i casi eclatanti

Le associazioni culturali in un limbo amministrativo. E si rinnovano anomale assegnazioni delle risorse pubbliche

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Centinaia di migliaia di associazioni culturali italiane non hanno chance di iscriversi al Runts e perdura uno stato confusionale rispetto alle realtà socio-culturali più vive del nostro Paese.

Come è noto a tutti gli operatori del cosiddetto “Terzo Settore” – ovvero, sinteticamente, gli “enti non commerciali” – pende su centinaia di migliaia di soggetti una spada di Damocle rappresentata dal “Runts”, acronimo di “Registro Unico Nazionale del Terzo Settore”, ovvero un sistema informativo che dovrebbe finalmente assicurare trasparenza ad una parte significativa delle attività del nostro Paese.

Si tratta di un “universo” di attività molto variegato e di dimensioni impressionanti: secondo l’ultimo censimento Istatin materia (aprile 2018), le organizzazioni attive in Italia sono oltre 336mila, danno lavoro a quasi 800mila persone, e possono vantare il coinvolgimento di oltre 5,5 milioni di volontari.

Il settore registra tassi di crescita incoraggianti: nell’arco di quattro anni, le organizzazioni attive sono 35mila in più, i volontari sono aumentati di 770mila persone.

La sensibilità politico-istituzionale su queste materia è senza dubbio cresciuta, come dimostra anche la legge n. 106 del giugno 2016 (“Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”), nota come “riforma del terzo settore”, al di là dei perduranti ritardi nella sua entrata a regime…

Si tratta di un “universo” ricco e plurale, formato da alcuni grandi “player” e da centinaia di migliaia di piccoli enti, eterogenei per forme, scopi, relazioni ed attività.

È certamente viva l’esigenza di una migliore conoscenza di questo variegato settore, che ha ancora, per alcuni aspetti, “confini” non precisi.

Nel suo “perimetro”, per esempio, non rientrano tutte le cosiddette “istituzioni non profit”, e, secondo stime dell’Istat, gli attuali enti del “Terzo Settore” rappresenterebbero circa un quarto delle cosiddette “istituzioni non profit”, anche se questa stima andrà sicuramente rivista (e ri-“perimetrata”) con l’entrata a regime del tanto atteso “Registro unico” (“Runts”) ormai imminente.

Dati più recenti, sempre di fonte Istat, presentati nell’ottobre 2020, e relativi al settore del “non profit”, registrerebbero 359.574 enti, con 853.476 dipendenti.

L’85 % di questi enti è rappresentato da associazioni, e 2 istituzioni su 3 sono attive nel settore della “cultura, sport e ricreazione”. 

Rispetto al complesso delle imprese dell’industria e dei servizi in Italia, l’incidenza delle istituzioni “non profit” continua ad aumentare, passando dal 5,8 % del 2001 all’8,2 % del 2018.

La forma giuridica degli enti “non profit” registra un 85 % di “associazioni” (sia “riconosciute” sia “non riconosciute”), un 4,4 % di “cooperative sociali”, un 2,2 % di “fondazioni”, a fronte di un restante 8,4 % che ha altra forma.

Se le stime dell’Istat sono affidabili, si può quindi ritenere che in Italia le “associazioni culturali” (facendo rientrare in questo novero – convenzionalmente – quelle attive nel settore della “cultura, sport e ricreazione”) sono oltre 200mila. Quante sono esattamente, nessuno lo sa. Nemmeno il titolare del Ministero della Cultura.

Questi soggetti non hanno avuto finora obblighi di trasparenza: a differenza di quel che accade con le imprese commerciali, che sono tenute ad iscriversi alla Camera di Commercio (e debbono rendere di pubblico dominio un notevole dataset), questo obbligo non sussiste per le associazioni culturali, e di questi soggetti poco o nulla si riesce a sapere, se non per quando riguarda un obbligo di trasparenza – con una apposita sezione da pubblicare sui siti web – in relazione all’acquisizione di sovvenzioni e contributi pubblici (obbligo disatteso da molti, anche perché non vengono effettuati controlli a tappeto).

