carte scoperte

La lobby di Google che paga università e think tank. Il caso esploso negli Usa

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La stampa Usa pubblica inchieste in cui si scopre che Google paga atenei e fondazioni culturali per influenzare l’opinione pubblica. Il caso dell'antimonopolista cacciato da una fondazione (finanziata da Big G) perché aveva criticato Google.

Nei giorni scorsi i principali quotidiani degli Stati Uniti hanno pubblicato inchieste e articoli da cui emerge una longa manus di Google nel finanziare università, think tank e centri culturali. Il vero obiettivo qual è, secondo la stampa americana? Non il sostegno alla cultura, ma un sostegno economico a chi si occupa di monopoli, media, privacy per essere poi rappresentata agli occhi dell’opinione pubblica come un’azienda ‘Non’ monopolista sul web e attenta ai diritti degli utenti. Il Wall Street Journal ha individuato la lista delle università e docenti pagati dal gigante del web in questi anni: “La società ha pagato dai 5mila ai 400mila dollari ricerche universitarie che dimostrano che Google non gode di una posizione dominante sul mercato”.

Il Washington Post, invece, ha pubblicato la storia di Barry Lynn, cacciato, dopo 15 anni e nel giro di pochi giorni, dalla New America Foundation (finanziata dal ‘99 dall’azienda di Mountain View con 21 miliardi di dollari) perché ha espresso apprezzamento per la sentenza con cui l’Antitrust Ue ha multato, a giugno scorso, Google con 2,4 miliardi di euro “per abuso di posizione dominante nel campo dei motori di ricerca, dando un vantaggio competitivo illegale al suo servizio di comparazione degli acquisti Google Shopping ai danni dei concorrenti, penalizzati nei risultati del motore”.

Per Lynn e il suo team del programma ‘Open Markets’ la decisione della Commissione europea era perfettamente in linea con la battaglia che da anni porta avanti contro i monopoli. Ma la dichiarazione pubblicata sul sito della Fondazione è stata prima rimossa, perché “non era piaciuta a Eric Schmidt, il presidente esecutivo di Google, che personalmente è autore di donazioni al think tank (a lui è intitolato all’auditorium). Poi il post è stato ripubblicato.
Come è andata a finire la storia? La Fondazione ha chiuso, dopo 8 anni dalla nascita, il programma ‘Oper Markets’ con questa motivazione ufficiale per “ripetuti rifiuti di aderire agli standard di trasparenza e collegialità istituzionale della New America Foundation” e ha dichiarato che Google è totalmente estranea alla vicenda. Anche i portavoci della società hanno detto che la “decisione è stata reciproca tra le parti e non influenzata da Google e da Schmidt”. Gli stessi referenti, in merito all’inchiesta del Wall Street Journal, hanno aggiunto che “Google finanzia una vasta gamma di think tank e altri centri no-profit specializzati nell’accesso all’informazione e alla regolamentazione su Internet. Tutti godono della loro indipendenza, anche se non siamo d’accordo con qualcuno al 100%”.

Logicamente la pensa in maniera totalmente opposta Barry Lynn che si dichiarata ‘silurato’ dalla Fondazione per colpa di Big G: “Google è molto aggressiva nel distribuire soldi a Washington e Bruxelles, e poi vuole tenere le redini”, ha scritto Lynn, che ha così concluso: “Oggi stiamo fallendo perché non stiamo evitando la concentrazione di potere sulla nostra economia e sui media. E in più non stiamo garantendo l’indipendenza ai centri culturali che dovrebbero lavorare e intervenire per evitare questa concentrazione di potere”. Lynn, però, non ha gettato la spugna: con la sua squadra ha messo su il sito: https://citizensagainstmonopoly.org/

Le parole di Lynn trovano, in parte, conferma autorevole. Margrethe Vestager, la commissaria a capo dell’Antitrust Ue che ha multato Google con 2,4 miliardi di euro ha dichiarato:L’Europa è molto esposta ai loro lobbisti, posso garantirlo”, ha detto a Cernobbio, Vestager. “Io non li incontro, ma vedo dai nostri registri la grande quantità di soldi e il numero di incontri che Google sta generando. È esploso. Lo sforzo lobbistico di Google a Bruxelles è cresciuto a una velocità senza precedenti, hanno messo in giro un sacco di soldi”.

Un sacco di soldi che girano da anni negli USA, come scoperto dalla stampa americana e confermato anche da Google, a favore di università, fondazioni e think tank.

Sarà una coincidenza, ma come mai Google negli Stati Uniti non è stati mai multata come è successo a giugno scorso dalla Commissione europea?