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Internet of Things, a Barcellona creati 47 mila posti di lavoro. Le città migliorano con gli open data

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Solo un’amministrazione pubblica su dieci al mondo dichiara di avere possibilità concrete di realizzare progetti smart city. Servono soluzioni IoT, open data e la partecipazione attiva dei cittadini. A Messina, Torino, Lecce e Padova il progetto “SmartMe”.

La Città di Barcellona sono diversi anni che sta sperimentando ed implementando diversi progetti smart city. Al momento, solo grazie all’utilizzo dell’Internet of Things (IoT) urbana, migliorando la connettività cittadina e sfruttando gli open data, sono stati già creati oltre 47 mila posti di lavoro, con un risparmio per l’amministrazione pubblica di 42 milioni di euro sulle bollette dell’acqua e dell’energia elettrica, ed entrate per 36,5 milioni di euro dai servizi di smart parking (parcheggi digitalizzati).

Si tratta di uno dei numerosi case study contenuti nel nuovo white paper Smart Cities – Understanding the Challenges”, realizzato da SmartCitiesWorld, in collaborazione con Philips Lighting, a cui si aggiungono quelli di Singapore e Londra, considerate, assieme alla metropoli catalana, le più innovative ed efficienti smart city al mondo.

Lo studio illustra i fattori che facilitano e che inibiscono questo tipo di innovazione tecnologica e digitale, evidenziando come solo un’amministrazione pubblica su dieci al mondo dichiara di avere possibilità concrete di realizzare progetti smart city.

I limiti principali sono come sempre legati alla scarsità di risorse finanziarie (23%), alla mancanza cronica di infrastrutture e all’assenza di una regia concreta.

Problemi che potrebbero essere risolti, per quanto riguarda il budget, ottimizzando la spesa, diminuendo i consumi e tagliando gli sprechi. Ad esempio, si legge nel documento, Los Angeles, installando punti luce a LED al posto di quelli tradizionali, è riuscita a risparmiare 9 milioni di dollari annui.

In generale, le città medio-grandi possono arrivare a spendere per l’illuminazione pubblica anche il 40-50% delle risorse finanziarie disponibili.

Gli elementi più rilevanti nello sviluppo di un progetto smart city, sempre secondo il paper, sono gli open data, la partecipazione attiva dei cittadini e l’offerta di servizi pubblici di qualità e nuova concezione: “Utilizzando sistemi IoT la racconta dati in città migliora del 35%, migliora anche l’offerta di servizi del 15% e si ottimizzano le risorse finanziarie del 13%”.

Solo una raccolta dettagliata dei dati in tempo reale e una capacità altrettanto efficiente di elaborazione degli stessi può garantire alle amministrazioni cittadine un’ampia gamma di informazioni a disposizione dei progetti smart city e di innovazione urbana.

In Italia, l’Università di Messina ha recentemente lanciato il progetto #SmartMe, piattaforma smart city basata su tecnologia IoT, col fine di realizzare una rete diffusa di sensori per raccogliere dati sull’ambiente fisico urbano (ad esempio ad ottenere informazioni sull’inquinamento acustico e sonoro, sul traffico, sulla raccolta rifiuti, sulla sicurezza e sui servizi turistici, ecc.) e favorire una maggiore interazione fra tecnologie, cittadini e Pubblica Amministrazione.

L’iniziativa, partita da Messina, coinvolgerà anche le città di Torino, Siracusa, Padova e Lecce. Il progetto pilota è partito con l’installazione di sensori in 14 scuole, ha riportato il quotidiano Messinaora.it, dotate di videocamere intelligenti per gli spazi esterni, smart meter, fonometri, sensori di comfort ambientale, sensori di qualità dell’aria outdoor e indoor. I dati raccolti, al momento, sono in fase di analisi da parte degli specialisti del data team.