L’attuale regime tributario prevede alcune agevolazioni per questi soggetti: per esempio, per l’associazione senza scopo di lucro che apre la partita Iva, è prevista la possibilità di ricorrere al regime fiscale semplificato e agevolato di cui alla Legge n. 398/1991, sempreché gli introiti commerciali non superino i 400.000 euro… Questa situazione è destinata a cambiare (verosimilmente nel 2022), con l’entrata in vigore del “pacchetto fiscale” previsto dal “Codice del Terzo Settore”, che attende l’assenso della Commissione europea.

Quando il “Registro Unico” sarà a regime, sarà possibile acquisire una stima più accurata del variegato mondo delle associazioni culturali: ma qui casca l’asino, perché le modalità per l’iscrizione al Runts di fatto non prevedono, fino ad oggi, le associazioni culturali. 

Un paradosso veramente!

Associazioni culturali nel “Runts”: dove e come?!

Possono attualmente iscriversi al Runts infatti soltanto le associazioni che siano già iscritte nei registri del Volontariato (cosiddetti “Organismi di Volontariato” ovvero “OdV”), le Associazioni di Promozione Sociale (cosiddette “Aps”) e le Onlus (ovvero “Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale”), che debbono comunque rispettare – o adattare i propri statuti in tal senso – quanto previsto dal “Codice del Terzo Settore” in materia di caratteristiche che sono obbligatorie (per esempio, si debbono perseguire finalità di natura civica, solidaristica e di utilità sociale).

soggetti altri rispetto agli OdV, alle Aps, alle Onlus sono destinati a restare in un limbo, nelle more che venga emanato un regolamento specifico.

In effetti, l’Articolo 4 comma 1 del “Codice del Terzo Settore” (ovvero il Decreto legislativo, del 3 luglio 2017 n° 117, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 agosto 2017) recita inequivocabilmente: “1. Sono enti del Terzo Settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.

L’Articolo 46, che riguarda la struttura del Registro del Terzo Settore (Runts), prevede: “1. Il Registro unico nazionale del Terzo settore si compone delle seguenti sezioni: 

  • Organizzazioni di volontariato;
  • Associazioni di promozione sociale;
  • Enti filantropici;
  • Imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
  • Reti associative;
  • Società di mutuo soccorso;
  • Altri enti del Terzo settore.

Non esiste ancora alcun decreto regolamentativo riguardante gli… “Altri enti del Terzo Settore”, e quindi le “associazioni culturali” sono enti che – allo stato attuale – non possono ancora iscriversi al Runts…

Le contraddizioni della Direzione Generale Cultura Contemporanea del Ministero

La questione produce degli effetti assurdi (anche ai più alti livelli istituzionali): per esempio, il Ministero della Cultura qualche settimana fa ha pubblicato un avviso pubblico per la realizzazione della prima ricerca sulla “filiera del fumetto” in Italia, iniziativa certamente commendevole. Iniziativa maturata anche a seguito della sensibilità che il titolare del Mic Dario Franceschini ha manifestato nel corso del tempo nei confronti delle forme culturali ed artistiche altre rispetto a quelle storicamente sostenute dallo Stato (teatro, cinema, musica, ecc.) sono rientrati quindi nel novero del possibile intervento di sostegno della mano pubblica i videoclipi videogame e finanche i fumetti

“Dettaglio”: il bando promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea (diretta da Onofrio Cutaia) scaduto il 30 giugno 2021 prevedeva che potessero partecipare al bando per la realizzazione della ricerca soltanto soggetti iscritti al Runts, o comunque “OdV” e “Aps” e “Onlus” (iscritte nei rispettivi registri, che vanno ad emigrare verso il Runts).

Per cui il Ministero ha incredibilmente escluso la partecipazione ad un bando (per un’attività di ricerca e studio) di una quantità notevole di enti ovvero “associazioni culturali” che avrebbero avuto – per caratteristiche strutturali e storia professionale – naturale chance di partecipare! Dinamica che ha caratteristiche controproducenti (anzi masochiste) per lo stesso interesse dello Stato. 

In questo modo, la Direzione Creatività del Ministero ha escluso – paradosso nel paradosso – anche le oltre 3mila “associazioni culturali” che beneficiano del contributo del “2 per mille” Irpef, e che sono quindi iscritte in quell’elenco che consente l’accesso ad una forma di sostegno pubblico che il Ministro Dario Franceschini ha saggiamente fatto reintrodurre quest’anno, dopo una estemporanea sperimentazione nel 2016 (vedi “Key4biz” del 28 giugno 2021, “Franceschini rispolvera il ‘2×1000’ Irpef per le associazioni culturali: perché nessuno ne parla?”).

