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L’infinita crisi dei chip, quando finirà? Stanno per arrivare i rincari?

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Alcune voci dicono che i prossimi aumenti di TSMC porteranno a un rincaro medio del 20% per i chip, pronto a riflettersi nei prezzi finali di computer e smartphone.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Lo sa chiunque abbia cercato di assemblarsi un PC negli ultimi mesi, e insegue microprocessori (Chip) e schede grafiche senza riuscire ad aggiudicarsele, o facendolo per il doppio del loro prezzo di listino. Stessa cosa per chi ha provato a comprare una PlayStation 5 e ha imparato a proprie spese che le “finestre” di disponibilità sui siti per l’acquisto online, aperte a distanza di settimane l’una dall’altra, durano al più pochi minuti. Ma la situazione riguarda anche chi ha ordinato un nuovo smartphone, magari spinto da qualche vantaggiosa offerta di telefonia mobile (su SOSTariffe.it è sempre possibile trovare le più convenienti del momento), e ancora non si è visto recapitare il pacco a casa o non l’ha trovato in negozio, per non meglio precisati ritardi, per non parlare di chi aspetta ancora la sua auto nuova, soprattutto se elettrica.

Insomma, la crisi dei chip è uno degli effetti della pandemia in teoria meno evidenti, ma in grado di impattare in maniera significativa sulla vita di tutti noi. Computer, telefonini, tablet, wearable, ma anche elettrodomestici “smart”, automobili e tutto ciò che monta un processore sta subendo ritardi che vanno dal sopportabile all’apocalittico per colpa della penuria dei chip. In verità, il Covid-19 ha soltanto portato alle sue estreme conseguenze una serie di difficoltà collettive che erano già molto presenti; lo stop alla produzione dovuto ai lockdown 2020, in particolare per quanto riguarda l’industria automobilistica, ha fatto sì che si accumulassero ritardi su ritardi, mentre dall’altra parte cresceva la domanda di computer o smartphone per affrontare la didattica a distanza e lo smart working. E ora la situazione sembra non poter andare incontro alla sua soluzione in tempi brevi.

Crisi dei Chip: dove tutto è nato: l’automotive

Oltre ai fattori di produzione, infatti, c’è il problema logistico, visto che una netta maggioranza dei processori a livello mondiale viene prodotta a Taiwan e da lì smistata in tutto il mondo; anche in questo caso, chiunque abbia provato a ordinare qualcosa che viene prodotto all’estero ha sperimentato quanto si siano dilatati i tempi, con container che mancano, pochi autisti, notifiche di consegna rinviata, visto che la crescita degli ordini a distanza è stata elevatissima negli ultimi mesi e le supply chain hanno dovuto fare i conti con un volume di beni da trasportare impensabile in tempi pre-pandemia.

La carenza di processori Qualcomm riguarda soprattutto Samsung e gli altri produttori di smartphone Android, ma pare si stia a poco a poco risolvendo; più seria quella che riguarda le console di gioco e i PC top di gamma con i modelli Nvidia e AMD più recenti, ma i guai peggiori sono nel mondo dell’automotive. Tutto questo perché in previsione del calo della domanda inevitabile con i lockdown, quasi tutte le case automobilistiche nel 2020 hanno tagliato piani di produzione e ordini di processori. Hanno però peccato di prudenza, e la domanda di auto non è calata quanto ci si aspettava; così, visto che per ridurre il più possibile i costi della logistica si cerca di avere il magazzino vuoto con formula “just in time”, la carenza ha portato a un effetto a catena, a maggior ragione per l’auto elettrica, dove il numero di semiconduttori in media è doppio rispetto alle vetture tradizionali. Ford ha quindi parlato di un taglio della produzione del 20%, mentre General Motors è corsa ai ripari togliendo ad alcuni suoi modelli di camion i chip per l’ottimizzazione del consumo di carburante. Ci vorranno almeno ancora un paio di trimestri prima che la situazione si assesti, anche considerando quanto l’industria dell’auto – e non solo quella – dipenda in gran parte dal lontano Oriente: una strategia che certo permette di ridurre i costi, ma che portata all’estremo ha amplificato la dipendenza dall’estero. In tutti gli Stati Uniti viene prodotto solo il 12% dei chip al mondo, contro il 37% di trent’anni fa, e la sola TSMC, taiwanese, da sola vale più della metà del mercato.

Il caso di Apple, non più immune ai rincari

Finora, tra le pochissime grandi case che sembravano essere immuni agli effetti della crisi dei chip c’era Apple. Questo perché Apple, per la sua posizione dominante, avrebbe un immenso potere contrattuale, anche considerato che la crisi riguarda soprattutto, parlando di smartphone, dispositivi di fascia medio-bassa; quindi non l’iPhone, che di certo, visto il suo prezzo, non si può considerare un telefonino economico, e che ha sempre puntato più su un cartellino piuttosto esoso che sulla bruta quantità di smartphone venduti. I margini per Apple sono più ampi e quindi anche un aumento dei costi negli approvvigionamenti, in teoria, non dovrebbe tradursi in un aumento del prezzo verso il consumatore.

Il primato, però, pare destinato a finire: anche l’azienda di Cupertino comincia infatti ad accusare le conseguenze della crisi globale, e nelle ultime settimane, a pochi giorni dall’evento del 14 settembre nel quale verranno annunciati i nuovi iPhone 13 e probabilmente anche l’Apple Watch Series 7, non si contano i report che parlano di prossimi ritardi, con gli smartwatch presentati sì il 14 ma disponibili a ottobre o addirittura novembre, così come gli attesi MacBook Pro da 14” e 16” con i chip M1X. Non solo: si rincorrono voci per cui i dispositivi Apple, già costosissimi, subiranno un ulteriore rincaro, anche del 5-10%, per un listino prezzi davvero fuori portata per milioni di persone.

Per l’anno prossimo, soprattutto smartphone di fascia alta

E gli altri? Alcune voci dicono che i prossimi aumenti di TSMC porteranno a un rincaro medio del 20% per i chip, pronto a riflettersi nei prezzi finali di computer e smartphone. Va poi considerato che i chip, di per sé, sono un prodotto che si basa su altra componentistica, tra cui i “wafer” sui cui vengono realizzati, e anche andando più su nella filiera ci sono problemi. Secondo Doris Hsu, Presidente e CEO di Globalwafers, terzo produttore di wafer al mondo, «i materiali e i prodotti chimici impiegati nella fase di realizzazione, così come i costi legati al trasporto logistico, sono in crescita. Ciò significa che dobbiamo rivedere i prezzi di vendita dei nostri wafer per non vedere compromessi i nostri margini di profitto». Un’ipotesi è che l’anno prossimo si vedranno molti telefoni di fascia alta, proprio per i loro margini superiori, e meno modelli del segmento medio-basso.