Lettera Anesti. Il nuovo ceto medio dei paesi emergenti ridarà fiato ai consumi globali

di a cura di Eutimio Tiliacos |

La nascita di una nuova classe media in Asia e Africa segna una forte discontinuità con il passato. Secondo la Banca Asiatica di Sviluppo nel 2030 le spese per consumi in Asia supereranno 32 mila miliardi di dollari, il 43% dei consumi globali.

Prosegue la pubblicazione su Key4Biz della ‘Lettera ANESTI’ di Eutimio Tiliacos, analista internazionale con cui cerchiamo di comprendere meglio le dinamiche che stanno riformulando i ranking internazionali tra economia, finanza, manifatturiero, conoscenze e istituzioni internazionali.
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Italia


Eutimio Tiliacos

Pochi forse sanno che a fondare la città di Odessa sul Mar Nero fu un interessante personaggio nato a Napoli nel 1749: José Pascual Domingo De Ribas citato anche da Lord Byron nel suo poema epico Don Giovanni. De Ribas era il figlio del console spagnolo a Napoli e di una aristocratica irlandese (Rif: Charles King “Odessa” ed Einaudi, 2013). Ebbe la possibilità di  ottenere un ingaggio al servizio della imperatrice Caterina di Russia impegnata nella guerra contro i turchi che contendevano al nascente espansionismo russo verso Sud le coste del Mar Nero, di cui i turchi si erano a loro volta  impossessati strappandole ai bizantini dopo la caduta di Costantinopoli. Senza neanche andare a scomodare il mito ellenico degli argonauti e del vello d’oro, in realtà i due bacini – il Mar Nero e il Mediterraneo – sono parte di un unicum geo-strategico-commerciale, diviso appena dalla soglia rappresentata dallo Stretto del Bosforo, come ben noto alla Serenissima Repubblica di Venezia quando tempi addietro dominava quelle rotte.

 

Nel museo del Palazzo Ducale di Venezia, in Piazza San Marco, c’è un dipinto poco visitato – quasi segreto –  realizzato da Tiziano che rappresenta San Cristoforo che traghetta sulle sue spalle Gesù Bambino attraverso la laguna con sullo sfondo all’orizzonte la città di Venezia . L’opera sfugge all’osservazione perché nascosta sopra l’architrave di una porta confinante con una anonima scala che scendeva dagli appartamenti privati del Doge. Era meglio visibile a chi quella scala la percorreva verso il basso dirigendosi ai saloni di rappresentanza, a testimonianza – secondo alcuni critici dell’arte – del passaggio non solo architettonico dall’ambiente privato a quello pubblico, ufficiale,  del palazzo, che Tiziano volle sottolineare collocando il suo dipinto sulla soglia che delimitava il cambiamento funzionale fra le due parti dell’edificio.

 

La Pasqua è anch’essa una occasione di passaggio: fra tenebre e luce, fra morte e resurrezione e, auspicabilmente, fra guerra e pace, anche se il cambiamento che evoca non ha carattere improvviso ma si dipana in modo graduale e costante.  Anche gli avvenimenti storici hanno spesso un carattere evolutivo in cui le conseguenze di quanto avvenuto precedentemente diventano finalmente manifeste solo da un certo momento in poi. Sotto il profilo economico sicuramente gli anni 2007 e 2008 del nuovo secolo ad esempio hanno rappresentato uno di tali momenti.  La entrata in crisi di un modello di sviluppo, lasciato gradualmente privo del supporto di efficaci regole e controlli soprattutto in campo finanziario, ha coinciso con l’affermarsi definitivo di un periodo della storia economica in cui le attività  manifatturiere non più concentrate in singoli  poli produttivi sono state distribuite fra una molteplicità di continenti e connesse a rete da catene logistiche.