Come stanno superando il problema le amministrazioni pubbliche più intelligenti e lungimiranti (e meno burocraticamente ritentive?!): aprendo sempre più i “filtri” pre-selettivi, e consentendo la partecipazione ai bandi pubblici di una pluralità estesa di soggetti, senza imporre – come ha fatto il Mic nel caso orora citato – una iscrizione al “Runts” che è ancora oggi suscettibile di criticità, interpretative ed operative.

È il caso, in questo eccellente, della Regione Lazio, che ormai tende a pubblicare avvisi che sono aperti alla partecipazione delle “associazioni culturali” tout-court, oltre che di associazioni di promozione sociale, organismi di volontariato, onlus, ed imprese culturali sotto qualsiasi forma. 

Di grazia, in casi come questi, ed in settori delicati come la cultura, dovrebbe essere la sostanza a contare (le attività concretamente realizzate) e non la forma (il vestito giuridico del soggetto proponente).

Riteniamo che una Pubblica Amministrazione lucida saggia dinamica non debba imbrigliare l’interesse dello Stato nelle maglie di una interpretazione burocratica e restrittiva delle norme, che sono peraltro in Italia spesso polisemiche.

Crediamo che in verità tutto “il sistema” di sostegni pubblici alla cultura dovrebbe essere sottoposto ad una accurata analisi critica ed a una profonda revisione.

La discreta capacità autocritica mostrata dalla Regione Lazio sui bandi per la cultura

La Regione Lazio mostra una discreta capacità di interazione con la società civile e finanche una buona disponibilità autocritica: abbiamo già segnalato su queste colonne un caso di adeguato feedback rispetto alle lamentazioni di molte associazioni culturali, in occasione del bando cosiddetto “ristori” del dicembre 2019 (vedi “Key4biz” del 1° luglio 2021, “ReteA, battaglia vinta con la Regione Lazio contro i ‘furbetti del ristoro’”), al quale hanno partecipato oltre 2mila associazioni.

Si è trattato di un bando con una patologia genetica, ovvero l’essere “a sportello”, con la logica (malata) del “chi prima arriva, meglio alloggia”. 

I bandi cosiddetti “a sportello” dovrebbero sparire dalla faccia della pubblica amministrazione italiana. 

Nel caso in ispecie, un gruppo di attivisti ha scoperto che molte associazioni partecipanti al bando che avevano parvenza – ovvero forma – di “associazione culturale” si dedicavano ad attività non esattamente… culturali (per esempio, ristorazione o finanche un club privé): eppure, essendo arrivate “prima” di altre, però, erano state ammesse al beneficio (oscillante tra i 5.500 ed i 9.000 euro). 

A seguito delle proteste di oltre 130 associazioni culturali del Lazio (rappresentate da una meta-associazione denominata “ReteA”, guidata in primis da Vincenzo Mondrian), la Regione Lazio – nella persona del Capo di Gabinetto Albino Ruberti e quindi dello stesso Presidente Nicola Zingaretti – ha accusato il colpo, ingranato la retromarcia, anzi messo in atto una vera inversione ad U, ed ha corretto l’errore: aumentando i fondi della dotazione iniziale (portati dagli iniziali 4 milioni di euro ad 8,2 milioni) e facendo sì che venissero ammesse tutte le associazioni culturali rispondenti ad alcuni pre-requisiti minimi. 

Un interessante caso – più unico che raro – di metabolizzazione di processi autocritici maturati nel confronto con la società civile.

Questa stessa Amministrazione, però, poche settimane dopo ha emanato un altro bando, per sostenere le attività delle associazioni culturali nel Lazio (dotazione di 3 milioni di euro), a fronte della presentazione di un progetto di attività, ma ha commesso un nuovo errore: il bando prevede infatti che possano essere assegnati acconti sulla sovvenzione accordata (a seguito di valutazione del progetto da parte di una commissione ad hoc), ma soltanto nell’ordine del 40 per cento del budget totale dell’iniziativa, con il saldo del 60 % solo dopo la conclusione delle attività. E, inoltre, quell’acconto del 40 % viene concesso soltanto a condizione di presentazione di una fideiussione. 

