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Net Neutrality: braccio di ferro nella Ue fra Stati e Parlamento

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Gli Stati membri non vogliono ricalcare l’approccio americano della FCC e spingono per la concessione di corsie preferenziali ai cosiddetti “servizi specializzati”

Ferve il dibattito sulla net neutrality a Bruxelles, dove gli stati membri della Ue non vogliono sposare l’approccio all’americana, puntando sulla definizione di trattamenti preferenziali per il traffico legato ai cosiddetti “servizi specializzati”.

La decisione della FCC americana, che a inizio marzo ha affermato il principio di banda larga come servizio fondamentale, sta mettendo sotto pressione la Ue, che fatica ad affermare una sua posizione autonoma sulla net neutrality, un tema che di fatto è al centro del dibattito da settembre del 2013.

Tempi lunghi

I tempi per raggiungere la quadra non saranno brevi, anche perché la net neutrality è solo uno dei temi spinosi all’attenzione della Ue nel pacchetto di riforma del settore telecom, che fra le altre cose contempla anche la decisione sul roaming.

Tra l’altro, sulla net neutrality nella Ue non c’è una visione unitaria fra Parlamento e Consiglio. Da un lato, il Parlamento ha adottato dalla scorsa primavera una posizione molto vicina a quella della FCC, il regolatore Usa che ha vietato ai fornitori di accesso alla rete di proporre ai clienti un Internet a più velocità.

Una posizione che non è affatto condivisa dagli stati membri riuniti in seno al Consiglio Ue, che a inizio marzo hanno concordato nel dire che Internet deve essere “aperto, senza blocchi né rallentamenti”. Ciò non significa però che gli operatori non possano gestire il traffico, tanto che il Consiglio autorizza esplicitamente i provider ad accordare corsie preferenziali ai “servizi specializzati” fintanto che non venga penalizzato il servizio base di Internet. La bozza del testo non scende nei dettagli, ma l’intenzione è chiara: “se il consumatore è pronto a pagare per avere un accesso di alta qualità a Netflix, o un domani per accedere a servizi di sanità digitale, tutto ciò sarà possibile”, ha detto a Les Echos una persona vicina al dossier.

Una posizione, quella del Consiglio, accolta con molta freddezza dal Parlamento Ue. L’eurodeputata olandese Marietje Schaake si è spinta a definire la proposta degli stati membri come “prossime all’insulto”.

Questo il contesto in cui sono cominciati a fine marzo i negoziati per raggiungere un compromesso comune.

Il nodo del roaming

 

Discussioni rese ancor più difficili dall’altro dossier caldo che fa parte del pacchetto telecom, vale a dire le tariffe di roaming.

Se da un lato l’Europarlamento vuole cancellare completamente il roaming, dall’altro il Consiglio è più propenso ad un approccio soft alla materia: concedere ai consumatori chiamate senza sovrapprezzi ma limitate e riduzione delle tariffe di roaming da 19 a 5 centesimi al minuto. “Si tratterebbe di una riduzione del 75%, il che non è mai stato fatto finora”, ha detto una fonte diplomatica.

“Se ci limitassimo ad eliminare le tariffe di roaming sicuramente i prezzi aumenterebbero da qualche altra parte, sui mercati locali, ma non è questo il risultato che desideriamo ottenere”, ha detto oggi l’eurodeputato lettone Krisjanis Karins, membro della Commissione parlamentare Industria, Ricerca ed Energia (ITRE).

Resta da vedere se gli eurodeputati daranno battaglia su entrambi i dossier, net neutrality e roaming, oppure se sceglieranno di concentrarsi su uno dei due, presumibilmente il roaming.

Con questi presupposti, difficile che si trovi una quadra prima dell’estate.