 

Questo processo ha stravolto anche i modelli occupazionali, il modo individuale e collettivo di contribuire al processo produttivo e la natura stessa della forza lavoro: di conseguenza la struttura della domanda, essendosi prodotto – fra gli altri – un impoverimento dei ceti medi dei paesi sviluppati e per contro la nascita di una classe media in continenti quali l’Asia e  l’Africa, che ne erano praticamente prive, ha segnato una forte discontinuità col passato. A questo proposito la Banca Asiatica di Sviluppo stima che nel 2030 le spese per consumi in Asia supereranno i 32 mila miliardi di dollari USA pari al 43% di tutti i consumi mondiali

 

“Emerging markets are far from being a homogeneous group of countries. Complex patterns of trade are developing as a result of a number of important trends: the rise of an African, South American and Asian Middle Class; the unbundling of production processes and the spread of virtual manufacturing networks across regions; not to mention China’s investment in Latin America and Africa. At the same time, the importance of China-Europe and China-USA volumes, in relative terms, is declining…. this trend towards complexity is only going to continue with Western manufacturers and retailers diversifying sourcing locations to a ‘China plus’ basis (that is, China plus additional countries throughout the region) or to a new low cost market completely. The Philippines, Cambodia, Vietnam, Malaysia and Indonesia are just a few of the markets to benefit from ‘parallel sourcing’ strategies….The environment for global manufacturers, retailers and logistics companies is only going to get more complicated, not least due to the growing power of the Asian consumer. According to the Asian Development Bank, by 2030, consumer spending in Asia is likely to reach $32 trillion — or about 43% of worldwide consumption. Multinational companies expect that more than 50% of their revenue growth over the next 10 years will come from developing economies. Asia, it seems, is no longer just an origin – but also a destination. (Rif: Transport Intelligence “Emerging Markets Hold the Key to Logistics Growth”).


Già ora osservando le attuali correnti di traffico commerciale (e pur escludendo la componente costituita dagli idrocarburi) si nota l’impetuosa crescita di partecipazione al commercio internazionale di paesi che erano ai margini  dell’interscambio mondiale ancora poche decine di anni or sono. “Qatar, Morocco, Oman, UAE and Cambodia experienced dramatic surges (+20%) in ocean freight exports to either the United States, Europe or, in the case of Oman, both. Ethiopia and Algeria showed large increases in air cargo to the United States and/or Europe…..Paraguay, Cambodia, Uruguay, Kazakhstan, Vietnam and Morocco experienced large year-over-year increases in ocean freight imports from the United States and/or Europe. On the air cargo side, Ukraine, Oman, Ethiopia, Bahrain and Qatar imported significantly more from the United States and Europe on a year-over-year basis. The United States overtook the European Union as the leading destination for air freight from China. Air freight volume from China to the United States was relatively flat, but fell sharply (11.7%) to the EU”.

 

Altrettanto importante, come segnale dei mutamenti radicali in atto è lo studio della evoluzione della distribuzione del reddito nella società attuale. Un libro recentemente pubblicato al riguardo redatto da  Thomas Piketty dal titolo “Capital in the Twenty-First Century”  è stato ripreso (e condiviso in larga parte) dal capo dei commentatori economici del Financial Times – Martin Wolf – sul numero del 19 Aprile 2014 del giornale sotto il titolo quest’ultimo di “Inequality Time”.  Facendo eco alle considerazioni di Piketty, Wolf ritiene sbagliato il tentativo di coloro che cercano di contrapporre fra loro le varie generazioni sostenendo che le ineguaglianze di reddito sono ascrivibili alla sottrazione da parte dei genitori di benefici economici che dovrebbero essere di pertinenza dei figli: una tesi che se provata sarebbe disgregatrice anche dei valori familiari e della solidarietà all’interno della famiglia.

 