Le stesse associazioni che hanno vinto la battaglia di principio rispetto all’equivoco criterio dello “sportello” indiscriminato sono insorte ed hanno denunciato come sia assurdo (paradossale) che una Regione che vuole sostenere le associazioni culturali – che quasi sempre hanno modestissime capacità di autofinanziamento – pretenda però da loro investimenti garanzie che non possono prestare! 

Basti ricordare che anche il Ministero della Cultura concede acconti ben più significativi: generalmente il 70 % della sovvenzione accordata (ma in taluni casi – come durante la fase più acuta della pandemia – dell’80 % se non del 100 %).

La stessa “ReteA” attende l’esito della dialettica avviata con Ruberti e Zingaretti, e nel mentre manifesta irritazione perché questo controverso bando scade il 16 agosto, ma notoriamente la Regione Lazio ha sistemi informativi in crash da giorni, e quindi, anche volendo, non si possono trasmettere nemmeno le pec per inoltrare le istanze di partecipazione… E, ad oggi, nessun avviso in materia sul (malamente) “ricostruito” sito web della Regione Lazio. E sul sito della società in-house Lazio Crea spa campeggia ancora un (penoso, intollerabile, incredibile) avviso: “A causa di un attacco hacker il sito non è momentaneamente raggiungibile”. Con un uso improprio dell’avverbio “momentaneamente”!!! E conclude, la scarna home-page: “Ci scusiamo per il disagio, stiamo lavorando per ripristinare tutte le funzioni nel più breve tempo possibile”. Chissà quando…

Ennesimo caso di abuso di discrezionalità negli affidamenti pubblici a sostegno della cultura: “Ostiadamare”

In materia (sostegno pubblico alla cultura), non può non essere segnalato – a conferma dell’esigenza di una riforma radicale – il recente caso di Ostia Antica (Municipio X di Roma Capitale), denunciato da una serie di associazioni culturali del territorio: ammonta a 40mila euro la somma con la quale, in affidamento diretto ad un operatore economico di Pomezia, è stato dato incarico di allestire una rassegna di spettacoli dal vivo, denominata “Ostiadamare”, che si è tenuta presso il fosso del Castello di Giulio II ad Ostia Antica. Ha denunciato il Consigliere comunale Giovanni Zannola (Partito Democratico): “in barba a quanto decantato dall’amministrazione pentastellata del Municipio X non si è provveduto ad un bando pubblico che coinvolgesse le numerose e prestigiose realtà culturale del territorio che, a causa dell’emergenza sanitaria sono state costrette di fatto al fermo della loro attività. Inconcepibile”. Insieme ai colleghi di partito Leonardo Di Matteo e Paola Pau, ha dichiarato: “rimaniamo costernati di fronte al metodo scelto per la programmazione estiva nel settore della cultura, la cui funzione strategica nei processi di crescita civile e sviluppo anche economico della comunità si sostanzia quando si alimentano le realtà di base e con queste ultime si co-progetta una traiettoria di sviluppo chiara, trasparente e partecipata. L’esatto contrario di quanto avvenuto in questa occasione: nessun coinvolgimento, nessun dibattito, nessun bando, ma una operazione realizzata in una logica frettolosa, esclusiva e privatistica, certamente legale, ma molto lontana dai principi professati nel corso di questi anni da parte del governo locale”.

Ben detto. Questa interpretazione è corretta e la vicenda – pur nella sua limitata dimensione budgetaria – è esemplificativa di modalità di gestione della “res publica” che dovrebbero essere condannate, perché rappresentano veri e propri abusi di quella discrezionalità – talvolta estrema – che l’attuale sistema normativo purtroppo consente. Anche queste pratiche rientrano in una logica che però nutriamo dubbi possa essere definita “certamente legale”. Siamo… “borderline”, come spesso avviene in Italia. Altro che traiettoria “chiara trasparente e partecipata”!

Perché nessun membro della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica si prende la briga di destinare una qualche attenzione al complessivo “sistema” del sostegno pubblico alla cultura in Italia, tra Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) parzialmente riformato dal Ministro Dario Franceschini e 20 Regioni ed oltre 8.000 Comuni che adottano criteri e metodi differenti tra loro, alimentando una assurda diversità di procedure selettive, in assenza di un “Testo Unico” di riferimento? 

E certamente non può essere il “Testo Unico sugli Appalti” – o la normativa generale – a poter regolare il rapporto tra lo Stato e la società civile in materia di cultura e di sostegni pubblici alla cultura!