Lavoro

L’Intelligenza Artificiale ci sostituirà? In India, nei call center, è già realtà

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L’India sta sostituendo gradualmente operatori di call center con chatbot intelligenti, capaci di gestire migliaia di richieste al mese, riducendo costi e personale umano. Questa automazione colpisce soprattutto i giovani laureati, con drastica riduzione delle assunzioni nel settore BPM.

“Presto l’Intelligenza Artificiale ci sostituirà.”
Un’affermazione che in Italia suona ancora come un’esagerazione, ma che in altri Paesi è già diventata realtà. Lo conferma un’inchiesta di Reuters che racconta il caso dei call center indiani, oggi sempre più popolati da chatbot di AI capaci di parlare e scrivere messaggi come veri operatori umani.

Nel Paese asiatico, startup all’avanguardia stanno, infatti, sviluppando sistemi in grado di gestire da soli fino a 10.000 richieste al mese, un volume che normalmente richiederebbe l’80% del personale umano.
L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre i costi e aumentare la produttività, ma le conseguenze per l’occupazione sono tutt’altro che marginali.

AI più economica della manodopera a basso costo

Tra le aziende protagoniste di questa trasformazione c’è LimeChat, che offre agenti virtuali persino più economici dei dipendenti indiani, da sempre considerati una delle manodopere più convenienti al mondo.
L’India, infatti, si è distinta per decenni per i costi contenuti e la buona conoscenza dell’inglese, ma oggi anche quei ruoli di back office — come assistenza clienti, supporto tecnico o gestione dati — stanno venendo progressivamente assorbiti dai sistemi di intelligenza artificiale.

Secondo l’indagine Reuters, che ha coinvolto dirigenti, reclutatori, lavoratori ed ex funzionari governativi, la rivoluzione tecnologica che sta travolgendo il settore IT indiano ha un impatto stimato di 283 miliardi di dollari.

Eppure, mentre la tecnologia mette in discussione la stabilità di milioni di lavoratori, l’India accelera: il governo scommette che un approccio “senza freni” creerà abbastanza nuove opportunità da compensare i posti di lavoro persi. Una scommessa cruciale per capire se l’adozione massiva dell’IA potrà stimolare o danneggiare un’economia emergente. Un banco di prova anche per gli altri Paesi quindi.

Il boom della “conversational AI”

Il mercato globale dell’intelligenza artificiale conversazionale cresce del 24% all’anno e, secondo le stime di Grand View Research, raggiungerà i 41 miliardi di dollari entro il 2030.
L’India, che dipende dal settore IT per il 7,5% del PIL, punta forte su questa evoluzione.

In un discorso di febbraio, il primo ministro Narendra Modi aveva dichiarato:

“Il lavoro non scompare a causa della tecnologia. Cambia la sua natura, e nascono nuove forme di occupazione.”

Ma non tutti condividono questo ottimismo.
Santosh Mehrotra, ex funzionario governativo e docente al Centre for Development Studies dell’Università di Bath, ha criticato l’esecutivo per la mancanza di un piano concreto per affrontare l’impatto dell’IA sui giovani lavoratori.

Non esiste un piano d’azione,” ha commentato.

I più colpiti: i giovani laureati

Il settore della Business Process Management (BPM) impiega circa 1,65 milioni di persone in India — tra call center, gestione paghe e data entry — ma le assunzioni sono crollate con l’avanzare dell’automazione, nonostante la crescente domanda di coordinatori dell’IA e analisti di processo.

Secondo Neeti Sharma, CEO della società di collocamento TeamLease Digital, la crescita occupazionale nel comparto — che rappresenta un quinto della produzione IT — si è ridotta a meno di 17.000 posti l’anno negli ultimi due anni, contro i 130.000 del 2022-2023 e i 177.000 del 2021-2022.

L’impatto maggiore sarà sui giovani neolaureati,” ha dichiarato Pramod Bhasin, pioniere dei call center indiani, che negli anni ’90 fondò il primo servizio per GE Capital con appena 18 dipendenti.

Nel lungo periodo, Bhasin ritiene che l’India possa trasformarsi da “back office del mondo” a “fabbrica globale dell’IA”, sfruttando la crescente domanda di ingegneri e soluzioni di automazione.

Il caso di LimeChat

Tra i maggiori beneficiari di questa tendenza figura proprio LimeChat. Secondo il fondatore Gupta, il team di sviluppatori e ingegneri dell’azienda ha già contribuito ad automatizzare circa 5.000 posti di lavoro.

Oggi i chatbot di LimeChat gestiscono il 70% delle richieste dei clienti, con l’obiettivo di arrivare al 90-95% entro un anno.

Se ci paghi 100.000 rupie al mese, stai automatizzando il lavoro di almeno 15 agenti,” ha spiegato Gupta.

A quel prezzo — circa 1.130 dollari al mese — il servizio costa quanto tre operatori umani.
I ricavi dell’azienda sono passati da 79.000 dollari nel 2022 a 1,5 milioni nel 2024, grazie anche alla recente partnership con Microsoft Azure, che ha permesso di integrare nuovi modelli linguistici e lanciare un chatbot dedicato all’e-commerce.

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