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Le città USA fanno causa a Netflix, Hulu e Disney: “Sfruttate infrastrutture pubbliche, dovete pagare”

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Internet ha trasformato i servizi audiovisivi, ma un numero crescente di amministrazioni cittadine e statali USA vogliono estendere le imposte delle tv via cavo anche alle piattaforme streaming, chiedendo loro di versare tra il 5 ed il 9% delle entrate derivanti dagli abbonamenti locali.

Città e Stati USA chiedono di poter tassare i giganti dello streaming

Internet trasforma tutto quello che tocca e la televisione non è stata esentata da questo processo storico e tecnologico. Negli Stati Uniti, un gran numero di città e relative amministrazioni ha fatto causa ai giganti della tv via streaming.

La causa di questa azione legale, secondo un articolo di Jason Plautz, è tutta in vecchie leggi che cercano di adattarsi a nuovi scenari tecnologici: il mancato pagamento di tasse pubbliche per lo sfruttamento di infrastrutture statali locali utilizzate normalmente per offrire servizi audiovisivi alla cittadinanza.

Si tratta di una tassazione locale (franchise fees), imposta alle compagnie di tv via cavo per posare cavi lungo infrastrutture pubbliche preesistenti, come le strade e altri cavidotti (ad esempio per le linee telefoniche).

Nel mirino servizi come Netflix, Hulu e Disney +

Solo che oggi la tv via cavo, un tempo regina dei salotti americani, è stata soppiantata da quella connessa in rete, a internet, per accedere alla grande offerta di contenuti audiovisivi di piattaforme come Netflix, Hulu e Disney +, solo per citare le più popolari e seguite.

Le amministrazioni locali, comunque, pur prendendo atto della transizione tecnologica, non hanno cambiato idea sulla necessità di tassare i servizi audiovisivi, quindi anche quelli via streaming, perché il concetto di base, in linea di massima, è lo stesso: “per offrire i tuoi servizi in online stai sfruttando una rete internet pubblica, costruita con i soldi dei contribuenti, quindi devi pagare un tassa”.

Sono diverse le città che hanno intentato causa contro l’impero dello streaming, che vede i principali rappresentanti proprio nei giganti sopra citati, tra cui Dallas, Frisco e Plano in Texas, Irvington nel New Jersey, Fort Scott nel Kansas.

Crescono le città coinvolte, primi casi in tribunale

A queste città se ne uniranno molte altre e ci sono già diversi giudici che gli hanno dato ragione, come nel caso della contea di St. Louis nel Missouri, dove un tribunale ha respinto la richiesta dei big dello streaming di archiviare un caso del genere ad inizio 2021.

Tribunale che nel caso specifico non ha concesso alla difesa di appellarsi all’Internet tax freedoom act (quindi di sfruttare lo scudo fiscale) e allo stesso tempo ha considerato le reti di distribuzione di contenuti locali (o CDN), come Open Connect di Netflix, (che instradano il traffico degli utenti in server di prossimità, che si trovano nei data center, non nei cavidotti della città), come meri sistemi messi in campo per aggirare la tassazione locale.

Si tratta di vecchie leggi che imponevano tasse sulle telecomunicazioni, che oggi tornano utili per via della cronica mancanza di risorse finanziarie da parte delle amministrazioni pubbliche. Si trattava e lo è ancora di un’imposta del 5% sulle entrate lorde delle compagnie che forniscono i servizi di tv via cavo, in cambio del diritto di sfruttare le infrastrutture pubbliche locali.

I soldi incassati dalle amministrazioni sono investiti nel miglioramento delle infrastrutture stesse, per l’innovazione tecnologica e per garantire a tutti l’accesso ai servizi audiovisivi, anche e soprattutto ai cittadini dei quartieri più poveri.

Tra giustizia sociale e caos fiscale

La contea di Gwinnett si è già fatta due conti: “Netflix ha guadagnato 103 milioni di dollari dai nostri abbonati negli ultimi cinque anni, il che si tradurrebbe in 5,15 milioni di dollari in tasse non pagate per quella sola area”.

Ovviamente il mondo è cambiato e il Novecento è finito, tanto che questa sovrapposizione di modelli televisivi, generata dalla transizione in corso, non farà altro, secondo molti esperti, che generare un quadro fiscale molto confuso, tra amministrazioni statali come il Maryland e la città di Chicago che cercheranno di applicare tasse vecchie e nuove al mondo dei servizi audiovisivi e di internet (con importi diversi tra uno Stato e l’altro e una città e l’altra, infatti Chicago chiede il 9%) e gli stessi fornitori di questi diritti non disposti ad accettarle.

Nel primo trimestre 2021, secondo Forbes, il 46% delle famiglie americane ha attivato quattro o più servizi streaming video in abbonamento (era il 22% a fine 2020), l’82% ha attivato almeno uno di questi servizi, con un incremento del +76% su base annua.