Green deal

La transizione ecologica di Cingolani e il muro burocratico: la necessità di riformare il sistema

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L’Italia decarbonizza la propria economica in maniera troppo lenta. Le emissioni di CO2 non si disaccoppiano abbastanza della crescita economica e il Covid ha reso tutto più difficile. Il sistema è ingessato, serve semplificare davvero i processi burocratici che sottostanno all’innovazione.

La transizione verde è al centro dell’azione europea per il rilancio dell’economia e il contrasto ai cambiamenti climatici. Lo è anche per l’azione del Governo italiano, che ora dovrà saper definire un piano nazionale di ripresa centrato proprio sull’asset ambientale ed ecologico.

Il Governo Draghi appena nato ha dato vita ad un nuovo ministero, denominato della “Transizione ecologica” (formalmente ancora “Ministero dell’Ambiente, tutela del territorio e del mare”).

Cingolani, Giovannini e Colao: potenza di spesa pari al 90% del Recovery plan italiano

Guidato da Roberto Cingolani, dovrà pianificare, monitorare e sostenere tutti i progetti di respiro nazionale dedicati all’economia circolare, all’abbattimento delle emissioni di CO2 in diversi settori strategici (tra cui la mobilità, i trasporti, l’edilizia, l’energia), alla sostenibilità ambientale dell’industria e dell’economia, al contenimento degli effetti dei cambiamenti climatici.

Seguendo le indicazioni dell’Europa, l’Italia potrebbe contare sua capacità di spesa “green” da 77 miliardi di dollari, cioè il 37% delle risorse che dovrebbero essere assegnate al nostro Recovery pan.

Il ministro Cingolani, già responsabile Innovazione tecnologica della società Leonardo, nonché Direttore dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, è visto da molti più un tecnologo che un ecologista.

Di fatto, comunque, il neo ministro alla Transizione ecologica, assieme a Enrico Giovannini alle Infrastrutture e Vittorio Colao alla Transizione digitale, hanno di fatto un potere di spesa pari al 90% dell’intero Recovery italiano. L’ambiente, quindi, potrebbe davvero essere la bussola del programma di Governo di Draghi e dei sui i ministri chiave.

Un Recovery plan che andrà rapidamente impostato, al massimo entro i prossimi due mesi, per poi essere presentato a Bruxelles, con tanto di croniprogramma.

Gli ostacoli burocratici alla transizione

Non sarà però un compito facile, sia perché le emissioni di CO2 del nostro Paese non diminuiscono abbastanza (e il disaccoppiamento con la crescita economica, già debole nel 2019, è praticamente saltato con il 2020), sia perché gli investimenti languono e l’economia non si decarbonizza ad una velocità sufficiente tale da rispettare i traguardi che l’Europa si è data al 2030 e al 2050.

Come ha detto il presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo, alla velocità attuale, ci vorrebbero 65 anni per arrivare agli obiettivi sulle fonti rinnovabili che l’Europa ci chiede di raggiungere entro un decennio.

Questo perché, oltre alle criticità sopra elencate, in Italia la burocrazia è un muro con cui di devono misurare tutte le iniziative tese ad innovare e trasformare l’esistente.

Unica via: semplificare?

Come ha spiegato in un’intervista all’Huffington Post il Direttore dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), Alessandro Bratti: “Il sistema è ingessato. Bisogna riformarlo. Il primo tema è la semplificazione normativa”.

A rendere tutto più difficile è la lentezza del sistema autorizzativo: “O risolviamo il problema o lo sprint si spegnerà sul nascere”.

Quello che serve è una riforma radicale del sistema: “Il tavolino della transizione ecologica poggia su tre gambe: un quadro regolatorio semplificato, un sistema imprenditoriale innovativo e un sistema pubblico efficace”, ha precisato Bratti, aggiungendo che “se dal punto di vista imprenditoriale in campo green siamo ai primi posti in Europea, soprattutto per quanto riguarda l’economia circolare, adesso è il pubblico che deve fare la sua parte”.