Risulterebbe invece statisticamente provato che le diseguaglianze di reddito all’interno della stessa generazione sono ben maggiori di quelle fra una generazione e la successiva. Se ad esempio esaminiamo  gli incrementi del PIL USA fra il 1977 e il 2007,  ne emerge che il 60 % di tale aumento è andato solo all’1% della popolazione totale. “Società dominate dalla persistente sostituzione del lavoro col capitale sarebbero secondo Piketty condannate ad un basso tasso di sviluppo”. Some argue that rising human capital will reduce the economic significance of other forms of wealth. But, notes Piketty, “nonhuman capital seems almost as indispensable in the twenty-first century as it was in the eighteenth or nineteenth”. Others argue that “class warfare” will give way to “generational warfare”. But inequality within generations remains vastly greater than among them. Yet others suggest that intra-generational mobility robs rising inequality of earnings of significance, particularly in the US. This, too, is false: the rise in inequality of earnings in the US over recent decades is the same however long the period over which earnings are traced.…..An important finding is that the ratio of wealth to income in Europe has climbed back above US levels, notably in France and the UK. Another is the notably big recent rise in the income shares of the top 1 per cent in English-speaking countries (above all, the US) since 1980. Perhaps the most extraordinary statistic is that “the richest 1 percent appropriated 60 percent of the increase in US national income between 1977 and 2007. Technology and globalisation can hardly explain this, since both were at work in all high-income countries.……. More interesting is Piketty’s theory of capitalist accumulation. He argues that the ratio of capital to income will rise without limit so long as the rate of return is significantly higher than the economy’s rate of growth. This, he holds, has normally been the case. The only exceptions from the past few centuries are when a sizeable part of the return on wealth is expropriated or destroyed, or when an economy has opportunities for exceptionally fast growth, as in post-war Europe or the emerging economies today ; the rate of return is only modestly affected by the ratio  of capital to income. In the language of economists, the “elasticity of substitution” between capital and labour is far greater than one. In the long run, this seems plausible. Indeed, an age of robotics might further raise the elasticity. The tendency for capital to grow faster than the economy is also more likely when the growth of the economy is relatively slow, either because of demographics or because technical progress is weak. Capital-dominated societies also have low-growth economies“.

 

Ma c’è un altro fattore di cambiamento di cui è importante far cenno anche per le sue implicazioni economiche di lungo periodo. Scrivevamo in Lettera ANESTI del Settembre 2013 che stiamo vivendo una situazione internazionale che vede il Mediterraneo diventato nuovamente l’epicentro di un confronto globale in cui Siria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia sono paesi percorsi da correnti di instabilità politica e dove la flotta russa dopo più di 20 anni sta tornando a stabilire una presenza permanente avendo dislocato  nelle sue acque sottomarini nucleari e altri mezzi navali di importanza strategica. La situazione ha connotati paradossali. Il paradosso consiste nel fatto che mentre l’area del Mediterraneo sta gradualmente perdendo di peso economico per intrinseca debolezza dei suoi stati rivieraschi a vantaggio dei paesi nord-europei e, in prospettiva, per l’apertura di nuove rotte (Rif: Lettera ANESTI > Febbraio 2014) che le sottrarranno traffico commerciale, ne aumenta per contro l’importanza strategica quale retrovia semi-belligerante o belligerante delle ricche aree petrolifere del Vicino e Medio Oriente.

 

La vicenda siriana e quella ucraina – che al Mediterraneo è connessa geograficamente e storicamente – sono emblematiche  a questo  proposito offrendo un pretesto al riarmo dei paesi di tutta la regione che per la sua valenza strategica come luogo di transito di oleodotti e gasdotti dai campi petroliferi del Caucaso e del Golfo verso l’Europa avrebbe bisogno di stabilità e non di instabilità. “With the annexation of Crimea, Turkey faces a stronger and more emboldened Russian naval power in the Black Sea. A resurgent Russia may be tempted to exploit its temporary naval dominance to alter current Black Sea energy exploitation and transportation arrangements more in its efenc and to the detriment of Turkey and its partners in the Caucasus. The politically motivated stoppage of Turkey’s National Warship Project’s production schedule has created a window of vulnerability in Turkey’s Black Sea naval efences in the face of rapidly rising Russian naval power…… The US $ 3 billion “National Warship” Project, known by its Turkish abbreviation MİLGEM, seeks to upgrade the Turkish fleet by replacing and augmenting its older foreign-made warships with eight domestically produced Ada class antisubmarine warfare corvettes and subsequently four intermediate class TF 100 frigates.   After gaining experience from the building of the slightly larger but more lethal TF 100 anti-air warfare frigates, Turkey then intends to build a series of TF 2000 frigates.  Double the size of the TF 100, the TF 2000 anti-air warfare frigate will significantly advance the Turkish fleet’s transformation into a blue water navy.”