificiale

La “benzina” che muove questo gigantesco motore di investimenti è l’intelligenza artificiale generativa. Secondo Morgan Stanley, tra il 2024 e il 2028 gli investimenti in chip, server e infrastrutture data center raggiungeranno i 2.900 miliardi di dollari.

Una cifra che rende evidente la trasformazione in corso: i data center sono il cuore pulsante dell’economia digitale, ma anche un nodo critico per il fabbisogno energetico nazionale.

Oracle, già alle prese con un rapporto debito/patrimonio netto del 427% (contro il 32,7% di Microsoft), dovrà probabilmente ricorrere a nuovo debito per finanziare l’acquisto di chip AI e la costruzione dei data center.

In partnership con aziende come Crusoe, sta già pianificando siti in Wyoming, Pennsylvania, Texas, Michigan e New Mexico.

La corsa all’oro digitale dei data center

Se la scommessa funzionerà, Oracle diventerà un attore imprescindibile nell’ecosistema dell’AI, affiancando Microsoft, Amazon e Google nella nuova “corsa all’oro” dei data center.

Per Altman, invece, il contratto da 300 miliardi è l’unico modo per superare la strozzatura della capacità computazionale e mantenere la leadership di OpenAI in un mercato che brucia capitale e richiede infrastrutture paragonabili a quelle energetiche di interi Stati.

Il futuro dell’intelligenza artificiale, e della stessa OpenAI, dipenderà dunque da questa alleanza titanica. Ma la domanda resta: basteranno 300 miliardi e 4,5 gigawatt per sostenere l’appetito insaziabile dell’AI?

La portata di questo accordo va ben oltre la tecnologia e la finanza. I data center si confermano nuove infrastrutture strategiche, comparabili alle basi militari, ai gasdotti o alle dorsali energetiche.

In un mondo in cui l’AI è la nuova “benzina” dell’economia, i data center equivalgono a raffinerie digitali. Chi li possiede controlla l’accesso alla risorsa più scarsa e preziosa: il calcolo (c’è un ritardo di 12-24 mesi tra la domanda di energia e la sua fornitura). Per il Governo USA, sostenere Oracle e i suoi concorrenti significa assicurarsi che questa leva resti sotto giurisdizione americana, evitando che Europa o Asia diventino troppo dipendenti da fornitori extra-Occidente.

La finanziarizzazione del “computing” e l’esplosione della domanda di energia

Il mercato ora considera la potenza di calcolo (che le aziende usano per gestire l’AI e alimentare le app e i siti web che utilizziamo ogni giorno) non solo un servizio, ma una risorsa commerciabile, scarsa e strategicamente vitale, non diversamente dal petrolio nel XX secolo o dall’oro nel XIX.

La finanziarizzazione del computing si sta sviluppando a una velocità senza precedenti. Capitali di rischio, fondi sovrani e aziende stanno investendo miliardi in cluster GPU, capacità di data center e reti di calcolo decentralizzate. I governi stanno sovvenzionando le infrastrutture, limitando le esportazioni e correndo per garantire la sovranità informatica locale.
Stati Uniti, Unione europea, Cina e tutti gli altri principali attori globali sono ormai impegnati a costruire “fortezze digitali” che consumeranno enormi flussi di energia elettrica e che richiederanno livelli di cybersecurity sempre più elevati.

Secondo un nuovo studio Rhodium Group, i data center rappresenteranno tra il 47% e il 65% della crescita della domanda di energia negli Stati Uniti entro il 2030 e tra il 44% ed il 59% entro il 2040, a seconda dello scenario modellato.

Per capirci, queste stime ci dicono che stiamo passando dall’attuale 4% al 14% della domanda totale di energia elettrica degli Stati Uniti entro il 2040.

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